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L'intervista

Micheli: Donizetti è rock! E ai giovani dico preparatevi ad amarlo

Francesco Micheli, inarrestabile e irresistibile neo direttore del Musica Festival di Bergamo, racconta a Bergamonews alcune delle novità che vuole introdurre per far conoscere le opere di Gaetano Donizetti e l’opera. “Donizetti è rock, fichissimo. I giovani devo solo scoprirlo, amarlo sarà facilissimo”.

A Gaetano Donizetti si arriccerebbero le basette. O forse no. Anzi, magari chiederebbe in prestito quella T-shirt dei Ramonews che indossa Francesco Micheli, il neo direttore artistico del Musica Festival Bergamo. Perché in fondo i due sono amici per la pelle. Due curiosi bergamaschi giramondo con una sconfinata passione per la musica, l’arte e il teatro. Ma soprattutto ad unire i due è la passione a giocare con le corde del cuore, delle emozioni. Non potrebbero essere più contemporanei.

E dopo un’oretta dell’incontro con un inarrestabile e irresistibile Micheli che racconta Donizetti viene subito da dire: “Attenti a quei due” parafrasando una nota serie televisiva. Perché i due si preparano a ribaltare Bergamo come non ha mai osato nessuno. Uno con le sue opere spesso ignorate, l’altro per l’energia vitale riconosciuta in ogni dove abbia lavorato: ultima tappa, Pechino con l’Aida accanto al maestro Zubin Metha.

Da quasi due mesi è stato nominato direttore del Bergamo Musica Festival. A cosa sta lavorando? Che idee si è fatto?

“Stiamo lavorando su più fronti. Innanzitutto, la distinzione dei due piani d’azione che rispondono alle due principali identità di questo teatro. Che da una parte è il teatro della città del territorio e che quindi deve adempiere alla sua funzione culturale e compila un cartellone sul repertorio classico fatto di lirica, sinfonica e balletto. E questa funzione il teatro può farla al meglio, cercando il miglior equilibrio tra spesa e resa, tra sforzo e risultato rientrando nel circuito lirico regionale. Una realtà che forse l’opinione pubblica non conosce nel dettaglio”.

Proviamo a spiegarlo?

“Certo, si tratta dei cinque principali teatri lirici della Regione uniti in una rete, ognuna delle quali produce un’opera e poi la condivide con gli altri. Nel 1980 questo circuito era nato proprio grazie al teatro Donizetti e ai Pomeriggi Musicali, poi si era usciti nel 2006 quando è nato il Bergamo Musica Festival”.

Quindi il primo fronte è il teatro con un cartellone di opere liriche e dall’altro?

“L’altro piano è quello di esaltare la figura e l’arte di Donizetti con un festival degno di lui. Quindi di altissimo profilo internazionale, di altissima qualità e che aiuti questa città ad assumersi pienamente la sua nuova vocazione di città a grande attrazione turistica. Intendo un turismo di alto profilo, con un’utenza consapevole, interessata, curiosa, veramente internazionale”.

Questo secondo piano sembra una bella sfida…

“Diciamo che è delicato perché richiede mezzi. Non si improvvisa un festival di Salisburgo o di Aix en Provence o di Pesano in due giorni. Però devo dire che il presupposto ideologico lo abbiamo tutto, perché la Fondazione Donizetti, e questo è risaputo, lavora da tempo in maniera qualificata. Abbiamo un ricco giacimento di studi, di scoperte, di edizioni critiche che sono la base solida sulla quale costruire un festival autorevole. Naturalmente parliamo di un pubblico di appassionati, di curiosi, di competenti ed esigenti”.

Non si rischia di fare un festival per pochi?

“No, calma. Dobbiamo sfatare questa idea. Il grande nome di Donizetti unito all’ampia parte di repertorio ancora da riscoprire sono tali che non è un pubblico elitario che deve amare, riscoprire e appassionarsi di Donizetti. Dobbiamo guardare ad un orizzonte internazionale”.

