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Smart Working

L'intervista

Smart working in ABB: “Avviato prima del lockdown, piace e migliora la produttività”

Emiliano Diotallevi, lead manager di ABB Sace e ABB Italia: "E piace ai lavoratori, applicato per 2-3 giorni alla settimana"

ABB è una società tecnologica leader a livello globale che si occupa di elettrificazione, robotica e automazione, presente in oltre 100 paesi del mondo. In Italia, ABB è presente con unità operative nel nord – tra cui Bergamo e Dalmine – e nel centro del Paese. La società è suddivisa in 4 unità di business: Electrification, Industrial Automation, Motion, Robotics & Discrete Automation, al servizio delle utility, delle industrie e dei clienti dei settori dei trasporti e delle infrastrutture.

In Italia, il Gruppo ABB ha raccolto negli anni le esperienze di molti dei più noti marchi del comparto elettromeccanico nazionale, importanti aziende che hanno fatto la storia industriale del Paese quali Ercole Marelli, SACE, IEL, Ansaldo Trasformatori ed Elsag Bailey.

Società innovativa anche nell’organizzazione del lavoro e delle risorse umane, nell’ambito della nostra inchiesta sullo smart working, abbiamo raccolto la testimonianza di Emiliano Diotallevi, HR lead manager di ABB Sace e ABB Italia.

Prima dello scoppio della pandemia, stavate già sperimentando lo smart working?

Abbiamo iniziato ad applicare lo smart working già nel 2015, ben prima della legge che l’ha disciplinato nel 2017. Possiamo dire di essere dei precursori del lavoro agile in Italia. Prima di introdurlo, abbiamo rilevato quali e quante risorse fossero eleggibili al lavoro “smart”. La nostra è un’azienda molto variegata dove coesistono professionalità tecniche (operai, tecnici ed esperti di laboratorio, impiegati strettamente correlati ai processi produttivi) e manageriali. Su 5.500 dipendenti, circa 1.700 avrebbero potuto lavorare in Smart working. Abbiamo iniziato con una formazione a tappeto per tutti i manager sui temi del lavoro per obiettivi, della fiducia e della responsabilizzazione. Lo Smart working è stato proposto fino a due giorni al mese, sulla base del ruolo ricoperto. Facciamo parte dell’Osservatorio sullo Smart working del Politecnico di Milano e seguiamo con interesse ogni evoluzione in tema di organizzazione del lavoro.

abb dalmine

Come è stata strutturata l’organizzazione in termini di smart working durante la fase acuta del Covid?

Con lo scoppio della pandemia e il lockdown di primavera – nonostante la nostra azienda fosse tra quelle previste in funzione dal DPCM – gli smartworkers sono diventati circa 2.800. In questo caso però, considerando la forzatura, è più corretto parlare di telelavoro piuttosto che di Smart working. L’emergenza è stata un acceleratore del cambiamento. Molti pregiudizi sono crollati alla prova dei fatti. Lavorare bene, con efficacia ed efficienza rispetto a tempi e obiettivi è stato possibile anche per funzioni di cui fino ad oggi si dubitava. Per esempio, non consideravamo possibile fare la chiusura del mese da remoto. Il team che se ne occupa non si è fatto scoraggiare e si è organizzato. Ora la chiusura si fa interamente online sulla piattaforma Teams, e con grande soddisfazione delle risorse che vi sono dedicate. Le colleghe hanno saputo collaborare, coniugare tempi di lavoro e di vita e rispettare anzi anticipare le scadenze. Il pregiudizio è venuto meno, si sono liberate energie e acquisite nuove competenze.

E dopo il lockdown cos’è cambiato?

Abbiamo avuto un approccio olistico e di forte responsabilizzazione. Subito dopo il lockdown abbiamo avviato un gruppo di lavoro per valutare l’impatto dello smart working. Come dicevo, siamo molto variegati al nostro interno. Abbiamo stabilimenti produttivi, grandi progetti di sviluppo, laboratori di ricerca, etc. La nostra parola d’ordine è flessibilità: dobbiamo avere un’organizzazione del lavoro capace di adattarsi a unità di business molto diverse tra loro. Le esigenze di chi si occupa di risorse umane sono molto diverse rispetto a chi lavora in stabilimento o in laboratorio. Non possono valere le stesse regole per tutti. Le policy aziendali devono essere dei facilitatori dell’organizzazione del lavoro non irrigidire. Per questo motivo, abbiamo rinnovato la nostra policy e, dal 1° settembre, liberalizzato lo Smart working: ora non c’è più un limite di giornate/mese. Il numero di giornate agili resta in funzione di due elementi: l’organizzazione del lavoro del team a cui si appartiene e le esigenze individuali del lavoratore e lavoratrice. Infine, abbiamo deciso di supportare coloro che optano per lo Smart working abituale riconoscendo un rimborso spese per strumenti ergonomici, dalle sedie, ai monitor, ai pc.

