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Artisti nella pandemia

Italo Chiodi: “La mia reazione al Covid? Disegno fiori, la natura più fragile”

"Nei primi mesi era come sentirsi in una centrifuga, senza punti di appiglio o punti fermi. Curiosamente, i ritmi insoliti mi fornivano costantemente idee e sviluppi nuovi del lavoro che stavo progettando. Ho sempre sostenuto come artista che l’atto creativo nasce in molti casi dalla capacità di sapere 'abitare' i luoghi attraversati, soprattutto i più inaspettati".

Italo Chiodi non ha bisogno di presentazioni. Per chi si occupa d’arte a Bergamo Chiodi è una personalità molto nota, da sempre impegnato a considerare l’arte un avamposto del pensiero libero e dello spirito critico.

Docente di Disegno e di Didattica dei linguaggi artistici a Brera, l’artista bergamasco si è distinto fin dagli esordi per l’utilizzo di materiali essenziali e colori poveri e per un’attenzione elettiva alle energie primigenie della natura, ai suoi ritmi e ai suoi valori simbolici.

Ma la vocazione di instancabile sperimentatore e di alchimista lo ha portato anche a incursioni imprevedibili in colori e forme quasi marziane, come nel caso della memorabile mostra monocroma tutta in Blu Klein allestita alla Galleria Viamoronisedici di Bergamo nell’autunno 2014.

È la natura, comunque e sempre, lo stimolo primo della sua creatività, una natura che continua a stimolarne la ricerca. “La natura – spiega Chiodi – si scompone e si ricompone nel mio sguardo e nella mia poetica, trovando forme e declinazioni esplorative. Soprattutto in questo rallentamento temporale, dovuto alla pandemia, la natura ha preso il sopravvento nei miei sensi percettori. Il silenzio, il vuoto, anche l’aria meno inquinata, la lentezza del tempo, tutto ciò mi ha reso più sensibile alle tematiche che inseguo. L’altro aspetto sul quale sto riflettendo è il concetto di doppio, una sorta di indagine negli aspetti dialoganti delle cose: anche in questo caso, scomposizioni e ricomposizioni”.

Quanto hanno inciso sul suo lavoro la reclusione forzata e le distanze fisiche imposte dal lockdown?

Sicuramente all’inizio è stato un po’ disorientante perché ci siamo trovati in una situazione insolita e inaspettata. C’era la sensazione di essere all’interno di un punto di rottura, in un territorio di confine che avrebbe segnato un prima e un dopo. Per me il disorientamento si è sviluppato su due binari: da un lato la mia situazione scolastica, nella veste di docente e di responsabile di una parte organizzativa dell’Accademia di Brera, dall’altro la mia attività di artista che stava preparando due mostre, che naturalmente sono saltate. Nei primi mesi era come sentirsi in una centrifuga, senza punti di appiglio o punti fermi. Curiosamente, i ritmi insoliti mi fornivano costantemente idee e sviluppi nuovi del lavoro che stavo progettando. Ho sempre sostenuto come artista che l’atto creativo nasce in molti casi dalla capacità di sapere “abitare” i luoghi attraversati, soprattutto i più inaspettati. Non avevo il pieno controllo delle idee e del mio sguardo, sballottato dagli eventi, e tutto fluiva con naturalezza.

È un talento trovare risorse in momenti di crisi.

Credo che l’artista, proprio per questo, debba saper osservare ciò che lo circonda: il qui e ora, dentro nel mondo. La sensibilità del suo sguardo deve rivolgersi al dove apparentemente non si vede niente. Mi verrebbe da dire che nel “vuoto” l’artista fa fermentare il “pieno”. Il tempo che abbiamo vissuto, e non abbiamo ancora superato, sicuramente, ha offerto molti vuoti e silenzi che sono stati per me una ricchezza. Mi riferisco naturalmente alla condizione poetica, il resto ci ha fatto vivere aspetti inquietanti.

Il digitale sembra una strada senza ritorno. Che valore ha per lei: risorsa? limite? condanna?

Anche per quanto riguarda la digitalizzazione, per me si è mosso tutto su due binari. Sul fronte accademico, molto complesso per l’aspetto prettamente didattico e sul piano organizzativo: la digitalizzazione comunque ci ha aiutato a parare un po’ il colpo. Per quanto riguarda invece la parte artistica, mi sono nati alcuni spunti nuovi, ma per ora, dovendo riprogettare le due mostre sospese lo scorso anno, tutto è rimasto nel cassetto delle idee. L’elemento invadente del digitale ha lasciato grosse tracce che, quasi sicuramente, avranno modo di venire a galla in futuro, nonostante il mio lavoro sia legato ai linguaggi del disegno, della fotografia, della pittura e della installazione in senso analogico.

