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L'intervista

Mauro Balletti: “Mina, Picasso e la Callas sono gli unici sguardi magnetici del Novecento”

Per l'artista milanese: "Mina, Picasso e Callas: ciò che vedo e colgo nei loro occhi me li fa sempre percepire come dei geni e tra loro fratelli"

Mauro Balletti mi accoglie nella sua casa-studio a Milano, al mio ingresso la luce proveniente da imponenti vetrate, avvolge quasi a custodire un’importante produzione creativa, tra dipinti, disegni, fotografie e un‘ingente quantità di libri ordinatamente accatastati ovunque. Ci accomodiamo uno accanto all’altro, mangiando lamponi, al tavolo della grande cucina sulla quale affaccia apertamente il piano superiore dell’abitazione, dove sono raggruppati altri enormi dipinti e grandi disegni, incantevoli presenze partecipi della nostra conversazione.

Mauro Balletti disegna, dipinge, fotografa e dal 1973 è l’autore dell’immagine biografica e discografica di Mina Mazzini. È un artista colto e raffinato, le cui opere nascono da poetiche casualità e da una ricerca che non ha mai ceduto a presunzioni e disincanto. Sono qui, a casa sua, per parlare della sua produzione artistica, per conoscere da dove nasce e qual è la sua evoluzione.

Mauro Balletti foto di Giulio Cunico
Mauro Balletti foto di Giulio Cunico

Quali sono i tuoi primi ricordi correlati all’arte?

Sicuramente l’esperienza visiva e immersiva quando da piccolo andavo a casa dei nonni. Le pareti erano completamente sature di dipinti, ricordo lo stupore e il piacere nel sentirmi accolto e abbracciato da così tanta bellezza. Mio nonno era un pittore e dipingeva per lo più paesaggi, tranne alcuni sporadici periodi durante i quali ritraeva sua moglie, quindi mia nonna, di spalle completamente nuda. La vedevo esile e minuta, mentre nei ritratti la ritrovavo enorme, sinuosa e abbondante. Non ho mai osservato questi suoi ritratti con pruderie, anzi mi piaceva vedere la nonna nuda emergere dalle pareti, tra paesaggi innevati o accostata a scene marine. Pochi altri ritratti li ha eseguiti ritraendo mio padre, il quale a sua volta anche lui si è dedicato alla pittura.

Generico luglio 2023

Il padre di Mauro Balletti, ritratto dal nonno Pietro Balletti (olio su tavola)  

Paesaggio – Pietro Balletti (olio su tavola)

 


Quindi hai vissuto direttamente la dimensione artistica a casa, prima tramite tuo nonno e poi grazie a tuo padre.

Sì, ogni giorno ero costantemente avvolto dal grande mistero dell’atto creativo, non ho avuto folgorazioni tardive nei confronti dell’arte poiché per me era normale vedere mio papà dipingere. Ricordo il profumo dei colori a olio e dell’essenza di trementina, così come ricordo il piacevole suono del carboncino frastagliarsi sul foglio. Ha sempre dipinto e nel tempo ha fondato il Circolo Artistico di viale Lucania, ancora oggi esistente. Mia mamma, invece, ha iniziato a dipingere ad acquerelli dopo i cinquant’anni, così dal nulla. Devo dire brava. Ha sempre dipinto fiori.
[Nel mostrarmi gli acquerelli, apprendo che Mauro tiene nella borsa personale un acquerello incorniciato – qui raffigurato – dipinto da sua madre, portandolo sempre con sé, ovunque vada]

balletti genitori

Casa di ringhiera, dipinto di Franco Balletti (olio su tela)
Acquerello su carta, dipinto di Rosetta Calabrese
I genitori di Mauro Balletti

 

Ti immagino bambino, in giro per Milano con i tuoi genitori, a mostre ed eventi culturali.

Andavamo, ma il grande lavoro che ha fatto mio papà, nei miei confronti, dal punto di vista pedagogico-visivo, è stato portarmi settimanalmente al Cineforum presso il Museo della Scienza e della Tecnica. Mi portava a vedere film direi strani per un bambino. All’età di dieci anni già vedevo Ordet di Dreyer il quale rimane ancora oggi il mio film preferito, poi mi portava a vedere i film di Ėjzenštejn, di Pasolini e molti altri. Tutti film molto particolari per un bambino, non lo dico con un’accezione negativa, di fatto quelle visioni mi hanno istruito a un vocabolario visivo, utile nel riconoscere e individuare le qualità di un capolavoro. Tutto questo mi è rimasto impresso indelebilmente nella retina, quindi direi che da quella qualità cinematografica ho costruito e formato la mia università visiva.

Che bambino sei stato?

Un bambino patata. A me bastava un tozzo di pane per farmi stare buono e pacifico, non chiedevo altro. Probabilmente mio papà, invece, ha visto in me qualcosa che andava oltre. Successivamente quel tipo di attitudine l’hanno individuata anche i miei insegnanti delle scuole medie, i quali hanno implementato e arricchito il mio interesse nella pratica artistico-creativa.

Che ricordi hai dei movimenti studenteschi del 1968 e della strage di Piazza Fontana del 1969?

Non sono mai stato molto sensibile alle sollecitazioni sociali e politiche, le trovavo tutte un po’ fumose, diciamo che sono nato pompiere e divenuto incendiario in età avanzata, quando invece solitamente avviene il contrario. Di fatto sono molto più attivista ora – rispetto al mio passato giovanile. Ricordo invece, molto bene, la strage di piazza Fontana, soprattutto il suono delle sirene. Mia mamma era ricoverata al Policlinico per un piccolo intervento e l’atmosfera in ospedale era di grande agitazione, a causa del continuo andirivieni dei feriti.

Nei primi anni 70 ti iscrivi a Lettere Moderne sebbene continuassi a disegnare e a dipingere, c’è qualche scrittore o poeta che in quel periodo sentivi particolarmente vicino?

Non ho mai apprezzato fino in fondo il clima universitario dell’epoca, intanto ero fermamente contrario al voto collettivo. A me piaceva essere valutato secondo il mio grado di studio e di preparazione, mentre queste valutazioni comunitarie, attribuite al gruppo e non al singolo studente toglievano e snaturavano la mia autenticità. Mentre per quel che riguarda poeti e scrittori,
al tempo non ero in grado di cogliere la loro genialità, studiavo per dovere, devo però dire che non ho nemmeno avuto docenti universitari capaci di accendere in me quella scintilla che mi portasse ad approfondire e ad appassionarmi. Autonomamente mi dedicavo alla poetica dell’antica Grecia, dei Miti e degli Dèi. Nel frattempo continuavo a disegnare e a dipingere, osservando i disegni e i dipinti di Picasso e dei Futuristi, utilizzavo il rapidograph, sostituendolo nel tempo col pennino, oppure dipingendo a olio su tela.

mauro Balletti 3

Disegno realizzato nel 1973 a 21 anni  (china e acquerello)
Autoritratto rosso realizzato nel 1979 (olio su tela)

 

Nell’estate del 1972 incontri Mina, come è avvenuto questo incontro?

Conoscevo l’ufficio stampa di Mina e lo convinsi a portarmi al concerto Mina alla Bussola dal vivo a cura di Sergio Bernardini. Accolse questa mia richiesta e insieme ad altre persone arrivammo in Versilia qualche giorno prima. Durante le prove ebbi l’occasione di conoscerla, tuttavia dentro di me sapevo già chi era, lo intuivo e lo prevedevo anche a fronte dell’amore incondizionato e profondo che provavo e che nutro ancora oggi nei suoi confronti. L’incontro di fatto si rivelò essere un’agnizione decisamente quasi scontata.

Rimanete in contatto e poi cosa accadde?

Era il 1973, di lì a poco avrei compiuto 21 anni, un giorno mi disse: “Ti va di farmi delle foto”? Io le dissi che non ne avevo mai fatte, ma la cosa non la sfiorò minimamente, quindi accettai.

Entrambi pazzi straordinari.

Da quel momento, oltre a disegnare e a dipingere divenni anche fotografo. Abbandonai gli studi, chiesi ad un amico conosciuto durante le mie estati in campagna, la sua macchina fotografica, facendomi dare delle lezioni basilari di fotografia, almeno capire cos’era il diaframma e i tempi di otturazione e andai, da incosciente, a scattarle delle foto sul set di un importante
carosello* per la Tassoni. Il servizio venne subito utilizzato per l’uscita dei due LP in doppio album Frutta e verdura e Amanti di valore. L’acconciatura iconica di Mina così come l’abito indossato in quegli scatti vennero riproposti nella sigla finale di Mille Luci, durante la quale cantava Non gioco più.
*Trasmissione televisiva protrattasi per vari anni (1957-1977), fatta di una serie di brevi scenette pubblicitarie che si susseguivano nella loro varietà. [Voc.Treccani]

Mina di Mauro Balletti

Primo scatto fotografico a Mina – 1973 – Frutta e verdura – Amanti di valore

 

Come vedi oggi quegli scatti?

Sono trascorsi cinquant’anni e riguardando i provini di quel servizio fotografico direi che non si discostano dai moltissimi servizi fotografici consolidati dall’esperienza, realizzati successivamente. I provini di quel servizio rimangono perfetti, non c’era un tentennamento, un’indecisione, non c’erano errori stilistici e tecnici. Devo dire che questa cosa m’ha sempre un po’ shoccato, probabilmente l’istruzione visiva che mio padre m’ha tramandato portandomi a vedere film, così come la mia pratica costante del disegno e della pittura si sono strutturate e implementate in me durante la mia infanzia e la mia adolescenza.

Successivamente, come sappiamo, Mina si astrae dalle scene, ma il vostro rapporto rimane solido e immutato nel tempo. Da allora il suo volto si rivela a noi esclusivamente tramite il tuo talento, un volto al quale hai anche sovrapposto movimenti artistici e una fisicità che hai modificato più volte in una sorta di post-human.

Il viso di Mina è un volto talmente variabile e intelligente il quale si presta davvero a molteplici possibilità interpretative e creative. Può spaziare tranquillamente dall’essere un volto picassiano a un volto rinascimentale, da qualsiasi angolatura la si colga risulta essere sempre straordinariamente interessante e sorprendente. Le ho messo la barba nella copertina dell’album Salomè (Novembre 1981), le ho associato un corpo da culturista in Rane supreme (Ottobre 1987), suscitando sulle riviste del tempo scandalo e controversie, in Lochness emerge dall’acqua “indossando” una maschera dorata, con viti e bulloni (Ottobre 1993), è una dama rivisitata del 700 in Canarino mannaro (Ottobre 1994) … solo per citarne alcune. A mio parere, Mina, Picasso e la Callas sono gli unici sguardi magnetici del 900, ciò che vedo e colgo nei loro occhi o meglio il loro pensiero trasmutato nei loro occhi me li fa sempre percepire come dei geni e tra loro fratelli.

mina

Oggi siamo abituati a utilizzare i mezzi tecnologici a disposizione, anni fa non era così, come facevi a modificare magistralmente più immagini arrivando al risultato finale?

I tempi di produzione erano molto lenti rispetto a oggi, facevo dei collage, fotografandoli a più riprese e infine ritoccavo l’immagine finale. Quando è nato photoshop sono stato contento ma non è che avere mezzi tecnologici a disposizione significa necessariamente far qualcosa di interessante. In ogni espressione e forma artistica non è solamente il mezzo tecnico a creare un’opera, ma nell’avere intuizioni e idee.

Hai immortalato molti artisti del panorama musicale, tuttavia l’immagine che hai dato di Mina rimarrà impressa nella memoria collettiva per sempre, hai storicizzato il suo volto rendendolo iconico. Che effetto ti fa?

