• Abbonati
Giovedì sera

Al Sociale Elena di Troia come non si era mai vista: l’interpretazione di Mélina Martin supera i cliché

A chiudere la Stagione di Altri Percorsi della Fondazione Teatro Donizetti è stato “Opα”, spettacolo scritto e interpretato da Mélina Martin, che ha vestito i panni di Elena di Troia, donna bellissima, ma anche donna rapita, ferita, esibita come un trofeo

Bergamo. Esistono tre versioni del mito di Elena di Troia. In una viene rapita da Paride e portata lontana dal marito Menelao; nella seconda si innamora di Paride e scappa con lui; nella terza per effetto di una specie di incantesimo orchestrato da Afrodite viene portata in Egitto, lontana da Paride e da Menelao. “E voi che cosa avreste scelto? Partire per amore o essere violentate per dieci anni?”. Sul palco del teatro sociale di Bergamo, Mélina Martin si rivolge direttamente al pubblico e aspetta la risposta. L’attrice greco-svizzera, che si è esibita al Teatro Sociale di Bergamo, rompe sin dai primi secondi di “Opα” la quarta parete, il muro immaginario che sta tra il pubblico e il palcoscenico.

Recita in greco, balla sul palco e tra il pubblico – Martin è anche una danzatrice professionista formata alla Dance Area di Ginevra – fa salire sul palco una persona dalla platea per interpretare il ruolo di Menelao. La sua fisicità è travolgente e coinvolgente come la sua ironia che si fonde, con un po’ di amarezza alla sofferenza della protagonista.

Nella versione di Mélina Martin, Elena, donna avvolta dal mito, rivendica il fatto di essere sempre sulla bocca di tutti, nel bene e nel male. Essere la donna più bella del cosmo non è un elemento di vantaggio: c’è l’altra faccia della medaglia, quella del rapimento e del matrimonio non voluto. “Non è stata colpa mia”, dice.

A metà della messa in scena l’attrice si trasforma e diventa la sposa nel giorno delle nozze. Il vestito non del tutto abbottonato, il discorso imbarazzato, la danza. Tutto è avvolto dalla grecità, da cui Mélina Martin ha attinto per la creazione di “Opα”, e dal gioco che fa oscillare i pensieri delle persone del pubblico, spinti al limite. Alla fine, Elena/ Mélina si lascia andare in un grido di dolore e disperazione, l’opposto del religioso silenzio in cui è iniziata l’azione. Lo spettatore è completamente fuorviato. Forse l’interpretazione del mito secondo cui una donna, Elena di Troia, è da sola colpevole di una guerra durata dieci anni è sbagliata? Il dubbio rimane nell’aria del Teatro Sociale di Bergamo.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
Più informazioni
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI