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L'UE e noi

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Cambiamenti climatici, cattura e stoccaggio del carbonio in Europa

Dopo oltre un secolo di intenso sfruttamento petrolifero, molti serbatoi di olio e di gas si stanno esaurendo. Alcuni di questi giacimenti possono funzionare come siti per uno stoccaggio efficace della CO2.

Gli studi sui cambiamenti climatici effettuati negli ultimi anni hanno posto al centro dell’attenzione generale la questione del riscaldamento globale del pianeta e le sue possibili relazioni con il progressivo innalzamento della concentrazione atmosferica di alcuni gas, tra cui, in particolare, l’anidride carbonica o biossido di carbonio (CO2), ritenuti responsabili del cosiddetto “effetto serra”.

La comunità scientifica è concorde nel riconoscere l’esistenza di un effetto serra naturale, ma vi sono divergenze nel definirne l’impatto sugli scenari climatici futuri.

Una vasta base di dati scientifici, ricavati dall’analisi delle calotte glaciali polari, dimostra che a partire dal XIX secolo è in atto un incremento di concentrazione della CO2 atmosferica. Questo incremento è in larga parte dovuto all’attività dell’uomo e, in particolare, all’utilizzo di combustibili fossili (carbone, olio, gas naturale), per la produzione di energia. Gli ultimi rapporti scientifici redatti dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), istituito nel 1988 sotto il patrocinio dell’ONU, quantificano in 100 ppm (parte per milione) l’incremento della concentrazione atmosferica della CO2 dall’epoca preindustriale, che era di 280 ppm, ad oggi, che è di oltre 400 ppm, e indicano, per il periodo attuale, una velocità di crescita più elevata rispetto al passato, pari a circa 1,9 ppm/anno.

Per bloccare e, se possibile, diminuire l’aumento della concentrazione, è stato elaborato un piano di riduzione delle emissioni di gas serra, i cui principi ispiratori ed indirizzi operativi sono contenuti nel cosiddetto Protocollo di Kyoto: Trattato internazionale in materia ambientale, sottoscritto nel 1997 nell’ambito della terza Conferenza, nel quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), entrato in vigore nel 2005. Diverse opzioni sono state proposte, per stabilizzare la concentrazione atmosferica della CO2.

Alcune valutazioni scientifiche, di tipo economico e tecnico, hanno dimostrato che la separazione e la raccolta della CO2, prodotta dagli impianti industriali, e la sua successiva iniezione e stoccaggio in formazioni geologiche profonde, è una delle opzioni più promettenti, tra quelle attualmente prese in considerazione. Ne sono conferma i diversi progetti in corso in varie zone del mondo: Norvegia, Canada, Stati Uniti, Giappone, Algeria, che prevedono lo stoccaggio geologico della CO2, sia in acque marine, sia in precedenti giacimenti di gas e/o petrolio, parzialmente o totalmente esauriti. La crescente domanda di riduzione dei gas climalteranti nell’atmosfera, ha dato impulso ad un vero e proprio filone di ricerca incentrato sulle problematiche dello stoccaggio geologico dell’anidride carbonica. Il processo per la cattura e lo stoccaggio della CO2 è relativamente semplice. Il problema, attualmente, è rappresentato dai costi, che devono essere ridotti. Tutto il processo della cattura e del sequestro della CO2 viene a costare circa 70 dollari a tonnellata. Ma i progressi nella tecnologia di cattura, che rappresenta il maggior costo, e un’adeguata politica di tassazione delle emissioni dovrebbe, quanto prima, ridurne i costi e rendere conveniente il sequestro e lo stoccaggio.

Nell’aprile del 2009 il Parlamento europeo, con la Direttiva numero 31, ha accolto le proposte della Commissione e ha invitato gli Stati membri ad intervenire nel percorso di riduzione del CO2 nell’atmosfera, attraverso un progetto molto interessante, che si articola su alcune azioni, strettamente collegate tra di loro: cattura, trasporto, stoccaggio. Questo tipo di intervento, per quanto complesso e costoso, permette alle aziende energivore, che sono circa 13.000 in Europa, 1.300 in Italia, e circa 250 nella Provincia di Bergamo, di annullare o di ridurre le emissioni di biossido di carbonio, emesse nei processi di lavorazione. Le aziende ritenute energivore rientrano nelle: Attività di produzione di energia con combustibili tradizionali; Produzione e trasformazione dei metalli ferrosi; Industria dei prodotti ceramici e laterizi, cemento, calce, vetro; Pasta per carta/carta e cartone.

