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La recensione

Gli ultimi giorni di Van Gogh: Goldin racconta a teatro l’anima malinconica del grande artista

Sul palcoscenico del Creberg, lo scrittore e critico d’arte ha portato in scena l’espediente narrativo del ritrovamento del diario dell’artista olandese, per raccontarne la malinconia dei suoi ultimi giorni, immerso nel giallo e nel blu dei suoi capolavori.

“Il cassetto del comodino era socchiuso e sbucava un quaderno un po’ lacero, di pelle verde scura, con dei ricami dorati e il dorso nero. Non ho resistito e l’ho aperto. Era il suo diario. Aveva cominciato a scriverlo il giorno precedente la partenza da Saint-Rémy per tornare a Parigi. Prima di venire qui a Auvers. La data d’inizio era il 15 maggio 1890. […] È ancora qui dentro. Le pagine sono sporche di terra e macchiate d’inchiostro, ho immaginato quando lo scriveva. Si sarà accucciato su sé stesso, pensando. Vivendo. Vivendo per l’ultima volta”.

Così Marco Goldin racconta l’espediente narrativo del suo “Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato” (Solferino, 2022). Nel romanzo dello scrittore e critico d’arte trevigiano, a parlare è Arthur Gustave Ravoux, titolare della locanda dove Vincent Van Gogh ha trascorso le ultime settimane della propria vita, che lascia subito spazio alle parole (immaginate, ma basate su fatti reali) scritte dall’artista stesso dal 15 maggio al 27 luglio 1890, due giorni prima della morte.

Parole del romanzo che ritornano nell’omonimo spettacolo presentato e diretto da Goldin nella serata di mercoledì 23 novembre al teatro Creberg di Bergamo.

Il 14 luglio 1890 il locandiere trova per la prima volta il diario, mentre, all’esterno, Vincent Van Gogh sta raffigurando su una tela il municipio, imbandierato per la festa nazionale. Edificio che è soggetto del dipinto Il municipio di Auvers-sur-Oise il 14 luglio. Da questo quadro inizia il viaggio di Goldin tra le opere, i luoghi, ma anche le inquietudini personali del pittore olandese.

Un viaggio che lo scrittore ripercorre su un palco che mostra il tavolo della camera di Van Gogh, con il cassetto dove viene ritrovato il diario, e una lampada ad olio. Da questo punto fermo, Goldin si muove sul palco con alle spalle due schermi, grazie ai quali il racconto prende vita. La scenografia accompagna infatti la narrazione con immagini dei dipinti del pittore, che vengono animati, ingigantiti ed analizzati. Una vera e propria immersione nelle opere, ma anche nei luoghi di Van Gogh, grazie alla riproposizione di fotografie d’epoca e di video girati in Provenza, tra Arles e la pianura della Crau, le Alpilles e l’istituto di cura per le malattie mentali di Saint-Remy. Parole ed immagini intervallate da una colonna sonora che riprende “Gilgamesh”, “Telesio” e “Joe Patti’s experimental group” di Franco Battiato.

Un progetto multimediale, quello di Goldin, che torna al teatro, dopo la pubblicazione del romanzo e di un canale podcast. Un’ideale conclusione, quella sul palcoscenico, che permette allo spettatore di immergersi nelle opere di Vincent Van Gogh e nei luoghi in cui ha vissuto, donando alle opere un preciso rimando geografico capace di dare ancora più evidenza alle pennellate dell’artista. Un espediente capace di dare risalto alle opere ed al loro autore nello stesso tempo: un’anima malinconica, che riflette sulla propria opera e sui rapporti familiari.

Uno spettacolo che permette agli spettatori digiuni di conoscere nel profondo l’animo di Van Gogh, mentre a chi già conosce le opere di osservarle da un punto di vista diverso. Un’immersione nei colori, una bella riscoperta che ha lasciato gli spettatori con la voglia di vedere dal vivo le opere del pittore olandese. Riscoperta di “un cielo blu fatto tutto a onde / con il blu ancora più scuro / di una notte prima che sia sera. / E nel mezzo, nuvole appena più chiare / che il vento spinge via e non le puoi fermare. / E un volo di corvi in parata dentro quel cielo / sopra il grano come un mare giallo”.

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