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Policy di genere

Doneda: “Lo smart working ha dimostrato il valore delle donne”

Eleonora Doneda, 32 anni, imprenditrice bergamasca in un campo non certo facile come quello delle costruzioni, racconta la sua esperienza. 

Prosegue il dibattito su Bergamonews dedicato alle policy di genere  – ovvero tutte quelle azioni positive e strumenti normativi utili a evitare o rimuovere discriminazioni formali o sostanziali, dirette o indirette nei confronti delle donne.

Abbiamo deciso di intervistare Eleonora Doneda, imprenditrice bergamasca in un campo non certo facile come quello delle costruzioni.

“Nuova Demi: un’azienda, una famiglia, una vita”. Così è scritto sul sito internet istituzionale. Per lei, Eleonora, cosa rappresenta la sua azienda?

In Nuova Demi c’è davvero la vita, il sudore e il sangue della mia famiglia; ognuno di noi, anche chi poi ha intrapreso strade diverse e non lavora in azienda, è cresciuto “in cava”: è un prolungamento del sistema valoriale della famiglia, per mio padre e i miei zii una cosa viva, io ho una percezione un po’ più, mi passi il termine, “spersonificata”. Non nascondo che questo ogni tanto crea degli attriti, ma fintanto che diventano tema di discussione per la crescita dell’azienda ben venga.

Cosa l’ha convinta ad entrare nell’azienda di famiglia?

“Chi”, forse, sarebbe la domanda giusta. Scherzi a parte è stata una scelta ponderata: dopo l’università ho preferito fare esperienza in realtà diverse dall’ambito familiare, vedere il mondo fuori, con l’obiettivo di “imparare per poi riapplicare”. Per questo, successivamente, il mio senso di responsabilità, mi ha portato a fare questa scelta. Ho preferito mettere il mio impegno al servizio dell’azienda di famiglia, nella speranza che il mio contributo potesse ripagare, in parte, tutti i sacrifici fatti da chi è venuto prima di me e di cui io ho beneficiato.

Qual è stata la cosa più difficile, la sfida che ha vinto con il suo ingresso in azienda?

Essere presa sul serio nonostante la mia giovane età e conquistare la stima di mio padre, in primis, e dei miei cugini che, da prima di me, collaborano all’interno dell’azienda. Forse non è stata la sfida “più difficile”, ma quella che più mi spaventava: sono l’ultima arrivata e anche la più giovane (ho 32 anni, ma si sa che in Italia si è considerati “giovani” fino alla soglia dei 40), io per prima mi aspetto molto da me stessa, non voglio deludere le aspettative per cui penso sempre, alla fine di ogni progetto, che poteva essere fatto meglio o che avrei potuto fare di più. Per entrare nel pratico la mia sfida odierna è quella della completa informatizzazione: iniziative come l’industria 4.0 e la fatturazione elettronica ci hanno dato il là per poter implementare sistemi tecnologici e processi interni volti all’eliminazione del cartaceo, siamo noi imprese che, adesso, dobbiamo sfruttarle a nostro vantaggio. È un processo lungo, ne sono consapevole, ma dobbiamo farcela, anche per godere di un beneficio in termini di sostenibilità ambientale.

Che cosa parla di lei, in azienda?

Tutto quello che riguarda l’implementazione tecnologica: ci metto passione e quando un tema mi sta a cuore divento un martello pneumatico, prendendo tutti per sfinimento.

Lei lavora in un settore maschile: lo percepisce? In cosa e come?

