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Smart Working

Le testimonianze

Smart working? Piace (tanto) ai lavoratori e alle lavoratrici di Bergamo

Erica, Silvia, Giovanni... è un lungo elenco di superlativi assoluti e aggettivi positivi la sintesi delle testimonianze che abbiamo raccolto sul lavoro libero e flessibile, imposto per decreto in piena emergenza sanitaria da Covid-19. E il sindacato?

Un salto evolutivo, libertà che stimola la creatività, un grandissimo risparmio di tempo e denaro, un’esperienza positivissima. È un lungo elenco di superlativi assoluti e aggettivi positivi la sintesi delle testimonianze che abbiamo raccolto sullo smart working, il lavoro (work) intelligente (smart), libero e flessibile, imposto per decreto in piena emergenza sanitaria da Covid-19 per assicurare distanziamento sociale e ripresa delle attività professionali, che sta cambiando, per molti, il modo di lavorare (e di vivere).

Smart working non vuol dire semplicemente “lavorare da casa”, aprire il pc o accendere il telefono nelle ore in cui si è chiamati a farlo, in presenza, in ufficio. Lo Smart working o Lavoro agile è un modo di lavorare flessibile e autonomo nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Dimentichiamoci il Telelavoro – altra forma di lavoro da remoto – che invece ha regole piuttosto rigide: orari, luoghi e strumenti tecnologici sono prestabiliti e rispecchiano lo stesso assetto organizzativo utilizzato nel luogo di lavoro.

I dati

Giusto per capire la portata del fenomeno, vediamo due numeri. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart working della School of Management del Politecnico di Milano prima dello scoppio della pandemia, in Italia lavoravano in modalità smart circa 600 mila lavoratori (erano 500 mila nel 2018), mentre oggi lavorano agili quasi 6 milioni di italiani.

Secondo una rilevazione della Cgil di Bergamo, focalizzata sull’analisi dei protocolli di sicurezza post Covid-19, su un campione (non statistico) di 120 aziende del territorio per un totale di circa 35 mila lavoratori, 100 hanno introdotto il Lavoro agile durante il lockdown e 83 stanno continuando a lavorare smart anche dopo l’emergenza. Tra queste, aziende come Cotonificio Albini, Gewiss, Uniacque, Foppapedretti, ABB, Brembo.

È bene ricordare che lo smart working riguarda circa il 30% del lavoro e quelle attività e mansioni cosiddette “smartizzabili” ovvero organizzabili da remoto, quindi non operai e tecnici di produzione, mondo sanità, commercio al dettaglio e attività che prevedono un rapporto diretto con la clientela, etc.

Le rilevazioni dell’Osservatorio Smart working della School of Management del Politecnico di Milano, dicono che i lavoratori smart si distinguono per una maggiore soddisfazione per il proprio lavoro; la fiducia migliora la motivazione e l’autonomia, favorisce la conciliazione vita e lavoro migliorando la qualità di entrambi. Pare così anche dalle storie che abbiamo raccolto, facendo davvero fatica a trovare chi non fosse un entusiasta sostenitore dello Smart working.

Le testimonianze bergamasche

Erica, 39 anni, ingegnere meccanico, mamma di Giorgia (3 anni) e Danilo (5 anni): “Per me lo Smart working è essenziale. Lavoro di più e meglio di prima, con maggiore concentrazione e produttività. Sono sparite le riunioni inutili e quando ci si sente o vede si è molto più efficaci. Tagliati i tempi morti o spesi per viaggi e trasferimenti, si è liberato tempo per la vita e la famiglia. Con l’ingresso differenziato dei bambini a scuola se dovessi arrivare in azienda, lavorando a 15 chilometri da casa, lo farei solo a metà mattina! Invece, mi sveglio prima dei bimbi, inizio a lavorare, stacco per accompagnarli e riprendo dopo pochi minuti. Io lavoro con la produzione: se i miei disegni non arrivano, le macchine non partono. Non è mai successo. Abbiamo dimostrato che lavorare smart è produttivo ed efficace. Senza contare il risparmio economico! L’ho quantificato in almeno 150 euro al mese tra auto, benzina e mensa: copro una retta mensile dell’asilo per mio figlio”.