E come si fa?

“Un festival è tanto più internazionale quanto un visitatore percepisce, scopre una fragranza specifica, tipica, locale. Salisburgo non sarebbe la meta dei mozartiani o degli straussiani appassionati da tutto il mondo, se non avesse quella percezione di essere in una città che è unica al mondo. Così vale sia per il festival di Aix en Provence, sia per Pesaro”.

E qui torniamo a toccare un tasto dolente. Bergamo e i bergamaschi sono pronti a tutto ciò?

“Bergamo ha le carte in regola per essere un posto unico al mondo. Lo è. Però non è solo nell’assetto logistico e delle manifestazioni che hai che determinano il successo di un festival. L’esperienza culturale è innanzitutto un’esperienza umana. Quindi lo straniero, l’appassionato, il curioso che viene a Bergamo deve respirare l’unicità di Bergamo innanzitutto nel rapporto con le persone, persone che devono diventare cittadini appassionati del proprio concittadino”.

Le sembra facile?

“No. Per niente. E non lo è. Ma questo è il mio compito. Incontrerò le associazioni di categoria, i commercianti, le scuole, gli enti e le istituzioni. Sarà un lavoro lungo, ma sono certo che Bergamo e i bergamaschi hanno l’energia giusta per fare tutto questo”.

Usa spesso il termine energia.

“Sarà che sono appena tornato da Pechino dove ho messo in scena l’Aida diretta da Zubin Metha che è una divinità. E proprio a Pechino ho visto una reazione per questa opera di Verdi che gli adolescenti non hanno nemmeno per gli One Direction. Un vero tifo. Ecco io avrei voglia di quell’energia lì anche per i nostri ragazzi e i nostri giovani o a quanti si avvicinano alla musica lirica”.

E per la classica?

“No, distinguiamo. Un concerto di musica sinfonica è un po’ come andare a messa, ha una sua sacralità. Mentre l’opera è come il tuo matrimonio, non puoi che liberare le tue emozioni, uscire dai canoni. C’è un lavoro abnorme da fare sulla musica classica. Uno spettatore non deve essere subirla passivamente, altrimenti non viene compresa. Bisogna dare gli strumenti per poterla godere, per amarla”.

Da bergamasco non crede che Bergamo abbia qualche difficoltà su questo fronte?

“Non so rispondere”. Ma poi aggiunge: “Amo infinitamente e perdutamente l’Opera e in primis Donizetti. Prima di Bergamo e fuori da Bergamo ho sempre lavorato per la divulgazione con tutti gli enti di musica colta: dalla Scala al Massimo di Palermo, al Santa Cecilia, a Sky Classic, Sky Arte. Ho lavorato nel desiderio di far conoscere. Può sembrare strano, ma viene proprio da citare – vista la sacralità di cui stiamo parlando – la parabola la parabola della Lucerna. Nessuno accende una lucerna e la mette in un luogo nascosto o sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perchè quanti entrano vedano la luce. La esponi perché tutti ne godano”.

E Bergamo vedrà questa luce?

“Io so che questa mia passione non è una cosa strampalata e ovunque vada genera adesione. So che Donizetti does it better, lo fa meglio. E so che i bergamaschi sono strani, hanno una scorza dura, ma un cuore caldo e tenero”.

Come Donizetti?

“Non è un caso che Donizetti sia bergamasco. Perché c’è una teatralità profonda che nasce dalla commedia dell’arte, che nasce dal teatro di strada, che nasce dal nostro carattere pieno di contraddizioni e dalla nostra riservatezza, che magari ci rende meno plateali ma estremamente intensi, abbiamo molte cose da dire e lo facciamo in momenti specifici. E il teatro è un luogo che ci rappresenta molto bene. Non è un caso che Bergamo abbia con teatro con una stagione di prosa tra le più seguite. Quando io ero un bambino mi ricordo che mia madre era abbonata alla stagione di prosa e mi portava con sé in galleria e mi teneva in braccio: quelli sono i primi ricordi emozionanti che ho della mia infanzia”.