Tutte queste aziende devono contribuire a ridurre il cambiamento climatico, attraverso una riduzione annuale delle emissioni climalteranti, che possono essere ottenute, o attraverso investimenti in efficienza energetica, o attraverso l’acquisto di crediti energetici, ottenuti da industrie e da privati, o dalla cattura e dallo stoccaggio della CO2 emessa. La CO2 viene catturata e separata dagli altri fumi di scarico di una centrale o di un’industria. Successivamente la CO2 viene compressa fino alla liquefazione e trasportata, spesso attraverso Ciodotti, fino al sito del sequestro, dove viene pompata nel sottosuolo, La pressione che esiste, a partire dagli 800 metri di profondità, mantiene sempre liquida l’anidride carbonica.

È necessario scegliere il sito con caratteristiche mineralogiche e geologiche giuste, perché rimanga stoccata a lungo. Cattura della CO2: esistono tre sistemi per la cattura della CO2. Ciascuno di questi sistemi ha caratteristiche che consentono l’utilizzo prima della combustione o dopo, mediante la separazione dal gas di scarico. Dopo la cattura è necessario organizzare il trasporto del biossido di carbonio. Il luogo dello stoccaggio può trovarsi anche a centinaia di chilometri dal centro dove la CO2 viene catturata. Per agevolare il trasporto, la CO2 viene compressa, in modo da portarla a uno stato in cui il volume viene ridotto a circa lo 0,2% del suo volume, quando si trova a temperatura e pressione normali. In questo modo, condutture ad alta pressione possono trasportare enormi quantità di CO2. Attualmente sono in funzione migliaia di km di tubature per il trasporto. La lunghezza varia, ad es. la tubazione Cortez, nel mare della California, arriva a 808 km.

Lo stoccaggio geologico avviene, spesso, in giacimenti ormai esauriti di olio e gas. Dopo oltre un secolo di intenso sfruttamento petrolifero, molti serbatoi di olio e di gas si stanno esaurendo. Alcuni di questi giacimenti possono funzionare come siti per uno stoccaggio efficace della CO2. Essi hanno una serie di caratteristiche particolarmente attrattive per questo scopo, perché sono ben conosciuti dal punto di vista geologico, inoltre conservano ancora alcune parti del vecchio impianto di produzione di idrocarburi, che sono molto utili per trasportare e iniettare la CO2. Per altro, lo stoccaggio del gas naturale nel sottosuolo è stato per molti decenni parte integrante dell’industria del gas naturale.

Il gas naturale, abitualmente, viene iniettato, immagazzinato ed estratto da centinaia di campi di stoccaggio nel sottosuolo. Lo stesso procedimento può facilmente avvenire per lo stoccaggio della CO2. Dal 2006, in seguito alla modifica del Protocollo di Londra del 1996 (Prevenzione dell’inquinamento marino). viene utilizzato anche lo stoccaggio geologico in giacimenti profondi di acque marine. Attualmente si sta iniettando oltre un milione di tonnellate all’anno di CO2 in un giacimento profondo di acque marine a Utsira, nel settore norvegese del Mare del Nord. Questo deposito, che si trova a una profondità di circa 800 m, è costituito da una base di sabbia e da una copertura di rocce. Secondo le previsioni della Commissione europea, entro il 2030 sarà possibile stoccare circa 200 milioni di tonnellate di CO2 in diversi e opportuni siti.

Scelta dei siti di stoccaggio. Ogni Stato designa le zone all’interno delle quali vanno scelti i siti adatti allo stoccaggio, cioè ove non vi sia un rischio significativo di fuoruscita e non sussistono rischi rilevanti per l’ambiente e per la salute. In Italia disponiamo già di una mappa dei siti, adatti ad accogliere la CO2: l’INGV (Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia) ha già catalogato i punti geologicamente adatti a ospitare depositi di CO2. La Regione Lombardia, con Deliberazione di Giunta, Regolamento n° 8/10966 del 30/12/2009, B.U. 2° Supplemento straordinario del 26/01/2010: “Programma delle ricerche e sperimentazione in materia di cattura e confinamento dell’anidride carbonica” ha indicato i siti di stoccaggio e le procedure per le autorizzazioni. Le Licenze di esplorazione vengono rilasciate ai soggetti in possesso delle capacità necessarie. Il titolare di una Licenza di esplorazione ha il diritto esclusivo di esplorazione del potenziale complesso geologico che verrà destinato allo stoccaggio della CO2.