Silvia, 34 anni, impiegata in un’azienda di costruzioni meccaniche, mamma di Emma (2 anni): “A casa faccio esattamente quello che farei in ufficio, ma meglio, sono più produttiva. Ho smesso di correre la mattina. Abito a Bergamo e lavoro a Chiuduno, mio marito lavora a Milano e prende il treno molto presto quindi la mattina porto io la bimba all’asilo nido; prima, dopo averla lasciata, mi infilavo nel traffico: ora è diverso, basta tempo perso in automobile! Certo, che la bimba sia all’asilo è condizione necessaria, non esiste Smart working se devi curare una bambina di 2 anni. Sono infatti molto critica sulla norma che prevede il Lavoro agile se i figli sono in quarantena: lavorare con i bambini piccoli a casa è impossibile. Questo deve essere chiaro a tutti. Quello che mi manca è il rapporto con i colleghi, lo scambio e il confronto con loro, questo sì. Ma l’esperienza è senza dubbio positivissima”.

Giovanni, 50 anni, quadro in un’agenzia di marketing e relazioni pubbliche, padre di due figli Luca e Franco (23 e 24 anni): “Finalmente ora lavoro con uno spirito diverso, libero. Se inizialmente non c’era orario per le chiamate e le richieste dei clienti, a cui mi sentivo sempre in dovere di risponde, ora va molto meglio, c’è più attenzione e rispetto anche per la vita privata. Quando si lavora da casa, il confine tra vita e lavoro è labile, si rischia di lavorare molto di più a scapito della vita privata, ma se ci si organizza bene è fatta. A me si è liberato tempo prezioso per la famiglia e ho iniziato a collaborare anche nella gestione della casa e della famiglia. Mi sento più libero, autonomo. Lavoro meglio senza dubbio. La mia qualità della vita è decisamente migliorata. Vorrei continuare, e non solo da casa ma da tutti quei luoghi che ritenessi utili al raggiungimento dei miei obiettivi personali o professionali”.

Vita che entra nella dimensione lavorativa anche per Claudio, 37 anni, ingegnere ambientale in una multinazionale Oil&Gas: “Anche il mio grande capo, dall’altra parte del mondo, ha avuto occasione di conoscere mio figlio Cristiano, 3 anni, che durante le video chiamate in lockdown, coi bimbi a casa, spesso faceva capolino davanti alla telecamera del pc. Abbiamo offerto di noi una dimensione più umana, a me questa cosa è piaciuta. Con a casa sia mia moglie che la mia prima figlia, Allegra di 5 anni, ho avuto l’opportunità di conoscere meglio la quotidianità della famiglia e dei miei figli. E il lavoro non ne ha fatto le spese, anzi. Sono stato più produttivo perché ben organizzato: con mia moglie facevamo turni di lavoro e di cura dei bimbi e quando ero al pc ero davvero concentrato. Rispetto all’ufficio, di casa mia apprezzo il silenzio e la mancanza di continue sollecitazioni a dare risposte su questo e quello. Attualmente nella mia azienda i diversi dipartimenti hanno avuto la libertà di decidere come organizzare lo Smart working: c’è chi sta a casa 4 giorni su 5 e chi, come me, alterna 3 giorni in presenza e 2 a casa. Speriamo di continuare così, tornare indietro non mi pare francamente possibile”.

Opinione condivisa da Mariagrazia, 35 anni, libera professionista nel campo delle risorse umane, che di Claudio è la moglie. “Personalmente non vedevo l’ora di vedere applicato lo Smart working anche nel nostro Paese. Io lavoro in libertà da sempre e per questo, poter contare su una maggiore flessibilità di mio marito, ha aiutato moltissimo anche la mia carriera professionale: meno tempo perso per recarsi in ufficio, flessibilità per conciliare lavoro ed esigenze famigliari, risparmio economico rilevante. I bambini ci hanno visti insieme impegnati nel lavoro e hanno imparato a rispettare questa dimensione per entrambi. La parola d’ordine è organizzazione, dei tempi e degli spazi; e poi, connessione, tecnologia, strumenti adatti. Bambini all’asilo ed il gioco è fatto: lavorare in libertà è non solo possibile ma auspicabile”.

