Bergamo. Un discorso dalle cui parole affiora in modo travolgente il desiderio di trasmettere la passione per una disciplina alla quale ha dedicato la sua intera vita professionale e accademica.
È una voce lucida e viva quella di Roberta Frigeni, direttrice del Museo delle Storie di Bergamo, ospite alla nuova puntata della rubrica ‘Discorsi al caminetto’. Una voce che presenta sì la nuova mostra inaugurata lo scorso 1° dicembre – Le Mura nella Storia. Tesori di una città-fortezza del Rinascimento -, ma offre anche una panoramica sulle dinamiche e sulla direzione presa da una delle più importanti istituzioni culturali cittadine.
Roberta Frigeni, bergamasca – di Valtesse – e medievista, ha avuto una carriera fondamentalmente incentrata sulla ricerca, a partire dalla laurea all’Università di Milano fino al dottorato ottenuto all’ateneo di Bologna e agli studi a Napoli. A Bergamo è tornata con una nuova veste, come direttrice di un’istituzione che non è un ‘museo’ nel senso tradizionale del termine, in quanto non confinata in unico luogo fisico ma formata da una rete diffusa composta da sei tra gli edifici della città a maggior carattere storico (“Abbiamo declinato il termine ‘storie’ volutamente al plurale. La missione del museo è quella di raccontare la storia di Bergamo in senso diacronico: più musei perchè la Storia è fatta di storie, con una voluta convivenza di pluralità”).
Ad inizio dicembre la rete museale ha inaugurato una nuova mostra in chiusura dell’anno della Cultura, un’esposizione figlia di anni di ricerca archivistica allestita al primo piano del Palazzo della Podestà e aperta al pubblico fino al 17 marzo. La direttrice ha spiegato come “la mostra racconta sì il Cinquecento ma va anche oltre, lasciando un’eredità tangibile sul tema della titolazione Unesco della fortezza. L’esposizione ha l’obiettivo di permettere al visitatore di rivivere le Mura di Bergamo ed è in grado di dialogare con tutti i cittadini”.
Allargando il nostro sguardo l’ex docente universitaria ha esplorato il significato del Museo per la città di Bergamo: “La parola chiave in questo senso è comunità: un museo di storia stringe un rapporto quasi affettivo con la sua comunità di riferimento. La nostra istituzione possiede una storia di oltre 100 anni che nacque con un gesto, il dono di documenti e fotografie da parte della comunità per la creazione del primo nucleo museale, il Museo del Risorgimento, e ancora oggi i bergamaschi destinano al Museo la propria memoria. Credo che un’esposizione diventi veramente Museo se si dimostra in grado di rendere ragione della relazione quotidiana con il suo pubblico e la sua comunità”.
Infine, la direttrice tocca il tema del rapporto con le nuove generazioni e della capacità del Museo di comunicare verso l’esterno, in un tempo in cui ogni cosa si muove ad altissima velocità (“Fondamentale adottare un linguaggio accogliente che includa le grammatiche giovanili senza tuttavia schiacciarsi su di esse: occorre saper ascoltare come i giovani parlano mantenendo solida la base scientifica di ciò che si racconta”).
Nella speranza che la diffusione e l’insegnamento della Storia e di tutti i valori che essa può trasmettere non smettano mai di essere una prerogativa del nostro presente.
Nel video in apertura l’intervista completa alla direttrice.
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