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Il ricordo

Manganelli contro i giovani a Pisa, Macario: “Come a Lovere nel 2016”

Il segretario provinciale del Partito della Rifondazione Comunista di Bergamo ed ex assessore del Comune di Bergamo: "Quelle immagini riportano alla memoria un caso che suscitò parecchie polemiche nel Bergamasco"

I manganelli usati contro i ragazzi che partecipavano ai cortei pro-Palestina a Pisa hanno fatto molto discutere. Quanto accaduto ha portato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a prendere posizione attraverso una nota ufficiale diffusa dal Quirinale.

Con questo comunicato il Capo dello Stato “ha fatto presente al Ministro dell’Interno (Matteo Piantedosi, ndr), trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”.

Quelle immagini riportano alla memoria un caso che suscitò parecchie polemiche nel Bergamasco. Francesco Macario, segretario provinciale del Partito della Rifondazione Comunista di Bergamo ed ex assessore del Comune di Bergamo, ricorda: “Vedere i ragazzi colpiti a Pisa ha richiamato alla mia mente un avvenimento che ho vissuto in prima persona il 28 maggio 2016 a Lovere. Ogni anno in questa data esponenti di frange dell’estrema destra organizzano una cerimonia di commemorazione in ricordo di due fascisti appartenenti alla Legione Tagliamento, che vennero uccisi nel 1945. Molte organizzazioni fra cui l’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, ndr) la contestano perché nell’occasione vari partecipanti inneggiano al duce, fanno saluti romani e riferimenti al fascismo”.

“Nel 2016 è stato loro consentito di salire in corteo al cimitero loverese, dove si erano già recati l’anno prima a sorpresa. Nel 2015, però, in base a quanto riportato da alcuni presenti, si sono resi protagonisti di atti di vilipendio e spregio ad alcune lapidi di partigiani, esponenti della Resistenza antifascista e vittime del nazifascismo. Sospettando che potessero ripetere questi gesti, per tutelarle, nel 2016 abbiamo organizzato un presidio a cui presero parte una quarantina di persone, fra le quali tanti anziani e alcuni giovani. Non si trattava di persone mascherate: nessuno indossava passamontagna o impugnava oggetti contundenti, ma erano in calzoncini e semplici calzature perché quel giorno faceva caldo. La prefettura ci autorizzò a salire nella zona del cimitero e gli agenti a cui era stata demandata la tutela dell’ordine pubblico ci relegarono in un angolo della piazza contenendoci con un cordone di poliziotti. Al momento dell’ingresso in cimitero, i partecipanti alla commemorazione si trovavano a est dell’area, mentre noi eravamo a ovest. I poliziotti continuavano a spingerci con gli scudi verso gli altri manifestanti: da parte nostra non è chiaro il motivo di quest’azione, mentre secondo la loro tesi l’hanno fatto perché ci spingevamo con la schiena contro gli scudi. A un certo punto un agente mi ha detto che mi avrebbe menato, così sono scappato via: mi ha rincorso per diversi metri e mi ha colpito con il manganello rompendomi gli occhiali. L’impatto è stato piuttosto forte: avevo il sopracciglio, l’occhio e la parte destra del volto tumefatta. Era alle mie spalle, ma mi colpì in faccia in modo che potesse sembrare che non fosse lui a seguirmi ma fossi stato di fronte a lui per aggredirlo”.

“Poco dopo un anziano di 70 anni spinto con lo scudo da un poliziotto ha alzato una mano in protesta: gli agenti sostengono che avesse colpito al viso uno di loro, ma è difficile pensare che avesse potuto farlo considerando che il poliziotto indossava tutte le protezioni, aveva il manganello e, come detto, era dotato di scudo protettivo. L’anziano venne manganellato, poco dopo toccò a un ragazzo e successe un parapiglia. Subito dopo l’accaduto mi recai in ospedale e i medici mi diedero quattro giorni di prognosi. Diverse ore dopo l’agente che mi ha colpito si è presentato in una clinica bergamasca sostenendo di aver avuto un trauma alla caviglia anche se è difficile pensare che possa averlo subito perché indossava gli scarponi. Il medico stesso non ha rilevato segni ma gli ha dato una prognosi superiore alla mia. Quella del 70enne, invece, è stata di sei giorni nonostante avessero dovuto mettergli dei punti alla testa perché con il manganello gli avevano rotto il cranio e aveva dovuto restare due giorni in ospedale”.

 

cimitero lovere resistenza

 

Da questo accadimento si svolsero due processi. Macario racconta: “Abbiamo denunciato i poliziotti per averci aggredito. Non è stato possibile riconoscere gli agenti che hanno colpito l’anziano e il giovane, perché nel caos non hanno visto chi fossero. Io sono riuscito a capire chi fosse la persona che mi aveva colpito perché prima di inseguirmi mi aveva minacciato e c’è anche un video in cui si scorge il suo volto: lo avevo identificato ma non è servito. Al termine del procedimento il giudice stabilì che siamo stati ingiustamente aggrediti dai poliziotti non avendo fatto nulla ma essendo io parte in causa rimaneva un ragionevole dubbio su chi fosse l’agente che mi manganellò, quindi non si è potuto stabilire chi fosse”.

“Durante il processo – aggiunge Macario – abbiamo esibito una foto in cui si vede che un agente presente alla manifestazione indossava una spilletta raffigurante una croce celtica. Il giudice non l’ha ammessa come prova della parzialità del poliziotto in questione perché questo stemma avrebbe potuto avere, parole testuali, “un significato più antico”: immagino che probabilmente intendesse un significato religioso, considerando che lo zoroastrismo, una religione dell’Iran antico, lo aveva per simbolo… L’ipotesi era che fosse zoroastriano anziché simpatizzante dei cultori delle croci celtiche e dei fasci littori…? Sinceramente siamo rimasti basiti”.

Infine, Francesco Macario conclude: “Il secondo processo è stato intentato dalle forze dell’ordine contro di noi. Siamo stati denunciati in dieci: io, il 70enne e altre otto persone del presidio antifascista perché secondo gli agenti saremmo stati noi gli aggressori. Non è stato implicato il giovane perché era stato colpito alla schiena, quindi non avrebbe potuto risultare aggressore. Alla fine venne stabilito che non c’era alcun motivo per cui la polizia avrebbe dovuto caricarci. Avremmo dovuto dimostrare di non averli aggrediti e ci siamo riusciti: nove di noi sono stati assolti perché il fatto non sussisteva, mentre il 70enne è stato condannato per aver compiuto un’azione violenta nei confronti dei poliziotti”.

“Gli agenti – annota – Francesco Macario – facevano parte della squadra di un reparto della celere di Torino. Sul posto c’erano anche carabinieri in ordine pubblico, schierati dove c’erano i manifestanti a ricordo dei due fascisti, ma con loro non si verificò alcun problema”.

 

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