Nel futuro cosa pensa che cambierà nell’organizzazione del lavoro?

L’orario di lavoro sarà meno importante. Si tenderà a lavorare di più, ma quando si può. Ciò che conterà saranno gli obiettivi a fine giornata. Tornando all’esempio del team che si occupa della chiusura del mese, c’è chi preferisce iniziare a lavorare alle 6 di mattina, staccare per portare i figli a scuola e poi riprendere. La cosa che conta è che si chiuda la giornata con gli obiettivi raggiunti.

Cosa pensano i lavoratori dello smart working? Avete in qualche modo rilevato le loro opinioni o avete in programma di farlo?

Durante il lockdown abbiamo somministrato sondaggi per capire come le persone stavano vivendo quel momento delicato; subito dopo ne abbiamo realizzati altri nelle aree più critiche, Bergamo e Dalmine. Ora stiamo facendo una serie di interviste di approfondimento tra manager e dipendenti. Vogliamo capire esigenze, aspettative, problematiche. È emerso un forte apprezzamento sullo smart working; la maggioranza delle risorse lo preferisce 2/3 giorni a settimana. Il timore di praticarlo 7 giorni su 7 è quello di perdere il contatto con l’organizzazione e le persone. Proprio ascoltando le esigenze di tutti, abbiamo deciso di liberalizzarlo e non imporlo.

abb dalmine

Si cercherà, come altre aziende hanno già fatto, un accordo sindacale sull’applicazione dello smart working?

Abbiamo avuto una richiesta dal sindacato in tal senso, ma non abbiamo ritenuto necessario farlo. La policy aziendale che abbiamo adottato e la Legge 81/2017 sullo smart working sono più che sufficienti per applicare bene questo strumento. L’accordo sindacale rischia di irrigidire l’organizzazione; ci pare una complicazione gestionale che non abbiamo ritenuto di adottare, proprio per l’esigenza di tenere lo strumento più flessibile e adattabile possibile alle esigenze del lavoro e del lavoratore.

Lo smart working incide sulla produttività? Cosa rileva dalla sua posizione?

Incide in senso positivo. Il punto di attenzione è che alla lunga ci possa essere un senso di isolamento e apatia che può invertire la curva della produttività. Questo va evitato, e per farlo è necessario vivere la cultura aziendale. Un buon bilanciamento tra lavoro agile e presenza in azienda porta produttività e benessere per tutti.

Avete in programma iniziative di formazione per massimizzare l’efficacia del lavoro per obiettivi, tipico dello smart working?

Abbiamo realizzato da subito pillole formative disponibili online per dipendenti e manager sul lavoro per obiettivi, fiducia, responsabilizzazione. Come gestire il lavoro da casa, con qualche suggerimento utile anche sull’organizzazione degli spazi domestici. Abbiamo diffuso raccomandazioni sulla postura, esercizi per collo, le spalle, la respirazione. L’obiettivo era promuovere il benessere psico-fiscio. Da casa si tende a lavorare di più, è importante imparare a staccare. I manager sono la chiave del cambiamento: l’obiettivo è offrire gli strumenti e le competenze utili per gestire i collaboratori anche a distanza. Imparare a creare spazi di informalità anche digitali: condividere il pranzo o un caffè insieme anche da remoto. Se siamo flessibili, così come noi vogliamo esserlo, contano anche le esigenze individuali.

Avete in programma cambiamenti o restyling degli spazi fisici dell’azienda?

Stiamo ragionando anche sugli spazi fisici, sì. Attualmente la nostra azienda è strutturata con un mix di open space, sale riunioni e uffici singoli. Nella sede di Sesto San Giovanni c’è lo “Spazio A”, un piano in cui stiamo sperimentando un’organizzazione del lavoro diversa, con zone dedicate a certe attività, disponibili a tutti. C’è l’area brainstorming con ampie finestre, grandi lavagne, puff a terra che creano le condizioni più favorevoli alla nascita di idee e alla contaminazione; lo spazio biblioteca, isolata acusticamente per favorire la massima concentrazione; uno spazio altrettanto silenzioso per le comunicazioni riservate; sale riunioni, postazioni libere per PC. Questa modalità – che pur ora non è adatta all’emergenza covid19 – rappresenta il nostro spazio di sperimentazione. In prospettiva vedo una funzionalizzazione degli spazi; resteranno uffici e open space ma sempre più si andrà nella direzione di avere spazi funzionali a certe esigenze.

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