A quali materiali si affiderebbe per rappresentare quest’ultimo anno con una singola opera?

Sicuramente al disegno. È proprio in questi momenti che sento di affidarmi a quel linguaggio che per me rappresenta la poesia, la lentezza, la delicatezza, il respiro lento che fa ascoltare il presente. Infatti in questi giorni sto disegnando fiori come una sorta di reazione a tutto. Raccontare questa natura fragile mi mette in pace con me stesso e con il mondo.

Quale contributo potrebbe dare l’arte a questa fase di crisi?

L’arte, o meglio tutte le forme d’arte, ci offrono uno sguardo diverso sul mondo e del mondo. Questo ci aiuta non a consolarci pateticamente, ma a curare le ferite, a farle rigenerare. L’arte è l’elemento erotico della vita, nel senso greco del termine. Noi umani abbiamo necessariamente bisogno della poesia espressa in qualsiasi linguaggio creativo: ci racconta la bellezza del mondo.

E il contributo della politica per l’arte?

La politica dovrebbe promuovere questa parte nutritiva dell’uomo, sostenendo la produzione e la rigenerazione delle cellule benefiche del pensiero e della sensibilità. Tutto questo va a beneficio della cura dell’uomo, che non può nutrirsi solamente di cibo. Il sostegno alla produzione di mostre, concerti, spettacoli fa bene all’anima: la poesia e l’armonia salveranno il mondo.

A che cosa sta lavorando attualmente? Ha dei progetti aperti?

Ho partecipato recentemente a una collettiva nella biblioteca di Nembro, uno dei paesi bergamaschi dove la pandemia si è fatta più sentire. Siamo intervenuti in venti artisti, lavorando ognuno sul semplice supporto di un lenzuolo. All’inaugurazione tutto era molto strano, quasi surreale. Finalmente potevamo vederci e chiacchierare un po’ del nostro lavoro con colleghi e spettatori, per quanto ridotti al minimo.

Ora sto preparando due mostre, di cui una rimandata dallo scorso anno si terrà nelle Stanze di Trescore Balneario. Il tempo di sosta forzata mi ha fatto rivedere un po’ con più calma il lavoro e l’idea. Entrambe le mostre saranno dedicate tendenzialmente al disegno, miscelato e contaminato dalla fotografia e da elementi naturali.

Cosa serve a Bergamo per rilanciarsi sul fronte dell’arte, dopo la batosta Covid?

La nostra città si sta risvegliando, come penso tante altre. Ho già assistito a diversi eventi e mostre da quando si ha una maggiore libertà di spostamento. Si ha tanta voglia di riprendere ritmi e occasioni di confronto culturale che ci sono mancati nello scorso anno. Non posso che sostenere una maggiore proliferazione di eventi culturali nella nostra città, soprattutto perché questa estate non ci offre tante possibilità di spostamento.

Quale dovrebbe essere un modello di ripartenza post-pandemica?

Questa rottura ci ha mostrato l’importanza del tempo nel benessere personale e collettivo. Tuttavia non è un fattore percepito, o perlomeno la ripresa, per molti, è avvenuta in un’accelerazione progressiva. Certo, io mi trovo in una condizione favorevole per cui posso prendermi il lusso e il tempo per pensare … al tempo. Credo comunque che le amministrazioni pubbliche debbano investire maggiormente in questa direzione, offrendo iniziative anche gratuite a chi, lontano dalle attività produttive, non si dedica al pensiero poetico, rigeneratore di un tempo vitale. Credo che la curiosità e la sensibilità, una volta attivate e incanalate, possano offrire a tutti maggiore consapevolezza del ritmo del tempo.

Da artista e da docente, ha un consiglio per i giovani artisti del nostro territorio?

Mi rendo conto che il mio ruolo di insegnante è una sorta di investimento sul futuro. “Seminare voce del verbo lottare”, come avevo intitolato una serie di opere che avevo fatto anni fa, è metafora dell’insegnamento: è una lotta di trasformazione. Il consiglio che io do loro è di credere al potere della poesia e all’arte come forza rigeneratrice. Soprattutto in questi momenti di grande difficoltà bisogna saper esprimere al meglio la nostra capacità “abitativa” e creatrice nel mondo e del mondo. Credo molto nelle nuove generazioni, non posso che non farlo in quanto insegnante. Capisco che sia molto difficile questo periodo tanto turbolento, ma i giovani hanno energia e forza vitale, sana spensieratezza e, a volte, incoscienza. La creatività, oltre alla curiosità, è un atto di follia visionaria e di passione amorosa. I ragazzi in quanto tali devono sfruttare al meglio quello che sono, cioè tutto questo.

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