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Covid & opera

La Scala senza la Prima con la “Lucia” di Donizetti: “Triste, ma è la scelta giusta”

Renato Filisetti, musicista dalminese, ma originario di Dossena e cresciuto a San Pellegrino, racconta i suoi quasi quarant’anni di carriera come trombonista dell’orchestra del Teatro alla Scala: con orgoglio e un po' di dispiacere per la Prima che quest'anno salta.

Un sogno stupendo e un privilegio. È così che Renato Filisetti, musicista dalminese, ma originario di Dossena e cresciuto a San Pellegrino, descrive i suoi quasi quarant’anni di carriera come trombonista dell’orchestra del Teatro alla Scala. “Essere musicista per me è un privilegio. Grazie alla Scala ho viaggiato in tutto il mondo”, racconta il maestro Filisetti, che rimane comunque estremamente legato a Bergamo. Era il 1981 quando quando entrò a far parte dell’orchestra della Scala di Milano. A soli diciannove anni si ritrovò a essere diretto da Claudio Abbado nella prima del Lohengrin di Wagner del 7 dicembre 1981.

Proprio quando avrebbe dovuto essere il nostro Gaetano Donizetti l’ospite d’onore per la prima della Scala con la sua “Lucia di Lammermoor”, il teatro è costretto a chiudere a causa dell’emergenza Covid. Quest’anno la prima dell’opera, di tradizione ogni 7 dicembre, non ci sarà. Un evento eccezionale che non accadeva dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.

La situazione è difficile per tutti i teatri, l’arte dal vivo è ora praticamente impossibile. L’alternativa ufficiale all’esecuzione della Lucia di Lammermoor sarà un concerto in diretta sulla RAI nella giornata di Sant’Ambrogio.

Ricorda la sua prima volta alla Scala?

Non potrei mai dimenticare. Novembre 1981. Avevo diciannove anni, ero un ragazzino insomma. Vinsi il concorso per secondo trombone in Scala e mi ritrovai buttato su quel palcoscenico. Partecipai alla prova ante generale, alla generale e poi subito al debutto. Ero un giovane musicista, che si ritrovava a suonare alla prima della Scala. Probabilmente all’epoca non avevo piena coscienza di dove fossi. Quell’anno apriva la stagione il Lohengrin di Richard Wagner diretto da Claudio Abbado. Non dimenticherò mai quella serata, alla quale partecipai per caso perché il mio contratto lavorativo prevedeva iniziò in orchestra a partire da gennaio 1982, ma avevano bisogno di un trombone per il corale. Così iniziò tutto.

renato filisetti

C’è una Prima in particolare a cui è legato?

È difficile pensare a un solo spettacolo. Sono stati tantissimi negli anni, non solo le prime della stagione operistica. Anche i concerti e i balletti. Ad esempio, non potrei mai dimenticare il Lago dei Cigni, il primo balletto a cui ho partecipato in orchestra. Tutte le prime mi hanno regalato grandi emozioni. Ricordo la “Carmen” del 1984 diretta da Abbado. Tutto il ciclo del Ring Wagneriano diretto da Daniel Barenboim è stato memorabile. Ricordo anche la sera del “Lohengrin” – proprio lo spettacolo con cui avevo debuttato in Scala del 7 dicembre 2012. Dopo più di trent’anni in orchestra, quella sera la musica è riuscita ancora a stravolgermi. Ricordo che avevo talmente tanta adrenalina nel corpo che andai a dormire alle 6 del mattino. Una volta tornato a casa rividi la registrazione che mia moglie fece della diretta RAI di quella sera.

Un 7 dicembre senza la Prima dell’opera, proprio nell’anno in cui avrebbe dovuto trionfare Gaetano Donizetti con la sua Lucia di Lammermoor…

Ovviamente da musicista è un dispiacere, da bergamasco ancora di più. Ero orgoglioso di suonare il nostro Donizetti nella tradizionale occasione del 7 dicembre, per la prima volta in quasi quarant’anni di carriera. È ovvio che da musicista è una sofferenza vedere i teatri chiusi, ma ritengo che la decisione presa sia stata la migliore. Un’opera come la “Lucia di Lammermoor” deve essere messa in scena con tutte le energie e la qualità che la Scala sa dare. Vista l’emergenza in atto e i casi di positività emersi anche all’interno delle masse artistiche, la scelta del CDA della Fondazione Teatro alla Scala è giusta. Non posso che concordare. L’opera non può essere messa in scena.

Ormai è ufficiale il piano B per il 7 dicembre: un concerto in diretta sulla Rai, senza pubblico in sala. Lei cosa ne pensa?

La decisione di regalare comunque un concerto nella data del 7 dicembre è sicuramente la soluzione migliore. E lo faremo sia per la città di Milano che per tutta l’Italia. Il tutto sarà senza pubblico, sarà strano, è inutile negarlo. Perché con il pubblico si crea un forte collegamento emotivo. Ma nell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, questo è meglio di niente. Si vuole comunque regalare alla città di Milano e a tutti gli italiani la cultura nel giorno di Sant’Ambrogio. Inoltre, ci saranno anche televisioni straniere a seguire l’evento. L’idea è quella di fare anche una data per il balletto e un’altra per il tradizionale concerto di Natale, sempre in diretta e senza pubblico. Ora noi orchestrali siamo in cassa integrazione fino al 3 dicembre, in attesa di riprendere le prove in vista del 7 dicembre. Sarà bello tornare a fare musica insieme ai miei colleghi.

renato filisetti

Come è stato il ritorno al lavoro dopo il lungo periodo di stop a seguito della prima ondata?

