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I grandi della storia

10 marzo del 1872

Giuseppe Mazzini, politico, filosofo e patriota: ma riabilitato solo dopo la morte

Appena Mazzini uscì da questa vita, entro nella leggenda: i suoi funerali videro una partecipazione popolare colossale e, da subito, iniziò il processo di beatificazione del patriota. Quel che non gli era stato riconosciuto in vita, gli venne tributato dopo la morte

Pochi personaggi della storia italiana appaiono, nella memoria come nell’analisi, tanto controversi come Giuseppe Mazzini, un politico, un filosofo e un patriota che tutti conoscono, per sentito dire, ma che ben pochi saprebbero collocare esattamente nel contesto del nostro Risorgimento.

Anzi, come amo dire, dei nostri Risorgimenti: giacché quel periodo che va dal Congresso di Vienna alla terza guerra d’indipendenza assunse, negli anni, caratteristiche tanto diverse da giustificare una simile definizione. E, se Mazzini, certamente, fu il protagonista ideologico di una di queste fasi, pure, nell’ultimo periodo risorgimentale si trasformò in una sorta di ostacolo petulante alla realizzazione unitaria, perlomeno nella percezione dei suoi detrattori. Fatto si è che l’uomo, a ragione inserito nella triade mitologica fondante della nostra identità nazionale, insieme a Garibaldi e a Vittorio Emanuele II, morì a Pisa, il 10 marzo del 1872, ossia ad unità ampiamente realizzata e con Roma già capitale del Regno, povero, ignorato e, in pratica, clandestino, in quella terra che aveva contribuito a creare.

Così, dato che sarebbe impossibile, in questa sede, affrontare in maniera anche solo accettabile l’opera e il pensiero mazziniani, ci limiteremo a domandarci come sia possibile che un simile patriota, quando si realizzò il suo ideale patriottico, fosse qualcosa di molto simile ad un latitante, cercando di darne una risposta credibile. Per cominciare, Mazzini fu un cospiratore vita natural durante, un repubblicano incrollabile e, se mi è concesso il termine, un agit-prop molto simile ad un terrorista.

Naturalmente, fu anche un formidabile pensatore ed animatore, tuttavia il suo pensiero, quando passava dall’analisi astratta, che era brillantissima, all’organizzazione pratica, ha sempre un poco difettato. In altre parole, Mazzini, pur avendo una visione lucidissima della lotta alla tirannide, che immaginava come un consorzio di fratelli, tanto italiani quanto europei, uniti nello sforzo di liberarsi reciprocamente dalle proprie catene, mandava i suoi adepti ad agire in condizioni avverse e li avviava invariabilmente ad un disastro. Se questo, poco a poco, gli alienò le simpatie di molti patrioti, che presero a considerarlo un cattivo maestro, se non addirittura uno iettatore, la sua fede repubblicana e la nettezza delle sue parole d’ordine gli alienarono quel patriottismo moderato che, dopo il 1848, era divenuto dottrina egemone nella causa dell’unificazione nazionale.

In altre parole, Mazzini era un profeta e un apostolo, ma l’unità d’Italia si dovette a Cavour, che, invece, era un maestro della politica politicata. In realtà, l’unica esperienza diretta di governo il Mazzini la sperimentò durante il Triumvirato romano del 1849: per il resto, egli continuò ad immaginare l’Italia, senza punto mettervi mano. E non poteva partecipare alla vita politica del Paese, neppure a fine Risorgimento, perché era stato condannato a morte per ben due volte: la prima, dal regno sardo, per i moti genovesi del 1857 e la seconda dalla Francia, per complicità nel famoso attentato di Orsini contro Napoleone III. E, siccome Napoleone era il nostro principale alleato, capirete bene.

Quindi, perfino quando Mazzini venne eletto trionfalmente al Parlamento, la sua elezione venne annullata, in virtù di quelle condanne. D’altronde, quando egli venne eletto una terza volta e la sua elezione venne convalidata, rifiutò il seggio, perché rimaneva ferocemente ostile alla monarchia. Dopo un’amnistia, nel 1870, Mazzini potè tornare in Italia e, subito, ci ricascò: si rimise a tramare, questa volta contro lo Stato della Chiesa, e venne arrestato a Palermo, dove era andato a sollevare il popolo. In carcere ci rimase poco, ma dovette riprendere la via dell’esilio: ecco perché, quando morì, a Pisa, era sotto falso nome, dopo essere nuovamente rientrato clandestinamente in Italia.

Quando morì, d’altronde, lo stavano per arrestare di nuovo: destino crudele per uno che aveva tanto amato l’Italia.

Come spesso accade, qui da noi, appena Mazzini uscì da questa vita, entro nella leggenda: i suoi funerali videro una partecipazione popolare colossale e, da subito, iniziò il processo di beatificazione del patriota. Quel che non gli era stato riconosciuto in vita, gli venne tributato dopo la morte. Rimane, tuttavia, l’enigma storico riguardante Mazzini: un giudizio sul suo operato e sul ruolo che rivestì nel nostro Risorgimento che andrebbe rivisitato con spirito libero e senza paraocchi ideologici, per restituirne appieno la figura, tra luci ed ombre. Certamente, egli ebbe un enorme influsso sulla formazione di certo pensiero repubblicano e financo socialista (si pensi a Cesare Battisti), ma, altrettanto certamente, vi sono aspetti del suo apostolato che rimangono poco chiari o, se si preferisce, male esaminati e collocati.

Resta il fatto che, comunque la si voglia vedere, Giuseppe Mazzini è stato un grande della nostra storia, che merita la nostra gratitudine e il nostro rispetto.

marco cimmino

 

* Marco Cimmino è uno storico bergamasco, classe 1960. Specializzato nello studio della guerra moderna, fa parte della Società Italiana di Storia Militare. Ha all’attivo numerosi saggi storici, prevalentemente sulla Grande Guerra e collabora con diverse testate, nazionali e locali. Per Bergamonews ha curato, in precedenza, una storia a puntate della prima guerra mondiale e una storia dell’Unione Europea.

 

 

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