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L'iniziativa

“Negare il diritto all’aborto è violenza di genere”: donne in piazza a Bergamo

Appuntamento mercoledì 8 maggio dalle 18, in Largo Rezzara

Bergamo. “Rete bergamasca contro la violenza di genere” torna in piazza, con il presidio permanente che organizza ogni 8 del mese: appuntamento mercoledì 8 maggio, dalle 18, in Largo Rezzara (adiacente a Piazza Pontida) a Bergamo.

Ecco l’appello degli organizzatori.

Dopo la straordinaria partecipazione al presidio spostato eccezionalmente a Cologno al Serio l’8 aprile, dopo il femminicidio di Joy Omoragbon, la Rete chiama di nuovo alla presenza in piazza lanciando un vero e proprio appello a partecipare e a riempire la piazza per dire no all’emendamento al PNRR che prevede la presenza del movimento anti-abortista nei consultori pubblici, con risorse previste dal PNNR per la salute.

La legge 194 è già scarsamente applicata per l’alto numero di medici obiettori di coscienza: in molti ospedali pubblici l’interruzione di gravidanza non è un servizio garantito, come dovrebbe essere per legge. Con l’aggiunta della presenza delle associazioni anti-abortiste nei consultori, il diritto delle donne a decidere del proprio corpo sarà ancora più gravemente minacciato.

Femminicidi e violenza di genere sono violazioni dei diritti umani, riconosciuti come tali dalle convenzioni internazionali: negare il diritto all’aborto libero e sicuro è violenza di genere, quindi una violazione dei diritti umani fondamentali. La Rete bergamasca contro la violenza di genere esprime grande preoccupazione e forte rabbia per questo provvedimento, che avrà ricadute anche sul nostro territorio.

A pochi giorni dalla Risoluzione votata a Bruxelles per inserire l’aborto tra i diritti fondamentali dell’UE e dopo che in Francia l’aborto è stato messo nella Costituzione, in Italia si torna indietro di decenni: con i tentativi continui di impedire la legittima scelta delle donne sul proprio corpo, si fa sempre più evidente il ritorno di una cultura conservatrice, maschilista e sessista, che vede le donne come strumenti, destinate ai ruoli di mogli e madri, e non come soggetti attivi che possono e devono poter scegliere cosa fare del proprio corpo e della propria vita.

Non dimentichiamo che è stata depositata in Parlamento una proposta di legge per conferire i diritti civili all’embrione, iniziativa in continuità con l’attivismo violento delle associazioni antiabortiste nei territori, culminata con la raccolta di firme per introdurre anche in Italia la pratica barbara e violenta dell’ascolto del battito cardiaco del feto alle donne che scelgono di interrompere la gravidanza.

La maternità deve essere sempre una scelta consapevole. Se si vuole sostenerla bisogna investire nei servizi, in primis negli asili nido (che anche a Bergamo hanno pochi posti e rette altissime), e nella tutela del lavoro, le lavoratrici donne sono le prime vittime di precarietà e ricattabilità.

Bisognerebbe preoccuparsi anche di garantire la piena operatività dei consultori pubblici, che negli anni sono stati soppressi e depotenziati. La legge prevede un consultorio ogni 20mila abitanti (10 mila nelle aree interne e rurali) ma c’è un consultorio ogni 32mila abitanti, come dice l’ultima relazione dell’Istituto Superiore di Sanità (risale a sei anni fa, anche questo è sintomatico del disinteresse alla questione): ci sono 1.871 consultori pubblici ma dovrebbero essere almeno 3mila, il 60% in più.

E invece ogni anno milioni di euro di fondi pubblici vengono destinati ai movimenti contro l’aborto. Nel nostro paese ci sono più CAV-Centri di Aiuto alla Vita che ospedali pubblici in cui è possibile interrompere una gravidanza. I CAV, presenti anche in bergamasca, non destinano mai più di 3.000 euro in totale alle donne che convincono a non abortire: cosa sono 3.000 euro per chi deve crescere un figlio? Briciole. Che sommate, però, fanno milioni di euro tolti a servizi indispensabili che lavorano sulla prevenzione.

I dati del Ministero della Salute dicono che l’Italia è il paese europeo in cui si verificano meno interruzioni volontarie di gravidanza in proporzione alla popolazione femminile in età fertile (15-49 anni); dicono anche che la causa del calo demografico a cui assistiamo nel nostro paese non è l’aborto, argomento che viene spesso usato come spauracchio dagli anti-abortisti.

Pretendere di decidere del corpo e delle vite delle donne, spaventandole e ricattatandole nei corridoi dei consultori dove si recano per le visite ginecologiche, non è sostegno alla maternità, progresso per il bene comune, riconoscimento del ruolo fondamentale che le donne hanno nella società: è negare libertà e autodeterminazione, è terrorizzare e colpevolizzare le donne. L’aborto è una scelta legittima e prevista dalla legge: è un diritto. La presenza delle associazioni anti-abortiste nei consultori è un’ingerenza insopportabile.

In Italia dall’inizio dell’anno si sono verificati 29 femminicidi (alcuni casi sono in fase di accertamento); mentre sno arivate solo nel mese di aprile 106 nuove chiamate ai Centri Antiviolenza di Bergamo e provincia, sono 460 dall’1 gennaio.
Il nostro è un paese in cui la violenza di genere è strutturale e sistemica, diffusa in ogni ambito e contesto sociale: l’emendamento antiabortista del Governo ne è una tragica conferma.
Per questo la Rete lancia un appello accorato alla partecipazione al presidio dell’8 maggio, invitando in piazza tutte le persone che hanno a cuore libertà, diritti, pace e solidarietà.

Durante il presidio è previsto un intervento musicale di Angela Pavesi e Michele Dal Lago: brani di musiciste country che misero in discussione il dominio maschile negli Stati Uniti prima della nascita del “Women’s Liberation Movement”.

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