L’ENI (Corriere della sera 20/09/20) ha in programma di ridurre, per il 2050, l’80% della quota assoluta di gas serra provocata dalle sue aziende, superando la quota del 70% suggerita dall’ IEA (International Energy Agency, Agenzia Internazionale dell’Energia), attraverso, non solo l’efficienza energetica; il gas, in sostituzione del carbone; e le energie rinnovabili; ma soprattutto attraverso il sistema della CCS. Secondo i dirigenti di questa importante società, la cattura e lo stoccaggio della CO2 rappresenta un sistema sicuro ed efficace, tanto più che sono disponibili giacimenti di gas, esauriti o in via di esaurimento, nel Mediterraneo e a Ravenna. Dal 2025 potrebbero essere stoccate da 4 a 5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, per arrivare a 500, con un investimento totale di due miliardi di euro. Un progetto analogo verrà sviluppato da ENI in UK, nella Baia di Liverpool.

Il futuro utilizzo dell’anidride carbonica confinata nei siti. Emerge sempre più la possibilità di utilizzare la CO2 confinata nei pozzi, attraverso interventi chimici, per la trasformazione in metano biologico (CH4) liberando l’ossigeno e unendo l’idrogeno al carbonio e, secondo i piani dell’ENI, ottenere, successivamente, Idrogeno, da metano decarbonizzato. Da un punto di vista tecnico il problema è stato già risolto, si tratta solo di ridurre i costi.

L’ENEA, grazie a un brevetto dell’ing. Capriccioli ha iniziato, tramite il metano biologico, a utilizzare l’idrogeno come vettore energetico, verso il power to gas, utilizzando la corrente negli elettrolizzatori (processo di ionizzazione), i quali, grazie al passaggio della corrente (ottenuta con energie rinnovabili), dissociano l’acqua in idrogeno e ossigeno. L’idrogeno viene unito al carbonio, preso dal giacimento; l’ossigeno viene utilizzato in altri settori. Il problema attuale è che i produttori di elettrolizzatori hanno sempre investito per produrre grandi apparati. Ciò ha comportato l’aumento del loro costo, ma le risorse energetiche rinnovabili hanno drasticamente cambiato le precedenti conclusioni ingegneristiche, che si applicavano alla produzione energetica, ottenute con i combustibili fossili: grandi impianti con grandi rendimenti. Oggi è necessario, secondo l’ing Capriccioli, produrre elettrolizzatori a prezzi minori, che massimizzino il rapporto rendimento/costi. Da ciò è nata l’idea, e poi un brevetto PCT (Patent Cooperation Treaty: Brevetto internazionale) di un elettrolizzatore completamente diverso e innovativo, che abbatta i costi di costruzione e aumenti di almeno tre volte il rapporto rendimento/costi. Questo nuovo elettrolizzatore (di nome Helios) funziona egregiamente in laboratorio e si interfaccia ad un reattore in grado di produrre metano. La qualità del metano biologico prodotto e i relativi costi, potranno portare, entro breve, a tempi di ammortamento degli investimenti accessibili, e aprirà interessanti possibilità di utilizzo, soprattutto nella mobilità, del metano biologico e, successivamente, all’uso dell’idrogeno, come vettore energetico.

*Antonello Pezzini nasce in provincia di Novara nel 1941. Si laurea in filosofia e consegue due master, ha un trascorso da preside di liceo, da consigliere comunale della Dc a Bergamo, da presidenza della locale Associazione Artigiani a membro del CDA dell’Istituto Tagliacarne. Sviluppa uno spirito imprenditoriale nel settore dell’ abbigliamento e ha insegnato economia all’Università degli Studi di Bergamo. La passione per l’energia sostenibile è più recente, ma in breve ne diventa un esperto in campo europeo: oltre alla carica al Cese, è membro del CDA di un’azienda che si occupa di innovazione tecnologica e collabora con società di consulenza energetica.  Dal 1994 è membro del Comitato Economico e Sociale Europeo in rappresentanza di Confindustria.

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