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Il discomane

“Oh Susanna!” Pazzo, ma riuscito il nuovo Neil Young

L'orso canadese di nuovo coi fidi Crazy Horse dà alle stampe "Americana", un ritorno alle origini del folk americano con un'operazione che sorprende il nostro Brother Giober per freschezza. Anime salve nella playlist della settimana.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare….

*** niente male!

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

 

ARTISTA: Neil Young & Crazy Horse

TITOLO: Americana

GIUDIZIO: ***1/2

Immaginate Vasco Rossi che incide un disco di cover e che i brani reinterpretati siano “Quel mazzolin di fiori”, “Romagna mia”, “L’inno di Mameli” e cose simili. Bene, è di fatto quello che ha fatto l’orso canadese con il suo ultimo lavoro intitolato “Americana” nel quale reinterpreta alcuni classici della musica americana, anche dell’ottocento, alla sua maniera. Per farlo richiama a corte i fidi Crazy Horse garantendo quindi quell’elettricità che solo lo storico gruppo di supporto è in grado di garantire.

Detta così sembrerebbe una pazzia completa, un’iniziativa sulla quale lasciarci le penne ma invece no. Il disco suona come nuovo, le canzoni come fossero uscite direttamente dalla penna dell’artista e i Crazy Horse funzionano che è una meraviglia. Nulla in questo disco è scontato, ogni canzone sorprende per freschezza e originalità.

Siamo in perfetto Young Style e forse il segreto sta tutto qui. A differenza di altri suoi colleghi che nel passato hanno rivisitato gli standards della canzone americana (Rod Stewart e Willie Nelson fra tutti)senza alcun tentativo di personalizzazione ma preoccupati solo di fornire versioni patinate (e inutili) dell’originale, Neil Young se ne frega e fa esattamente l’opposto. Traditionals e classici della canzone americana vengono stravolti e adattati allo stile dell’artista.

Certo, commercialmente, l’impresa sembra persa in partenza ma il disco è vibrante, denso, elettrico al pari di Zuma ed alla fine coinvolge e affascina.

Il lavoro ha inizio con Oh Susanna, proprio quella che ogni amante dei films western, di John Wayne e di John Ford conosce a memoria. Un classico della metà dell’ottocento che Neil Young e i Crazy Horse fanno diventare un brano del tutto nuovo, basato sulle chitarre elettriche, in un’atmosfera di tensione che trasfigura il prezzo, riconoscibile solo per il refrain. Se non si trattasse di Neil Young direi che trattasi di un pazzo fuori da ogni controllo, sapendo che invece si tratta proprio di lui il risultato finale riesce a convincere. Bella e trascinante.

Il pezzo seguente è Clementine, nota filastrocca della fine dell’Ottocento, indurita e resa elettrica allo spasimo da una schiera di chitarre che riportano ai momenti più intensi del passato di Neil Young, quelli, tanto per intenderci di Live Rust. La batteria picchia durissima e il resto è nella mani e nelle dita dei chitarristi.

Tom Dula è una canzone scritta nel 1866 da un autore ad oggi sconosciuto ed è la storia di un omicidio compiuto da un soldato confederato. Il brano ha conosciuto alcune rivisitazioni tra cui, la più famosa, quella ad opera del Kingston Trio. Il ritmo è trascinante e il ripetuto coro che richiama il testo del titolo è azzeccato.

Gallows Pole ha il ritmo di una marcia ed il coro in sottofondo. Il brano è, alla fine, riuscito, anche se si distoglie un poco dal contesto generale del lavoro.

La successiva Get a Job è una sorta di doo woop, un po’ avulso dal resto del disco. Piacevole ma ben distante dagli apici del lavoro.

Travel On è il brano più lungo del lavoro, ha ritmo ed allegria. Alcuni assoli di chitarra si passano il testimone ed il risultato finale è vicino a quello del disco che Springsteen ha dedicato a Pete Seeger. La presenza di un coro sguaiato dà al pezzo un’ aria di festa paesana.

