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L'incontro

Strage di piazza della Loggia, Manlio Milani: “Un processo di disumanizzazione”

Il sopravvissuto all'attentato alla manifestazione antifascista porta la sua testimonianza ai ragazzi del Liceo Scientifico Mascheroni

Bergamo. A 50 anni dalla strage di Piazza della Loggia, il Centro di Promozione della Legalità invita ad una mattinata di riflessione sui fatti avvenuti il 28 maggio 1974 a Brescia, quando una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione antifascista, provocando la morte di 8 persone e il ferimento di altre 102.
Il 26 marzo alle 11 si sono riuniti nell’Aula consiliare di Palazzo Frizzoni di Bergamo i ragazzi del Liceo Scientifico Mascheroni per assistere alla testimonianza di Manlio Milani, sopravvissuto alla strage.

“Abbiamo il privilegio di ascoltare il racconto di Manlio Milani, testimone e sopravvissuto alla strage di piazza della Loggia – introduce così l’incontro l’assessora alla Pace e Educazione alla Cittadinanza del Comune di Bergamo Marzia Marchesi -. La strage rientrava nella strategia della tensione: si usavano, dunque, attacchi terroristici per destabilizzare la Repubblica. Il popolo italiano riuscì a reagire a questi attentati, anche se purtroppo non abbiamo ancora la verità: questa è una lacuna gravissima. Dobbiamo rispondere alla strategia del terrore con la scelta che sta dalla parte della verità”. “Siamo qua per mantenere in vita il suo lavoro: Manlio Milani è stato testimone della forza reattiva democratica”, aggiunge la professoressa del Liceo Scientifico Mascheroni Elena De Petroni.

Milani ha perso la moglie e alcuni amici in quel tragico evento. Da quel giorno ha cercato di dargli un senso, ha cercato la verità giudiziaria e di imparare dai processi: in poche parole, ha cercato di passare da vittima a testimone. E’ diventato successivamente Presidente dell’Associazione familiari dei caduti di Piazza della Loggia, nonché uno dei fondatori della Casa della Memoria di Brescia. Inoltre, nel 2020 gli è stata conferita la Laurea magistrale Honoris Causa in Giurisprudenza dall’Università degli Studi di Brescia.

“A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, con la divisione dell’Europa in due blocchi contrapposti, l’Italia scelse con le elezioni del 1948 di appartenere al blocco statunitense: questo creò il primo squilibrio per il sistema di alleanze, dovuto alla presenza forte del comunismo – inizia il suo intervento il testimone dell’attentato -. Occorreva, infatti, impedire a ogni costo che il Partito Comunista Italiano andasse al potere: questo era l’obiettivo principale del terrorismo nero. Inoltre, il valore della persona e il riconoscimento del pluralismo come modalità di accoglienza dell’altro erano i due principi fondamentali della carta costituzionale, la quale non veniva riconosciuta dai terroristi di tutti i colori. La strategia della tensione, quindi, cerca di mettere in discussione le origini della nostra Repubblica”. Queste sono le premesse che hanno portato alla strage.
Con questa manifestazione antifascista, indetta per protestare contro una serie di attentati avvenuti nella zona, i partiti di sinistra e le organizzazioni sindacali volevano dire di no alla violenza e sottolineare che ad essa bisogna rispondere con la forza della democrazia, la quale si basa proprio sulla partecipazione delle persone.

“Io, mia moglie e dei nostri amici, ci siamo riuniti la sera prima ed eravamo molto contenti dello sciopero, perché era una nostra scelta. Noi, oltre a partecipare allo sciopero, abbiamo deciso di manifestare in piazza. Quando arriviamo è piena di persone. Cerchiamo i nostri amici, li vediamo e ci avviciniamo, e nel momento in cui siamo a pochi metri da loro il caso interviene: un mio amico mi chiede un’informazione. E lì ci separiamo. Quando faccio per avvicinarmi nuovamente a loro, ci salutiamo, e nel salutarci arriva lo scoppio – continua il suo racconto Manlio Milani -. Vivere una violenza in diretta è sconvolgente. Inizialmente pensavo fosse un petardo, quando vedo quei corpi stesi a terra mi getto tra loro cercando mia moglie, con un solo pensiero: ‘speriamo che a lei non sia successo niente’ “.

I primi effetti dell’esplosione sono stati, per il sopravvissuto, rabbia e perdita di fiducia nelle persone. Si è chiesto come potesse agire per dare un senso alla violenza subita. “Uscito dall’obitorio, sono andato in quella piazza, che è come se mi dicesse che la bomba non aveva colpito solo me. E’ stato un fatto pubblico, non privato, perché ha voluto mettere in discussione il sistema democratico. Deve essere una riflessione di carattere collettivo: se quella bomba ha come obiettivo la messa in discussione delle istituzioni, allora compete a noi cittadini organizzare la risposta”, continua il testimone della strage.

La strage di piazza della Loggia è considerata uno degli attentati più gravi degli anni di piombo, assieme alla strage di piazza Fontana, alla strage del treno Italicus e alla strage di Bologna. Riguardo a queste, Pasolini scriveva che la strage di piazza Fontana era una strage di provocazione, perché anticomunista, mentre la strage di piazza della Loggia era una strage di intimidazione, contro l’antifascismo. Dopo molti anni di indagini, depistaggi e processi, furono condannati alcuni membri del gruppo neofascista Ordine Nuovo: quali esecutori materiali furono riconosciuti Maurizio Tramonte, assieme ai già detenuti Carlo Digilio e Marcello Soffiati; come mandante fu condannato in appello Carlo Maria Maggi. Gli altri imputati, tra cui Delfo Zorzi, il generale Francesco Delfino e Pino Rauti, furono assolti. Fino al 2017, Milani afferma di aver sentito il peso della loro impunità: quella sentenza ha fissato nella storia i nomi delle persone che hanno commesso i fatti, ma soprattutto le ragioni per cui loro erano lì a manifestare.

“Le stragi sono un processo di assoluta disumanizzazione delle persone. E’ il male assoluto perché non tiene conto del valore della vita delle persone. Vogliono determinare una condizione di paura e insicurezza” – commenta Manlio Milani -. Negli anni ho incontrato anche dei terroristi di sinistra, perché mi sono chiesto come mai loro avessero scelto la strada della violenza diversamente da me, nonostante i nostri ideali fossero gli stessi. Penso che la mia esperienza in fabbrica e il dialogo con i sindacati siano diventati per me una grande indicazione personale: dialogando si possono trovare altre strade e soluzioni”.

Conclude la sua testimonianza con un appello ai ragazzi: “In tutte le vostre lotte ricordatevi questo: non dovete superare il limite della non violenza. Questo impariamo dagli anni ’70. Bisogna avere fiducia che anche nelle condizioni più difficili l’uomo può cambiare. E questo dipende da noi”.

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