Uscirne indenni è praticamente impossibile: nella complicata lotta al virus è importante limitare i danni. Se nell’Europa colta di sorpresa dall’epidemia c’è un Paese che sembra essersi riuscito, quello è il Portogallo. Un po’ per merito, un po’ per fortuna.
Silvia Grattieri, 40 anni, bergamasca originaria di Covo, da circa due anni vive e lavora a Cascais, località costiera a ovest di Lisbona, dove insieme al marito gestisce un’attività di Co-living. Il 21 febbraio (giorno in cui si registrò il primo caso ‘ufficiale’ a Codogno) era in Italia, mentre i primi contagi in Portogallo risalgono al 2 marzo.
“Il governo – racconta – ha osservato quel che stava accadendo in altri paesi, muovendosi di conseguenza e prendendo precauzioni quando il numero dei contagi non era ancora elevato. Distanziamento sociale e chiusura anticipata di scuole e attività – sottolinea – sono entrati in vigore una settimana al massimo dopo l’Italia”. Il lockdown, infatti, è scattata il 18 marzo, quando i casi erano 448. Un intervento tempestivo che sembra aver dato risultati, al contrario dell’esitazione che ha penalizzato (eufemismo) anche il territorio bergamasco. Il 10 marzo in Italia, giorno del lockdown nazionale, erano oltre 9mila i casi.
Ora come ora il tasso di mortalità in Portogallo si aggira attorno al 3,8%, contro il 13,5% dell’Italia e il 10,5% della vicinissima Spagna (oltre 6mila gli infetti quando ha optato per la chiusura). Paragonare realtà diverse può rivelarsi inutile, ma dal caso lusitano sembra emergere ancora una volta l’importanza di un fattore: la velocità di reazione quale arma di difesa. Anche perché l’alta percentuale di popolazione anziana e un sistema sanitario considerato tra i più fragili non promettevano nulla di buono.
Pure la coesione politica ha facilitato le cose, con l’opposizione che sin da subito ha instaurato un clima di collaborazione. Tra le scelte più coraggiose del primo ministro Antonio Costa, l’approvazione di una ‘sanatoria Covid-19’ per gli stranieri. Con un scopo: “Garantire l’accesso al servizio sanitario alle fasce più deboli della popolazione – spiega Silvia, che essendo membro di un’organizzazione no profit locale conosce bene l’argomento -. Per questo la posizione delle persone senza cittadinanza o visti speciali è stata temporaneamente regolarizzata”.
Guardando alle difficoltà degli altri paesi, sono stati aumentati i posti letto nei reparti di terapia intensiva e i test di laboratorio, grazie anche ai recenti investimenti nel campo della sanità pubblica. Un esempio: nella città di Cascais, dove vive Silvia, sono all’incirca 300 i contagi confermati, a fronte di oltre 200mila abitanti. “L’amministrazione – osserva – sta facendo test a tappeto in tutte le case per anziani”, con l’intento di spegnere sul nascere eventuali focolai. A Bergamo si è iniziato solo il 9 aprile a mettere in atto le disposizioni sui tamponi per gli ospiti sintomatici delle Rsa e gli operatori sanitari. Nel mezzo i 1.100 decessi stimati dai sindacati.
Chiaramente i problemi non mancano nemmeno in Portogallo. Il futuro resta un’incognita, ma dati alla mano il Paese iberico sta arginando il contagio meglio di altri. “Ripartire non sarà semplice. Qui si vive molto di turismo, gli aeroporti sono chiusi e gli alberghi deserti – fa presente Silvia, che tiene costantemente monitorata la situazione in Bergamasca -. Ancora non so quando potrò rivedere la mia famiglia. Prima bastava prendere l’aereo una volta al mese, adesso…”.
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