Ha viaggiato e lavorato molto fuori da Bergamo. Come la vede?

“Bergamo è una città colta, entusiasta, viva che fa cultura”.

Stiamo parlando di Bergamo?

Sorride e risponde: “Sembra che parli di Catania? Ed invece no, è la mia Bergamo. Qui ci sono dei germi di positività che contagiano perché comunque l’attività culturale è tanta e di alto livello”.

Il teatro Donizetti, oltre a lei, ha altri due direttori artistici. Non sono troppi?

“Tre direttori artistici per un teatro può far storcere il naso ma è la perfetta cartina di tornasole. E’ perché oggettivamente al Donizetti c’è un’attività culturale in termini di jazz, prosa e lirica. Tutti e tre forti e con una propria autonoma identità. Vanno messi in connessione, in maniera che non siano tre binari paralleli, ma tre mezzi di comunicazione che parlano tra di loro”.

Ha conosciuto gli altri due direttori? Intende lavorare in squadra con loro?

“Certo che lavoreremo insieme. Bergamo può diventare un cantiere originale: Jazz, prosa e opera potrebbero produrre una cosa insieme. Perché no? A Bergamo c’è una visione estremamente settoriale del sapere che va corretta”.

A proposito di correzioni, pare che a Macerata, dove lei è direttore artistico Macerata Opera Festival abbia ridato i fasti allo Sferisterio. Che differenze trova tra Macerata e Bergamo? L nostra città potrebbe riscoprire così Donizetti?

“Macerata ha delle affinità con Bergamo. Loro hanno questo monumento splendido che è lo Sferisterio, ma a lirica stavamo a zero. Però a Macerata c’è una grande consapevolezza del loro Sferisterio. Se entri in un’azienda, in un giornale, in qualsiasi attività commerciale trovi una grande foto dello Sferisterio. A Bergamo invece il Donizetti e il suo teatro no”.

E che cosa ha fatto allora?

“Semplice a dirsi: C’è stato un grande lavoro di riappropriazione del valore della lirica che è partito dalle scuole”.

Dalle scuole?

“Sì, non c’è altro mezzo. Qualisiasi cosa deve partire dalle giovani generazioni: che sia politica, cultura, sesso. Non siamo più una società agricola dove il sapere del padre passava automaticamente al figlio. Oggi paradossalmente un ragazzo potrebbe essere un anaffettivo totale, un analfabeta totale, un anoressico totale. I ragazzi di oggi sono completamente esposti. Ed è una cosa bellissima, ma altrettanto fragile. C’è molto bisogno di proteggere, di suggerire, di proporre, di camminare al fianco delle giovani generazioni per costruire il mondo che sarà loro. E quali sono gli strumenti che dobbiamo dare a loro?”.

Quali sono?

“Sono la semiotica, la letteratura, la matematica, le scienze… Tutto bene. Ma io credo che ci sia anche l’opera lirica che è la prima forma di comunicazione complessa che è stata inventata nell’era modera, è italiana e seduce. E’ la forma di spettacolo più attraente al mondo”.

Quindi insegniamo la lirica a scuola?

“Io credo che tutti i bergamaschi dovrebbero crescere a pane e opera. Pane e Donizetti. Non è un debito nei confronti di chi ci ha preceduto, ma un’occasione per crescere”.

Le sembra un obiettivo realizzabile?

“Il buffo è che a volte fatico a fare il lavoro che ho deciso di fare. A volte mi sembra di far scoprire l’acqua calda. Però poi davanti ai ragazzi che scoprono quella cosa lì che è la musica lirica si spalanca un altro mondo. C’è la percezione che c’è qualcuno che finora ti ha impedito di conoscere che quella cosa lì è rock. Donizetti è rock, è fichissimo. I giovani devo solo scoprirlo, amarlo poi sarà facilissimo. Praticamente impossibile".

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