Non l’ho mai pensato, o meglio ci penso quando me lo fanno notare ma non è un pensiero che nasce da me, non mi soffermo affatto perché non è insito in me elevarmi, nutrirmi di egocentrismi o narcisismi. Semplicemente credo di essere stato un bravo corniciaio della sua grande intelligenza, della sua straordinaria bellezza umana e artistica. Il mio, alla fine, è semplicemente un compendio di pazzia e amore.

Mina Catene

Mina – Catene – Novembre 1984

 

 

Proseguendo e avvicinandoci verso gli anni 80, ti immergi anche nel mondo della moda.

Sì, nella moda e nella pubblicità.

Balletti

In alto a sinistra: Style Magazine Corriere della Sera – omaggio a Lucian Freud
Pubblicità per Borsalino
Sotto due scatti per la casa di moda I Pinco Pallino

 

Hai viaggiato spesso per lavoro. C’è una città in cui saresti voluto rimanere?
A me non è mai piaciuto viaggiare, nemmeno da bambino. Io sono stanziale per natura, tuttavia per lavoro e senso di responsabilità ho viaggiato molto. Dovendo scegliere, sarei rimasto volentieri a San Francisco. È un posto magico, la ricordo permeata da atmosfere parigine sebbene sia una città americana. Inoltre mi ha letteralmente immerso in una dimensione cinematografica Hitchcockiana che a me piace molto, infine il clima mite, sempre primaverile è ideale poiché odio il caldo. Mi sono trovato molto bene anche in Spagna e in Francia, così come a New York ma il modo di vivere degli americani non mi piace. Io sto bene qui, in Italia.

Nell’alternarsi di tutti questi incarichi lavorativi non hai mai ceduto il passo al disegno e alla pittura, attraverso un utilizzo costante della china, delle matite colorate, dei pastelli a olio e della pittura a olio.

L’utilizzo delle matite colorate è più recente. Utilizzavo per lo più la china e i pastelli a olio poiché con il calore delle dita, ancora oggi, diventano facilmente plasmabili sul foglio, quasi fossero una scultura da plasmare. Avrei dovuto coltivare maggiormente la scultura poiché è nel mio temperamento, tuttavia la trovo per certi versi scomoda, io sono pigro per natura, sono veramente pigro, non ho altro modo per definirmi, penso addirittura che questa mia pigrizia m’abbia sottratto delle occasioni e delle possibilità.

Sarai stato pigro nell’approccio alla scultura, ma non lo sei stato in altri ambiti creativi, considerando la tua grande produzione, a proposito mi descrivi i tuoi disegni e i tuoi dipinti?

I miei disegni, così come i dipinti, nascono dalla casualità, le persone che rappresento sono sempre in divenire, è una sorta di tele scrittura, sono personaggi calati nella contemporaneità dei quali non interpreto mai la loro psicologia, lascio agli altri questo tipo di indagine, di interpretazione e di possibili e infinite narrazioni. La bellezza e forse anche l’aspetto ironico insito nella modalità di rappresentazione di questi personaggi è che esistono realmente e queste associazioni non sono mai volute, ma casuali. Certi personaggi che ho disegnato li ritrovo a distanza di tempo inaspettatamente per strada, sono persone che non conosco ma che ho involontariamente ritratto. Oppure viceversa, ci sono persone che ho incontrato realmente o che conosco, le quali emergono e riaffiorano nei miei disegni, dopo molto tempo e mi portano a dire: “ma io questa persona la conosco”… probabilmente alcuni volti rimangono impressi nella mia retina e a distanza di
tempo riaffiorano e scorrono tra le mie mani depositandosi sulla tela o sul foglio. Ho un mnemonico così, forse strano, non so.

angelo giallo

In alto a sinistra: Angelo giallo 1997  (pastelli a olio su tela)
Annunciazione dello specchio 2019  (gessetti su carta)
Nudo 2020 (china su carta)
Atleta 2021 (gessetti su carta)

 

Mentre disegni non stacchi mai la matita o il pennino dal foglio, tutto fluisce senza tentennamenti, sembra un flusso o un respiro che prende forma.