Sì, inutile negarlo: la maggior parte delle delle volte in cui mi siedo a un tavolo di discussione sono l’unica donna, o una delle poche, pochissime, anche se, per esperienza personale, non esistono settori totalmente esenti da disparità di genere. È una questione culturale, soprattutto nel nostro Paese, che vede la donna relegata in certe funzioni (moglie e madre), ignorando però il carico di impegni che questo comporta: la difficoltà nel dover conciliare il ruolo familiare con quello lavorativo, come se il lavoro fosse considerato “un di più”.Durante il lockdown le donne, per il 60%, hanno gestito da sole il carico familiare, ma ancora peggio, gli uomini sono convinti di dare un supporto maggiore di quello percepito dalle partner il 47% degli uomini dichiara di essersi preso cura dei figli insieme alla compagna contro solo il 22% delle donne che percepisce di aver ricevuto aiuto e collaborazione. A questo punto diventano fondamentali le politiche inclusive, perché evidentemente l’impegno non basta: la dottoressa Tarantola, nel webinar, ha detto bene, sottolineando il fatto che, per fare un banale esempio, spesso le riunioni vengono organizzate fuori dal canonico orario di lavoro, e quindi le donne sono costrette a fare una scelta, tra lavoro e famiglia, a scapito di una o dell’altra.

Nel 2019 il 73% delle dimissioni volontarie sono di donne, madri quasi sempre dopo la nascita del primo figlio. In quest’era post-covid una donna su due ha rinunciato ad almeno un progetto a causa della pandemia, a fronte di 2 uomini su 5. Perché è sempre il lavoro delle donne quello considerato sacrificabile?

Sicuramente anche a causa del gender pay gap, ma allora diventa un circolo vizioso, un gatto che si morde la coda e non se ne esce più. Il lavoro, la carriera dovrebbero essere una libera scelta, come dovrebbe essere libera la scelta il restare a casa e prendersi cura dei figli: non dovremmo più parlare di maternità o paternità, ma di famiglia, con una distribuzione equilibrata del carico di impegni che una famiglia comporta.

Ritiene che sia un valore l’equilibrio tra vita professionale e personale? Com’è la sua giornata?

L’equilibrio, in tutto, è fondamentale: sono cresciuta in una famiglia di stacanovisti, mio padre mi ha insegnato che il dovere viene prima di tutto il resto e questo modo di pensare, nelle mie precedenti esperienze lavorative, mi è sempre stato riconosciuto, soprattutto all’inizio; spesso (sbagliando) non ci si aspetta troppa dedizione dai giovani. Credo, però, che la qualità vada privilegiata rispetto alla quantità, che non sempre vanno di pari passo, e quindi, che sia necessario riprendere fiato ogni tanto, fare una pausa e ricaricare le batterie. Il mio fidanzato lavora nella ristorazione, ha due locali in Borgo Santa Caterina, spesso capita che non ci vediamo per un’intera settimana a causa dei nostri orari strampalati; è un sacrificio, ma per ora siamo entrambi in un momento di crescita professionale e nessuno dei due si sogna di mettere dei paletti all’altro. Ora abbiamo trovato questo equilibrio, in futuro, probabilmente, dovremo rallentare i ritmi e trovarne uno nuovo. Anche qui, si ritorna al discorso precedente, un’equa distribuzione dei compiti familiari permette ad entrambi di non andare in sovraccarico: lui cucina e io mi ricordo di pagare le bollette; le persone si straniscono quando racconto che capita che sia lui a stirare, ma davvero crea scalpore nel 2020? Dobbiamo ancora liberarci di un bel po’ di stereotipi.

Che cosa vuol dire per lei sostenibilità?

Anche qui parliamo di equilibrio. Nuova Demi, negli anni, ha ottenuto diversi riconoscimenti in merito al tema della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente, l’ultimo lo scorso anno quando a Bruxelles, in occasione dei “Sustainable Development Awards 2019” organizzati dall’associazione europea aggregati (UEPG), abbiamo ottenuto una menzione speciale per il nostro progetto di riqualificazione ambientale (iniziato quarant’anni fa) “in riconoscimento dell’impegno nello sviluppo della biodiversità in un sito di estrazione di sabbia e ghiaia, con particolare attenzione all’utilizzo delle energie rinnovabili”. Il nostro settore viene erroneamente considerato, mi passi il termine, “distruttivo” mentre noi siamo fermamente convinti, e lo abbiamo dimostrato, che attraverso l’attività estrattiva e il successivo recupero, può nascere una vera e propria oasi di biodiversità, un nuovo ecosistema in perfetto equilibrio con l’ambiente circostante e spesso migliorando. Creare e produrre senza minare lo stesso diritto per le generazioni future.