È stato intenso, per tanti motivi. Dopo aver affrontato il Covid in prima persona, ho dovuto aspettare dei mesi per poter ritornare completamente in forze. Per poter suonare il trombone è fondamentale aver fiato. Dopo mesi di stop, non mi sembrava vero di poter suonare di nuovo in orchestra. Abbiamo ripreso a settembre per le prove del Requiem di Verdi, che abbiamo eseguito in Duomo a Milano, in Santa Maria Maggiore a Bergamo e a Brescia, nei due luoghi più colpiti dalla prima ondata, alla presenza di medici, infermier e operatori sociosanitari. In particolare, la serata in Santa Maria Maggiore non potrei mai dimenticarla, da musicista, da bergamasco, da persona che ha combattuto questo maledetto virus. Quella sera in me si alternavano momenti di gioia, perché finalmente stavamo suonando dopo tanto tempo, a momenti di tristezza che i mesi passati hanno lasciato nei cuori di tutti noi. Eravamo lì per dimostrare che nonostante tutto il dolore, il mondo andava avanti e che la musica è una medicina per l’anima di tutte le persone.

Dopo l’inizio, sono emerse le prime positività tra gli artisti.

Abbiamo ripreso in assoluta sicurezza. La direzione del teatro ha attuato un protocollo rigido per noi lavoratori. I musicisti suonavano con mascherina FP2, mentre noi fiati eravamo protetti da pannelli di plexiglas. I controlli erano continui. Per queste ragioni noi musicisti ci siamo sentiti sicuri fin da subito. Dopo l’esecuzione del requiem di Verdi a Milano, Bergamo e Brescia, abbiamo lavorato alla Nona di Beethoven, è stata eseguita la Traviata in forma di concerto, c’è stato il gala di ballo con Roberto Bolle e Alessandra Ferri. È con la quinta recita di Aida che sono emerse le prime positività e da lì sono cominciati gli ostacoli alla prosecuzione del lavoro.

Ci racconti la Prima alla Scala. Come è viverla dalla buca?

Prima di iniziare c’è tanta tensione. La percepisci nel momento in cui entri in teatro, alle 2 del pomeriggio circa di ogni 7 dicembre. Oltretutto agli inizi degli anni Ottanta in quella giornata si verificavano sempre manifestazioni o contestazioni fuori dal teatro. Quella di Sant’Ambrogio una giornata importante per Milano, ma anche è un momento di orgoglio per l’Italia. Ogni 7 dicembre gli occhi del mondo sono tutti rivolta alla Scala. In quella giornata entri in teatro, arrivi in buca, ti siedi a leggio. In quel momento prendi consapevolezza che quella non è una serata come tutte le altre. Nel mio caso, la tensione si sblocca sempre nello stesso momento: l’esecuzione dell’inno nazionale italiano. Le luci della sala sono accese, il pubblico è in piedi. Da quell’attimo in poi passa la tensione e arriva l’adrenalina, quella compagna che ti dà la carica e di fa dare il meglio. Proprio mentre stai suonando riesci a realizzare che in quel momento sul teatro ci sono gli occhi del mondo, che stai facendo qualcosa di importante per la cultura e per il tuo paese.

renato filisetti

Come si preparano gli artisti a uno spettacolo del genere?

Il palcoscenico ha un percorso particolare. Le prove di regia iniziano all’incirca un mese e mezzo prima, in una sala apposita del teatro chiamata proprio sala regia. Al tempo stesso il coro, seguito dal direttore, inizia il proprio percorso e i cantanti solisti studiano le parti insieme maestro collaboratore. Poi c’è l’orchestra che inizia con delle prove di lettura. A queste seguono le prove di orchestra con esecuzione all’italiana e poi le prove d’insieme, con regista e direttore. Di recente è stata poi introdotta un’iniziativa a mio parere bellissima: la prima under trenta, che noi siamo soliti chiamare prima zero. Mi sono emozionato quando ho visto i giornali raccontare di ragazzi si sono accampati fuori dal teatro di notte pur di ottenere i biglietti. È una gioia vedere tanti giovani a teatro.

Quarant’anni di carriera in una delle orchestre più famose al mondo. Come li descrive?

Un grande privilegio. Non saprei in quale altro modo descriverli, se non dire di avere avuto il privilegio di far parte di una delle orchestre più importanti al mondo. Grazie alla Scala ho viaggiato per il mondo, ho conosciuto tante persone, ho suonato nei teatri e nelle sale da concerto più importanti nel pianeta. Quando ti ritrovi in quei luoghi, è come sentire il peso della storia sulle proprie spalle. Essere musicista per me è stato anche un viaggio fuori e dentro sé stessi. Perché la musica di permette di vivere da protagonista tutti i sentimenti della vita. Questi quarant’anni in Scala sono stati per me un sogno pieno di fantasia.

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