Mi lascio guidare dalla forma e dalle linee, solitamente inizio da un particolare anatomico, una gamba, un piede o dalla postura di una spalla e da lì vado avanti fino a completamento del lavoro, senza staccare. Se invece voglio fare un dipinto, riproduco ingrandendo sulla tela un disegno realizzato precedentemente.

Potremmo quindi dire che nei tuoi disegni è sempre buona la prima? 

Assolutamente! Deve essere buona la prima altrimenti mi innervosisco tantissimo. Mi metto proprio alla prova: “vediamo se sei capace”.

Che rapporto hai nei confronti dell’errore?

Ho un rapporto pessimo, solo ultimamente ho iniziato a contemplare l’utilizzo della gomma. Se nell’immediato non mi piace un volto e ho già realizzato il corpo, anziché buttare il disegno, sto iniziando a mediare l’errore utilizzando la gomma. Del resto i famosi ripensamenti sono stati per migliaia di anni a volte geniali. Diciamo che oggi accetto il ripensamento.

La rappresentazione del corpo è una tua costante.

I corpi che rappresento sono pletorici ma soprattutto scultorei, tutti i miei disegni potrebbero essere dei bozzetti preparatori per la scultura, così come molti corpi da me raffigurati sono  stanzialmente dei “Freaks” – figure mostruose che potrebbero esistere su un altro pianeta, piuttosto che in altri contesti a noi sconosciuti. Ho rappresentato crani molto allungati, così come
ho disegnato donne con tre seni o tre vagine. Quando disegnai un circense chiamato il Trapezista solo a opera ultimata notai che l’avevo rappresentato con tre mani, tutto ciò che realizzo, come dicevo, non lo stabilisco prima, quindi a volte a stupirmi, in primis, sono io.

Balletti 6

Da sinistra: The pussy sniffer 1981 – (china su carta)
Uomo sdraiato 1991 – (china su carta)
Ballo 2017 – (gessetti su carta)
Rugbista 2020 – (matita e pastelli a olio)

 

Durante molti shooting fotografici hai immortalato il corpo femminile, cosa pensi delle donne oggi, facendo riferimento alla loro condizione socio-culturale?

Nel corso della storia il corpo femminile ha sempre rappresentato un modello di bellezza, il quale si è evoluto e modificato a seconda dei periodi storici, tuttavia abbiamo sempre faticato a riconoscere alle donne parità nei ruoli sociali e pieni diritti. Oggi mi sembra che la situazione sia migliorata sebbene ci sia ancora molto lavoro da fare. Più passa il tempo e più mi rendo conto
che la donna è decisamente più forte dell’uomo, soprattutto se parliamo di intelligenza ed elasticità mentale. La donna è stata “castrata” per millenni, mi auguro che il futuro sia sempre più femminile, non femminista, ripeto femminile. Nella donna, inoltre, c’è la grandezza generativa dell’essere umano e penso che quest’aspetto abbia sempre un po’ spaventato gli uomini. La donna è l’apice della creatività, mettere al mondo un essere umano penso sia il massimo, più di così cosa vuoi creare?

Sei un assiduo lettore, che libro stai leggendo?

Non sono un assiduo lettore, sono un “saltapicchio” che va da libro in libro. In questo momento sto trovando interessante Microfictions di Régis Jauffret.

Un’ultima domanda, cos’è per te la bellezza?

Direi lo strano che affascina, ma anche il trasferimento del divino nell’umano, è l’intelligenza che crea nuovi codici scientifici attraverso una costante ricerca. Fondamentalmente per me la bellezza è mistero esplicitato.

Mauro Balletti
Mauro Balletti nel suo studio, foto tratta dal docufilm di SkyArte
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