Bergamo. L’arte che si accompagna alla leggerezza, messaggio elevato che diventa comune, spiriti eletti che seguono gli umani e che, infine, scelgono la stessa natura per arrivare al cuore delle persone. Un’arte pop che prende forma in “Raffa in the Sky”, fantaopera in due atti ideata da Francesco Micheli e commissionata dalla Fondazione Teatro Donizetti in occasione di Bergamo Brescia Capitale italiana della cultura, andata in scena per la prima assoluta al Donizetti nella serata di venerdì 29 settembre.
Un’opera lirica che si ispira alla figura iconica di Raffaella Carrà (interpretata egregiamente da Chiara Dello Iacovo), divenuta messaggero di pace e amore proveniente dal pianeta Arkadia, regno della bellezza e della poesia dove il Re Apollo XI governa sugli spiriti eletti dell’arte. Sconvolto dalla guerra, il re manda sulla Terra una donna, che prende il nome da Raffaello Sanzio (con la sua bottega di artisti) ed il cognome dal pittore Carlo Carrà, con il peculiare caschetto biondo di capelli.
Da qui l’opera di Francesco Micheli (con musica di Lamberto Cutroni ed il libretto di Renata Ciaravino e Alberto Mattioli) segue varie tappe della vita e della carriera di Raffaella Carrà, soubrette ed attrice (e non solo) divenuta immortale icona della cultura pop. Eventi che non si fermano alla sola biografia, diventando tappe fondamentali della società italiana degli ultimi cinquant’anni. Di pari passo alla missione di Raffa in the Sky, si svolge la vita di Carmela (Carmela Remigio) e Vito (Haris Andiranos), esempio di famiglia “media”, che sul palcoscenico si anima però delle stesse gioie, delle stesse fatiche e delle stesse ansie di un pubblico che ha apprezzato l’opera sempre più con lo scorrere della vicenda. Una famiglia media, caratterizzata da televisioni e lavatrici, simbolo del benessere economico che ha portato però nuove fatiche, prima fra tutte, quella di lottare ogni giorno per la costruzione della coppia, nonostante i sospetti di tradimento, le torte di compleanno “accoltellate” ed un figlio che vuole essere accettato per come è.
Raffa atterra nella patria di Dante, Raffaello e Botticelli, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, per portare con sé una rivoluzione dei costumi che cambierà profondamente la società. Una rivoluzione gentile, dal caschetto biondo con il quale vuole “spettinare l’Italia”, nonostante i censori del suo immortale e “stranissimo ballo” del Tuca tuca. Nell’opera di Micheli ritornano spesso i testi della Carrà, in un canto lirico che ridona freschezza ai brani ed ai versi più famosi, donando allo stesso tempo al pubblico una sorta di Madeleine proustiana che racconta la nostra Storia e la storia di ognuno. Ritornano gli abiti più iconici di Raffaella (splendidi i costumi) ed i giochi di luci che rimandano alle paillette ed al mondo delle soubrette e della televisione. Una televisione che entra in teatro e che veicola il messaggio universale di Raffa, insieme al suo messaggio femminista (ante litteram) e ad una emancipazione della donna, in grado di affrontare anche la libertà sessuale senza alcuna volgarità.
L’eroina Raffaella continua la sua missione e per farlo deve parlare a tutti, con il suo messaggio d’amore “da Trieste in giù”, liberando il corpo e la propria chioma al vento, messaggio di libertà ed emancipazione, che non pecca, non giudica e non vuole essere giudicato. Raffa in the Sky, con una Carrà che ritorna, come immagine proiettata al centro del palcoscenico, simbolo immortale di una leggerezza che si fa cultura, simbolo televisivo che con i propri programmi è riuscita ad entrare nelle case degli italiani, facendoli sognare ed allo stesso tempo riflettere, attraverso un’arte pop che l’ha consegnata però all’immortalità. Un’artista che ha viaggiato ed ha portato la sua esperienza oltre i confini nazionali, una donna artista che “non fa solo la rivista” e che prova a salvare il mondo (e poi lo salva) “cantando e ballando” (nonostante il parere contrario di Fidelius, ambiguo aiutante di Apollo, star ed impresario sotto mentite spoglie). Una donna spesso schiacciata da un enorme globo, ma che riesce sempre “a spostarsi un po’ più in là” ed a lasciare un messaggio per questo anno dedicato alla Cultura: una cultura che deve parlare a tutti (“anche a chi non ha librerie in casa”), una cultura che nel suo essere popolare cela sempre qualcosa di più profondo, perché “nulla è profondo come la leggerezza”.
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