Che cosa vuol dire per lei innovazione?

L’attività estrattiva in genere non viene spesso considerata nel processo di innovazione tecnologica in atto, ma tutto quello di cui sopra è stato possibile soprattutto grazie all’utilizzo delle nuova tecnologie: siamo un settore energivoro, ma abbiamo due impianti fotovoltaici e un impianto di biomasse (raggiungendo così i 2 Mw  di energia pulita prodotta). Impianti che ci permettono di coprire il 100% del nostro fabbisogno energetico e di mettere in rete l’energia in eccedenza, abbiamo sistemi che permettono il riciclo della acque di processo, utilizziamo per il trasporto autocarri classificati Euro 6, trattiamo i rifiuti da costruzione e demolizione e generiamo sottoprodotti: abbiamo attivato un sistema di economia circolare virtuoso. Oggi la sostenibilità va di pari passo con l’innovazione: fare quello che si faceva prima, ma meglio e con meno sprechi.

Che cosa vuol dire inclusione?

Se non ci fosse discriminazione non saremmo nemmeno qui a parlare di “inclusione”, se ci pensa è triste che nel 2020 sia necessario varare una legge (mi riferisco alla Legge Golfo-Mosca del 2011) per garantire l’accesso a ruoli che invece, agli uomini sembrano spettare di diritto, soprattutto davanti al fatto che il 56% dei laureati in Italia sono donne. Qui poi apriamo un altro capitolo: mi è capitato di leggere un articolo sul web riguardante un cartello in un ambulatorio medico che diceva “In questo ambulatorio non ci sono signorine, ma dottoresse”. Non vorrei ridurre tutto a una mera e banale questione di titoli, non è quello il punto, però questo fa capire quanto si tratti di un tema radicato nella cultura delle persone. Come accennavo prima l’inclusione per me sta nella libera scelta: ogni donna dovrebbe avere la possibilità di fare carriera e non di rinunciarvi solo perché il carico familiare pesa tutto su di lei. Sono fermamente convinta che se si è in gamba si emerge, ma lo sono anche del fatto che una donna per farlo, rispetto ad un uomo, debba faticare il doppio.

Emergenza Covid 19. Quali sono i valori aziendali che si sono rivelati fondamentali in questa emergenza?

Sicuramente la coesione e la condivisione. Con i miei cugini, che hanno più esperienza di me, abbiamo lavorato in team, anche se a distanza, per trovare soluzioni, e tenendoci costantemente aggiornati. È stato un bel lavoro di squadra: sapere di non essere da soli, ma condividere criticità e preoccupazioni, ha reso il processo decisionale più fluido ed è stato, in qualche modo, confortante.

In che modo l’azienda ha modificato la propria organizzazione durante l’emergenza Covid 19?

Quando racconto della nostra esperienza dico sempre che tutti abbiamo dovuto fare un bel salto a piedi pari nel presente: gli uffici sono stati riorganizzati in smartworking da casa e qua, devo fare un plauso a tutti i nostri collaboratori che si sono adattati benissimo alla novità. Ricollegandomi al discorso sull’inclusione e all’equilibrio tra vita personale e professionale, trovo che dedicare un determinato numero di ore al mese al lavoro agile possa essere uno strumento utile per favorire questo equilibrio. Spesso, l’utilizzo di questo nuovo approccio al lavoro non è ben visto, soprattutto da chi ha poca dimestichezza con la tecnologia, ma il mondo cambia e se non ci adattiamo rischiamo di sopperire.

Che cosa ha imparato da questa esperienza?

A non dare niente per scontato, che rallentare un po’ i ritmi fa bene e a implementare i corsi aziendali informatici e sulle nuove tecnologie che fa sempre bene.

Come si immagina tra 5 anni?

Ho degli obiettivi, sia in ambito professionale sia familiare: fare esperienze e continuare a contribuire alla crescita aziendale ovviamente, ma quello che mi auguro davvero è non perdere mai lo spirito di iniziativa, il coraggio e la passione che ho per i nuovi progetti.

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