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La tragedia

Torre Boldone, 1971: la storia di Angela, morta a 19 anni per un aborto clandestino

In questi giorni in cui il tema è tornato d'attualità, la triste vicenda della ragazza bergamasca

In questi giorni in cui il tema dell’aborto è tornato d’attualità dopo la decisione della Corte Suprema americana di cancellare la sentenza ‘Roe vs Wade’ che ne garantiva il diritto, la Cgil racconta la storia di Angela Gozzi, morta nel 1971, a soli 19 anni, dopo un aborto clandestino.

La vicenda è narrata in un post, corredato da articolo dell’epoca de La Stampa, sulla pagina Facebook Biblioteca “Di Vittorio” Cgil Bergamo:

Non si può vietare l’aborto, si vieta solo l’aborto sicuro. Anche in Italia, quando l’interruzione di gravidanza era vietata per legge, le donne abortivano rischiando la salute o, troppo spesso, la vita.

È quello che è capitato ad Angela Gozzi, 19 anni. Nel 1971 viveva con la famiglia a Torre Boldone e frequentava le scuole magistrali in città, quello che oggi è il liceo pedagogico Secco Suardo, tra i primi in Italia ad aver introdotto la carriera alias per gli studenti e le studentesse che non si riconoscono nel proprio genere biologico.

Ma il 1971 era un altro tempo. Angela, la mattina di un mercoledì di ottobre, a scuola non ci va. Il papà la lascia dormire fino a tardi, già la sera prima non stava bene. Ma quando la ragazza non si alza nemmeno per pranzo, i genitori decidono di andare a controllare: la trovano morta, nel letto della sua cameretta.

Il medico di famiglia, chiamato immediatamente, non può che constatare il decesso e avvertire carabinieri e Procura per ordinare un’autopsia. A 19 anni non è normale morire nel sonno. E proprio l’autopsia accerta che Angela era al quarto mese di gravidanza, e che le era stato praticato un aborto poco prima.

I genitori, interrogati dalle forze dell’ordine, prima negano e poi ammettono: sì, Angela era incinta. No, non sapevano che frequentasse un ragazzo. Sì, aveva abortito, ma loro lo avevano saputo solo a cose fatte. No, Angela non era morta di morte naturale. Era morta d’aborto.

Angela infatti si era rivolta a quella che allora si sarebbe chiamata una “mammana”: una donna che aiutava le altre donne ad abortire in modo clandestino. Fino al 1978, quando finalmente viene approvata anche in Italia la legge 194 che regola l’interruzione di gravidanza, le scelte non erano molte.

Chi poteva permetterselo pagava cliniche private e compiacenti, e otteneva in cambio maggiori garanzie di sicurezza. Chi di soldi non ne aveva si affidava alla vicina o all’amica dell’amica che, per una somma più modesta, praticava l’aborto con ferri da calza, appendiabiti di metallo o decotti di prezzemolo che inducono emorragie.

Angela sceglie una via di mezzo: un’infermiera che praticava interruzioni clandestine di gravidanza nello scantinato della propria abitazione di via Fara, ai piedi di Città Alta.

Martedì mattina, un giorno prima della sua morte, va dalla donna per tornare a Torre Boldone dopo poche ore. Ma l’operazione, se così possiamo chiamare un intervento eseguito in un sotterraneo, non va come doveva andare. Angela comincia a sentirsi male e racconta tutto ai genitori che, preoccupati, la riaccompagnano dall’infermiera. Mercoledì pomeriggio, in uno scantinato di via Fara, Angela muore.

Impossibile per l’infermiera e per il compagno che vive con lei chiamare l’ambulanza: ammettere di aver aiutato una donna ad abortire avrebbe comportato una condanna dai 2 ai 5 anni (la stessa pena che avrebbe dovuto subire la paziente), con l’aggravante della morte della vittima.

È così che il fidanzato dell’infermiera decide di avvolgere il corpo della ragazza in un tappeto, caricarlo in auto (“una Simca 3000”, dice il quotidiano la Stampa in un articolo dell’epoca) e consegnarlo ai genitori, con l’esplicita minaccia che se avessero raccontato la verità alla polizia avrebbero rischiato anch’essi il carcere per procurato aborto.

Finisce così, con il cadavere di una ragazza di 19 anni trattato come un pacco e i giornali che nei titoli parlano di “pratiche illecite” perché l’interruzione di gravidanza era un peccato innominabile, questa storia vera. Una storia senza lieto fine che sembra lontana secoli, ma che rischia di riproporsi oggi in ogni paese che non garantisce alla donna il diritto di decidere di se stessa e del proprio corpo.

I diritti non sono scontati. Vanno difesi tutti i giorni, perché al 1971 e alle troppe Angela morte per un diritto negato non ci vogliamo più tornare.

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