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La nipote di borsellino

Roberta Gatani: “Affrontare la mafia oggi richiede un impegno maggiore rispetto al passato” fotogallery video

Ospite a Bergamo per una serie di incontri per presentare il suo libro "Cinquantasette giorni", l'autrice ricorda a cuore aperto lo zio: "Era consapevole di essere un bersaglio ma nonostante questo continuò a fare il suo lavoro"

Bergamo. Parole preziose, i ricordi inestimabili di una persona che ha avuto la possibilità di vedere con i propri occhi il desiderio di giustizia che caratterizzò il lavoro di un funzionario dello Stato che mise il suo compito al primo posto fino agli ultimi istanti. Roberta Gatani, nipote del magistrato Paolo Borsellino assassinato nella Strage di via d’Amelio, ha dedicato la sua vita a fare in modo che l’eredità dello zio non vada perduta ma anzi continui ad ispirare le nuove generazioni verso un futuro migliore.

Ospite in città per una serie di incontri con studenti e cittadinanza finalizzati alla presentazione del suo nuovo libro – “Cinquantasette giorni. Ti porto con me alla Casa di Paolo” -, l’autrice siciliana offre spunti e riflessioni che geograficamente spaziano dalla ‘sua’ Palermo fino alla ‘nostra’ Bergamo.

Un libro che è incentrato sulla finestra temporale che si estende dal 23 maggio 1992 al 19 luglio dello stesso anno, i 57 giorni che separano i drammatici attentati verso Giovanni Falcone, la Strage di Capaci, e Paolo Borsellino.

“In quei giorni vanno cercate molte risposte – commenta Roberta Gatani -. Nelle pagine del libro ho provato a mostrare l’umanità di un uomo consapevole di essere il prossimo bersaglio: sapeva che il tempo a sua disposizione fosse poco, ma ha preso lo stesso la decisione di continuare il suo lavoro. Era un uomo di Stato, credeva nell’importanza di adempire al suo compito”.

Roberta racconta anche della Casa di Paolo, il progetto del fratello del magistrato, Salvatore, di cui è responsabile dal 2016. “Il nostro obiettivo è consentire ai bambini del quartiere Kalsa di Palermo di scegliere il tipo di vita che desiderano fare – racconta -. Chi nasce in contesti difficili cresce convinto di non avere il diritto di sognare un futuro diverso, convinto che sia più giusto rubare che lavorare in un ufficio”.

“La memoria più cara che possiedo di mio zio è quel sentimento di gioia misto dolore che provavamo da bambini quando veniva a trovarci a casa – ricorda Roberta, sorridendo -. Sapevamo che avrebbe iniziato a rincorrerci per darci dei morsi sulle guance: ‘fattene dare un altro che ti do mille lire’ ci diceva, cercando di corromperci”.

La lotta contro la mafia si è forse trasformata, mutando le sue modalità, ma rimane oggi necessaria esattamente come lo era trent’anni fa. “Affrontare la mafia oggi richiede un impegno maggiore rispetto al passato – sottolinea l’autrice -. È diventato difficile capire dove si annida: si è vestita elegante, ha studiato ed è andata a ricoprire posti di potere. Lo sguardo critico deve essere esercitato molto di più”.

“Dopo la Strage di Capaci è cambiato qualcosa nella testa delle persone: prima erano quasi infastidite dai magistrati, facevano un lavoro che ai cittadini sembrava riguardare poco – prosegue -. Dopo il 23 maggio 1992 la mafia è diventata un problema che riguardava chiunque, anche i semplici cittadini. Paolo ha avuto la fortuna di vedere questo risveglio delle coscienze e per i 57 giorni successivi ha sentito come la gente facesse il tifo per magistrati. Il suo spirito si è mantenuto vivo, nonostante oggi ci illudiamo che la mafia non sia più un problema di primo piano. È fondamentale che la memoria si trasformi in impegno quotidiano, 365 giorni l’anno”.

Parlare di mafia non significa discutere di un fenomeno lontano dalla Bergamasca, anzi: è un problema che riguarda strettamente i nostri territori. “La mafia non è presente solamente nel Sud Italia, ma in particolar modo nei territori più ricchi della nostra nazione – afferma la donna -. Non si tratta più di infiltrazioni, è un fenomeno ormai radicato sul territorio: in questi giorni ho sentito parlare di un numero esagerato di beni confiscati alla mafia in queste zone, cose fino a poco tempo fa impensabili. Al Nord è necessario aprire gli occhi e ottenere gli anticorpi che noi siciliani abbiamo dovuto procurarci per necessità”.

Ieri (mercoledì 13 marzo), verso le 12, si è svolta una piccola commemorazione in via Paolo Borsellino a Bergamo. Alla cerimonia, oltre alla nipote del magistrato, hanno partecipato alcuni ragazzi del Liceo Mascheroni, l’assessore alla Legalità del Comune di Bergamo Marzia Marchesi, alcuni docenti – tra cui la responsabile Marzia Ferraris – e i rappresentanti della Polizia locale.

“Paolo Borsellino è stato un grande servitore dello Stato – dichiara Marchesi -. Benché ai funerali i famigliari non hanno voluto la rappresentanza dell’esecutivo di allora, lui e Falcone sono stati due uomini che per lo Stato hanno sacrificato la vita: dobbiamo continuare sulla strada da loro tracciata sapendo di far parte di uno Stato che vuole essere nella legalità e rifiuta con forza la criminalità organizzata”.

 

commemorazione Borsellino

 

Alle 18 l’autrice si è confrontata, nell’auditorium del Liceo Mascheroni, con gli studenti – che le hanno rivolto moltissime domande, dall’Agenda Rossa alla Casa di Paolo – in un incontro moderato dal giornalista Luca Bonzanni.

Occasioni di cittadinanza attiva per i ragazzi del liceo cittadino, per ribadire ancora una volta come Bergamo e i bergamaschi siano riconoscenti nei confronti di una persona che ha posto il suo radicale attaccamento alla giustizia al primo posto fino all’ultimo giorno.

 

 

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