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Il provvedimento

Divieto di fumo all’aperto, da Torino a Bergamo: “Volontà di creare la prima generazione smoke-free”

La delibera del consiglio comunale della città della Mole riporta d'attualità un tema presente in città dal 2013, quando venne introdotta una misura restrittiva nelle aree gioco dei parchi pubblici. Garattini: "Necessario per ridurre lo spaventoso numero di fumatori"

Bergamo. Un argomento il cui sviluppo nella città di Bergamo non è attualmente così avanzato come in altri centri, nonostante volgendo lo sguardo al passato recente si possano ravvisare i primi timidi segnali di attenzione sul tema, ovvero la possibilità di imporre un divieto di fumo nei luoghi pubblici all’aperto, una misura che naturalmente si muove nella direzione di ampliare la tutela della salute dei non fumatori.

Con un’apposita modifica al “Regolamento di Polizia Urbana” deliberata dal consiglio comunale lo scorso 15 aprile, Torino è diventata infatti la seconda città italiana, dopo Milano, a intraprendere un deciso passo verso il divieto di fumo all’aperto. Con la correzione della normativa, i prodotti a combustione e le sigarette elettroniche non potranno essere fumate a meno di 5 metri di distanza dalle altre persone, con divieto assoluto in presenza di bambini o donne in gravidanza.

A Milano dal 2021 è in vigore il divieto di fumare all’aperto nei luoghi pubblici se non sussiste una distanza di almeno 10 metri da altre persone: per luoghi pubblici s’intendono parchi, cimiteri, pensiline dei mezzi pubblici ma anche aree cani e centri sportivi. L’unica eccezione prevista, sia nella metropoli milanese come nella città della Mole, comporta l’esplicito consenso di avvicinarsi espresso dai non fumatori presenti.

Come detto, il Comune di Bergamo non ha mai varato un provvedimento così decisivo in questa direzione. Nel marzo 2013 venne introdotto dall’allora assessore all’Ambiente Massimo Bandera – parte della giunta di centrodestra guidata dal sindaco Franco Tentorio – il divieto di fumo nei parchi pubblici, ma solamente nelle aree gioco per i bambini. Come, per esempio, nell’area baby del Parco Brigate Alpine nel quartiere Campagnola.

 

parco brigate alpine divieto di fumo

 

I trasgressori, da allora, rischiano una multa che, da un minimo di 25, può arrivare a sfiorare i 500 euro. Con il lavoro dell’attuale giunta che si appresta alla sua naturale conclusione, chissà che il nuovo inquilino di Palazzo Frizzoni possa valutare ulteriori riflessioni o provvedimenti su questo delicato tema.

“Il fumo passivo è un importante fattore di rischio per la salute delle persone non fumatrici, cittadini che in luoghi pubblici vengono lesi nella loro libertà da parte di chi esercita un’azione nociva per l’ambiente e i soggetti che lo circondano – sottolinea Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto Mario Negri -. Sono numerose le situazioni di rischio elevato anche all’aria aperta: i luoghi di attesa per i mezzi pubblici, ad esempio, comportano una concentrazione di persone in uno spazio aperto ma ristretto. Lo stesso vale per i parchi o per i ristoranti all’aperto, luoghi in cui le panchine o i tavoli si trovano fisicamente molto vicini. In questi ambienti i non fumatori sono esposti ai danni di sostanze cancerogene”.

La possibilità di imporre un divieto di fumo all’aperto si lega anche alla riduzione del numero totale dei fumatori, tra i più importanti contributori dell’inquinamento atmosferico.

“Solamente in Italia vengono fumate ogni anno circa 40 miliardi di sigarette, sigarette che rilasciano nell’atmosfera sostanze tossiche, e che spesso si trasformano in 40 miliardi di mozziconi che non vengono smaltiti adeguatamente – prosegue Garattini -. Il divieto di fumo all’aperto, così come l’aumento del prezzo dei pacchetti di sigarette, potrebbe aiutare ad abbassare la cifra di 12 milioni di fumatori italiani dai 15 anni in su attualmente stimata: rispetto a molti altri paesi europei in Italia le sigarette hanno ancora un costo molto basso”.

Naturalmente per lo Stato la vendita delle sigarette rappresenta una significativa fonte di introiti, con circa 14 miliardi di euro incassati ogni anno. Denaro che tuttavia viene speso – in gran parte, se non in quantità superiore – nel servizio sanitario nazionale per curare le persone che sviluppano una patologia proprio a causa della loro dipendenza. Patologie che non necessariamente sono di natura tumorale: il fumo è infatti un fattore di rischio per almeno 27 malattie, tra le quali figurano l’infarto e l’ictus celebrale.

“La tendenza, manifestata non solo a Torino ma anche in paesi esteri come il Regno Unito, è quella di creare la prima generazione smoke-free – sottolinea Lucia De Ponti, presidente Lilt Bergamo, la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori -. Alcuni Stati hanno già adottato la strategia di non consentire il fumo alle persone nate dal 2009 in avanti, una scelta per evitare che i giovani si avvicino al consumo di tabacco e direi estremamente importante: il fumo in Italia è responsabile di 96.000 morti all’anno”. Sono numeri impressionati, “come se ogni giorno cadesse un aereo con a bordo 260 persone” evidenzia De Ponti.

Allargando lo sguardo sull’intero continente europeo, gli unici Stati membri dell’Ue che stanno lavorando ad un progetto di legge che vieti a livello nazionale il fumo all’aperto nei luoghi pubblici sono Francia e Portogallo: in entrambi i casi il progetto è stato presentato alla fine dello scorso anno (2023).

“Il 47% della popolazione bergamasca che fuma ha cominciato prima dei 18 anni e di questi il 33% prima dei 15 anni – segnala la presidente -. Un dato estremamente negativo, che indica come i ragazzi iniziano a fumare nelle scuole medie”.

Per quanto riguarda il numero dei decessi causati da una patologia tumore del polmone, i dati risalenti al 2018 – l’ultima rilevazione Ats disponibile negli archivi Lilt – sono terrificanti: solamente nella provincia di Bergamo morirono 408 uomini e 206 donne. L’80% di essi si stima fossero fumatori.

“Negli ultimi sessant’anni stiamo assistendo ad un continuo aumento delle donne che fumano, mentre per quanto riguarda i maschi il fenomeno è in riduzione – spiega De Ponti -. Se nel 1957 la percentuale nazionale di fumatori si attestava al 65% per gli uomini e al 6,7% per le donne, nel 2018 la percentuale maschile si è ridotta fino a toccare il 27,7%, mentre quella femminile è salita al 19,2%. Un dato preoccupante che nasconde la presenza di fumatrici donne molto giovani, un fenomeno osservabile anche fuori dalle scuole”.

Ma non solo. “Ad essere cambiata è anche la motivazione alla base della prima sigaretta – racconta -. I ragazzi di oggi iniziano a fumare principalmente per emulazione, noia e per il desiderio di provare una sensazione ‘diversa’. Non è più riscontrata invece quell’ambizione di crescita attraverso il fumo fortemente presente in passato”.

In occasione della Giornata mondiale senza tabacco – che cade ogni anno il 31 maggio ed è promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – sono già previsti molti incontri, anche nella nostra provincia, per sensibilizzare sul tema e richiamare l’opinione pubblica sugli effetti negativi che il fumo comporta sulla salute umana.

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