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Il doppio infanticidio

Soffocata con un cuscino e stretto in un abbraccio mortale, così sarebbero morti Alice e Mattia fotogallery

Il paese di Pedrengo si è svegliato con una notizia che ha lasciato tutti sgomenti. Il sindaco Simona d'Alba: "Presidiate tutte le zone sensibili del centro. E' il tempo del rispetto e del silenzio"

Pedrengo. Esasperata dal pianto ininterrotto dei figli, li avrebbe soffocati: Alice, 4 mesi, con un cuscino, e a due anni di distanza Mattia, 2 mesi, con un abbraccio mortale. Questo sarebbe il responso sulle cause della morte emerso dalle due autopsie eseguite sui corpicini dei piccoli, nati dall’unione di Monia Bortolotti e di suo marito Cristian Zorzi.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti i bambini sarebbero appunto stati strappati alla vita per mano della loro mamma, arrestata nella mattinata di sabato 4 novembre perché ritenuta colpevole del doppio infanticidio. A indurre al pensiero delle due strazianti dinamiche, proprio i segni ritrovati sui corpi dei piccoli, gli stessi che erano passati inosservati al momento del decesso tanto da far immaginare, almeno inizialmente, a due morti naturali. Ora, la giovane donna, difesa dall’avvocato Luca Bosisio, si trova in carcere, a Bergamo, in attesa dell’interrogatorio di garanzia da parte del giudice delle indagini preliminari. La data non è ancora stata fissata.
A ricostruire il quadro di una situazione tanto drammatica quanto dolorosa ci hanno pensato i carabinieri del Comando Provinciale di Bergamo coordinati dalla procura: in seguito al secondo decesso, quello del piccolo Mattia, mossi da una serie di dubbi, hanno deciso di indagare più a fondo, tanto da spingersi a chiedere l’autorizzazione per riesumare la salma di Alice. Il tutto con lo scopo di cercare di capire se, dietro alle due tragedie, ci fosse qualcosa di più. A due anni di distanza dalla morte della prima figlia, che inizialmente si supponeva vittima di un incidente legato ad un rigurgito, la morte del secondogenito. Una seconda fatalità che, parsa dai contorni poco definiti, ha indotto così i carabinieri a cercare di fare chiarezza, inducendo il Pubblico Ministero Maria Esposito a disporre la riesumazione dei corpi dal cimitero di Pedrengo e a far eseguire gli esami autoptici.
Come si legge dalla nota dei carabinieri, “il pregresso danneggiamento della bara non aveva però consentito una buona conservazione della salma e, di conseguenze, l’esame era risultato inevitabilmente falsato, senza restituire informazioni risolutive per le investigazioni in corso”. L’indagine, proseguita così in modo tradizionale, avrebbe poi portato a far emergere gravi indizi di colpevolezza a carico della giovane madre, con una serie di dichiarazioni discordanti fornite rispetto agli eventi. E ad alimentare le domande, anche il buono stato di salute di Alice e Mattia, sani fino al momento della morte: “La bambina, sebbene nata pretermine e leggermente sottopeso, all’atto delle dimissioni dal nido e nelle successive visite pediatriche era sana, come il fratello: pertanto la morte era verosimilmente avvenuta non per cause naturali, ma per asfissia”.
A guidare la mano della madre, così racconta la nota dei militari, e a delineare la causa scatenante dell’azione infanticida per entrambi i delitti, l’incapacità della donna di reggere alla frustrazione del pianto prolungato dei bambini. Nel corso dell’indagine non sembrerebbe infatti emerso un quadro clinico riconducibile ad un disturbo di tipo psichico da parte della 27enne, piuttosto, così scrivono gli inquirenti, ad una volontà.
La stessa che avrebbe portato “la donna ad agire nella piena capacità di intendere e di volere, tanto da risultare apparentemente lucida, ben orientata, con grande capacità di linguaggio, razionalizzazione e freddezza, caratteristiche palesate, tra l’altro, nell’organizzazione della propria difesa, dopo aver scoperto di essere sospettata dei due infanticidi”.
Una vicenda che ha i toni della tragedia assoluta, non solo per l’epilogo, ma anche perché al dolore per la scomparsa di Alice e Mattia, ora, si aggiunge anche una presunta verità che lascia sgomenti.
Monia Bortolotti viveva insieme al marito a Pedrengo, paese di origine dell’uomo – considerato totalmente estraneo ai fatti dagli inquirenti – in una villetta di testa di via Falcone Borsellino, nel complesso denominato “Il Gelso”. Arrestata dai carabinieri, la donna si sarebbe chiusa nel silenzio. Casalinga, faceva la mamma. Di origini indiane, era stata adottata all’età di 1 anno da una famiglia bergamasca originaria della Valle.
Simona d’Alba, sindaco di Pedrengo, fatica a raccontare il dramma che ha colpito la sua comunità, svegliatasi sabato mattina in stato di shock: “Ho lavorato e continuo a farlo nel massimo della riservatezza. Posso garantire che, anche qui, in Comune, in pochissimi erano a conoscenza di quanto stava accadendo. Questa è una tragedia senza fine, è un dramma nel dramma. Solo fino a qualche tempo fa abbiamo pianto la scomparsa di due piccole anime innocenti, oggi scopriamo quanto potrebbe essere accaduto. Non mi permetto di entrare nel merito della vicenda, lascio alla giustizia il compito di far luce su tutto. Umanamente, e lo dico anche da madre, non riesco nemmeno ad immaginare come si possano vivere delle situazioni simili, e il mio pensiero va ai familiari, in particolare al marito. Questo è il momento del silenzio e della preghiera, e credo che sia importante anche che tutti, proprio per questa ragione, abbiano rispetto dei luoghi, anche religiosi, che fanno capo a questa storia. Per questi motivi ho invitato i miei tecnici a cercare di limitare l’ingresso al cimitero”.
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