High Flyn’Bird, è un brano già reinterpretato nel passato da altri artisti, Stephen Stills tra tutti. Il motivo è pervaso da un tensione elettrica che coinvolge. Il risultato finale è più che buono anche se manca quella melodia che in altre parti del lavoro rappresenta lo spunto vincente.

Jesus’ Chariot è un brano del 1800 e il suo inizio ricorda Back in the U.S.S.R dei Beatles. Il pezzo è tirato, il coro in sottofondo centrato.

This Land Is Your Land è la nota canzone di Woody Guthrie e vede la presenza tra le voci di quella di Stephen Stills. La rilettura, rispetto ai brani che la precedono, è decisamente più folk, le chitarre elettriche sono presenti in modo discreto e il timbro dei Crazy Horse meno evidente. Qui l’aria che si respira è quella di Long May You Run, il disco inciso con Stephen Stills qualche decennio fa. Nonostante le innumerevoli versioni già sentite, questa appare ancora nuova ed estremamente piacevole.

Il brano che mi è piaciuto di più è certamente Wayfarin’ Stranger, una ballata folk che ha vissuto numerose interpretazioni, tra cui quella memorabile di Johnny Cash, di cui Neil Young offre una versione acustica, cantata con grande rispetto e discrezione.

Termina il lavoro God Save the Queen, proprio quella, che parrebbe avere origini americane. Il risultato finale non è male anche se pare un po’ forzato. Bello ed azzeccato il coro.

Bel disco, assolutamente personale.

La rilettura di classici pare più un pretesto per utilizzare dei riffs, delle melodie, dei ritornelli immortali e inserirli in brani originali. Ancora una volta Neil Young ci spiazza, ma non ci delude.

Forse è per questo che dopo quasi 40 anni lo seguiamo ancora con grande passione.

Brother Giober

SE NON TI BASTA ASCOLTA ANCHE:

Neil Young – Live Rust

Susan Tedeschi – Live from Austin

Bob Dylan – Hard Rain

ALTRO (dischi dimenticati, nascosti e meritevoli di menzione, oppure no)

Aretha Franklin – Live at the Fillmore West ***** Registrato nel 1971 quando Aretha era veramente la regina del soul, questo disco immortala l’artista in un concerto straordinario .La sequenza dei pezzi è da brividi veri, con interpretazioni magistrali di brani di Otis Redding, Beatles, Simon e Garfunkel e altri mostri sacri. E la versione di Love the One You’re with di Stephen Stills vale, da sola, la spesa di tutto il disco

Sade – Bring Me Home, Live 2011 *** . Indubbiamente carina, anche se non essenziale, questa raccolta dal vivo della brava cantante di colore che ripropone alcuni delle canzoni più riuscite delle sue ultime produzioni. Assolutamente piacevole e non impegnativo, per viaggi notturni in auto verso le località di villeggiatura o per dopocena mentre si sorseggia un buon rum.

Amii Stewart – Intense***. Ecco forse una persona che non ha bisogno di lavorare per vivere (beata lei!) e che fa quello che gli pare e piace. Il risultato ci guadagna perché Amii ha una bella voce, importante cultura musicale e gusto estetico non indifferente. E cosi sforna una bella raccolta di canzoni che nulla pretendono se non intrattenere piacevolmente. Tanto anche se vende due copie la vita certo non le cambia….

PLAY LIST: anime salve

Van Morrison – Into the Mystic

Tim Buckley – Song to the Siren

Jeff Buckley – Hallelujah

Neil Young – Ambulance Blues

Chuck E. Weiss – Side Kick

Tom Waits – Blue Valentines

Nick Cave – Dig, Lazarus, Dig

Morissey – Black Cloud

Vinicio Capossela – Scivola vai via

Luigi Tenco – Un Giorno Dopo l’altro

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