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L'analisi

“I Neet vanno stimolati, ma preoccupano le donne: servono migliori sostegni al rientro dalla maternità”

Paolo Rota, vicepresidente di Confindustria Bergamo, analizza i dati diffusi dalla Camera di Commercio: "Un tema che c'è, ma ricordiamoci che siamo in un territorio vicino alla piena occupazione. Su formazione e attrattività gli imprenditori non possono essere lasciati soli"

Gli ultimi dati a disposizione, elaborati dalla Camera di Commercio di Bergamo, scattano una fotografia chiara e precisa del fenomeno: a Bergamo i Neet (Not in education, employment or training), vale a dire i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano perché disoccupati o inattivi, né partecipano a corsi di istruzione o formazione professionale, sono l’11,3% della corrispondente fascia d’età.

Un dato, superiore a quello regionale ma nettamente inferiore alla media nazionale, che negli ultimi tre anni è calato sensibilmente, probabilmente grazie al rientro dal picco dovuto alla pandemia.

Il fenomeno è sempre più sotto la lente di ingrandimento e trova spazio anche nelle agende di imprenditori e associazioni di categoria: tra queste anche Confindustria Bergamo, con il vicepresidente Paolo Rota, al quale spettano le deleghe al lavoro e alle relazioni sindacali, che segue la tematica da vicino.

“C’è una premessa doverosa da fare – spiega – Ci troviamo in un territorio vicino alla piena occupazione, con i giovani che sono più formati rispetto al passato e riescono a trovare lavoro prima. Credo che in questo momento il vero focus vada fatto sulla componente femminile, dove anche in età più avanzata ci sono molte persone che non studiano né lavorano”.

Un’affermazione che trova conferma, ancora una volta, nei dati Istat: tre Neet su cinque a Bergamo sono donne, con un’incidenza del 14,3% sul totale della popolazione tra i 15 e i 29 anni.

“Sono questioni che andrebbero separate – continua Rota – È innegabile che la situazione sia migliorata: sui giovani credo non sia più così allarmante, perché sono tanti quelli che trovano lavoro poco dopo il termine del loro percorso formativo. E poi c’è un fattore culturale, per cui al giorno d’oggi la ricerca del posto fisso da subito non è più il ‘must’ che rappresentava per le generazioni precedenti. L’attività di recruitment rimane centrale, le aziende devono cercare di essere sempre più attrattive, ma sulle donne la problematica è più ampia e, a volte, anche figlia di un retaggio culturale superato”.

Due, sostanzialmente, i fattori incidenti secondo il vicepresidente di Confindustria Bergamo, che chiamano in causa anche interventi normativi urgenti: “Il primo, se ne è parlato a lungo, è l’inadeguatezza dell’assistenza del sistema per le mamme lavoratrici. Il nostro pensiero, come Confindustria, è quello che le istituzioni invece di continuare a pensare di allungare per legge il periodo di maternità, dovrebbero mettere in campo misure che facilitino anche le aziende nella fase di rientro. Le aziende non si devono sottrarre allo sforzo organizzativo necessario per gestire la situazione, ma allo stesso tempo il governo deve sostenere in qualche modo gli imprenditori. Perché invece di farle rientrare sempre più tardi, non si pensa a un percorso graduale che consenta al datore di lavoro di riuscire a sopperire alla momentanea assenza della lavoratrice, ma allo stesso tempo di conservarne la professionalità maturata”.

La richiesta, di fatto, è quella di una suddivisione degli sforzi: “I soldi pubblici impegnati per allungare i tempi della maternità dovrebbero invece servire per aumentare il numero degli asili nido, che sappiamo benissimo essere in una situazione di carenza strutturale: sono quelle le strutture che permettono alle madri un rientro più rapido e sereno al lavoro. Oggi abbiamo bisogno di questo cambio di prospettiva, perché chi vuole rientrare non si trova un contesto favorevole”.

C’è poi un altro problema, di natura differente, che secondo Rota incide sulla difficoltà di coinvolgimento delle donne Neet: “Non abbiamo dati precisi, ma stiamo assistendo a questa tendenza. Detto che abbiamo bisogno di immigrazione, per sopperire alla mancanza di forza lavoro, purtroppo ci sono alcune culture che per le donne ritagliano ruoli differenti da quello delle lavoratrici. Non è semplice andare incontro a queste figure, ma dobbiamo fare di più in materia di alfabetizzazione e politiche di integrazione: spesso in Italia si lasciano queste attività al volontariato, mentre dovremmo investire su mediatori culturali professionisti come accade all’estero. Se non lo facciamo sarà difficile riuscire a coinvolgerle”.

Rota, presidente del Gruppo Lebogest cui fa capo la Italian Cable Company di Bolgare, rivolge però un appello anche ai colleghi imprenditori: “Sui giovani dobbiamo cambiare mentalità, perché il cambio generazionale non è una scelta ma una necessità. Ci stiamo lavorando, ma dobbiamo cercare di essere sempre più attrattivi sviluppando programmi specifici per loro, che sono giustamente più attenti a quello che gli viene offerto in termini di benessere e di prospettiva. Chi si trova tra i cosiddetti Neet paga una combinazione tra mancanza di giusti stimoli e una formazione non sempre adeguata. Dobbiamo dare a questi ragazzi stimoli a tutto tondo, se non vogliamo che quelli capaci se ne vadano all’estero: diamogli delle possibilità, perché sono più svegli e smart di come eravamo noi. Anche sulla formazione, soprattutto come Confindustria, stiamo facendo tanto: ma anche qui abbiamo bisogno di un sostegno esterno, perché spesso la volontà si scontra con la mancanza di risorse e giuste professionalità per poterla fare di un certo livello”.

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