Una voce fuori dal coro

Paola, 53 anni, impiegata import-export in una ditta di minuteria meccanica, sposata, senza figli, è una voce fuori dal coro: “Utile lo Smart working, lo capisco, ma a me manca la routine quotidiana: il caffè coi colleghi, il pranzo nel ristorantino a gestione famigliare accanto alla ditta e anche la spesa nell’alimentari poco distante. Il lavoro non è solo ciò che fai e che produci ma anche come lo fai e con chi passi o incontri durante la giornata. Io in ufficio sono tornata volentieri e spero di restarci il più possibile…”.

I sindacati

Corna-Peracchi

Ma cosa pensano i rappresentanti dei lavoratori? Per Gianni Peracchi, segretario generale Cgil Bergamo pur nel contesto dell’emergenza sanitaria e della difficile situazione generale del nostro territorio. “Il bilancio dell’esperienza di questi mesi è più che positivo sia per le lavoratrici e i lavoratori che per le aziende che hanno introdotto il Lavoro agile: più flessibilità oraria, migliore conciliazione vita-lavoro, più soddisfazione professionale e maggiore produttività. Senza contare i benefici per l’ambiente, minor traffico e migliore qualità dell’aria. Lo Smart working è un’innovazione che sosteniamo. Considerando però che siamo di fronte ad un cambiamento del modello organizzativo del lavoro, crediamo anche che vada avviata una profonda riflessione sulla sua disciplina. È importante – prosegue Peracchi – che vengano ripristinate le norme sul lavoro agile saltate con i provvedimenti emergenziali, a partire dal diritto all’accordo individuale o alla dotazione strumentale a carico delle aziende. Occorre definire meglio le regole dello Smart working, partendo dalla norma di riferimento, la legge 81 del 2017, che ha il limite di non prevedere l’obbligo della contrattazione collettiva”.

Accordi collettivi, quindi, oltre a contratti individuali, per tutelare diritti generali come il diritto alla disconnessione, alla salute e sicurezza, alla gestione dei tempi di lavoro. “Infine – conclude il Segretario generale provinciale Cgil – se come dimostrano tutti gli studi più accreditati sullo Smart working, tra cui quello dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, il lavoro agile porta ad un incremento della produttività, occorre che questo maggior valore venga riconosciuto anche ai lavoratori e non solo come flessibilità oraria o maggiore autonomia”.

Francesco Corna, segretario generale Cisl Bergamo, rappresentante del mondo sindacale all’interno della Camera di Commercio di Bergamo, è anche relatore del Consiglio camerale tematico sullo smart working che si tiene lunedì pomeriggio in Sala Mosaico. “È importante che si entri nel merito dello smart working, che si valorizzino le opportunità e si limitino i rischi che comporta. Va definito con chiarezza il quadro e il contesto normativo, introdotta la contrattazione collettiva oltre agli accordi individuali. Si tratta di un nuovo modello organizzativo del lavoro: non è sufficiente un ragionamento di tipo economico che considera solo i costi e la produttività, ma uno più ampio sulla sostenibilità del nuovo modello. Per esempio, occorre valutare – e definire – a che condizioni e come si accede allo smart working: priorità a chi ha famiglia? A chi ha genitori anziani? A chi abita più lontano? A quali fasce di lavoratori, in via prioritaria, si deve applicare. Come si valuta il lavoratore e come si controlla l’avanzamento dei progetti e non le persone. Come si recede dal contratto di lavoro agile, e così via, tanti aspetti, fondamentali, da considerare e valutare con attenzione per evitare penalizzazioni e discriminazioni, a cui le donne per prime potrebbero essere esposte. Quello del pomeriggio odierno è un appuntamento che consideriamo importante: occorre far conoscere lo smart working che può essere un’opportunità per tutti, imprese e lavoratori. Un’opportunità che va normata, senza ingessature. Perché il progresso tecnologico si trasforma in sviluppo solo se mette al centro le persone”.

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