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L'intervento

La tragedia che si sta consumando tra Israele e Palestina

Si predica il diritto ad “esistere” e a “difendersi” dello Stato di Israele, ma non lo si predica allo stesso modo per lo Stato Palestinese

Sapendo che da oltre vent’anni trascorro gran parte del periodo estivo in Terra Santa coltivando relazioni da entrambi i lati del muro lungo 850 km fatto costruire da Israele per chiudere il territorio palestinese occupato per una propria maggiore sicurezza e difesa, sia con frati e suore che con associazioni laiche e religiose, con il clero del patriarcato di Gerusalemme che gestisce le tante attività di solidarietà della Caritas anche a Gaza, per tutto questo molti mi chiedono di commentare i tragici e dolorosi avvenimenti innescati dalla brutale, disumana violenza di Hamas fuori dalla striscia di Gaza il 7 ottobre scorso.

La prima cosa che mi viene da dire è: non essere superficiali nel dare giudizi e nella lettura di una realtà complessa e che si trascina da più di un secolo e in particolar modo dalla nascita dello Stato d’Israele nel 1948.

Superficialità, banalizzazione e appiattimento su posizioni ideologiche è quello che purtroppo stiamo leggendo anche sui maggiori quotidiani italiani e vedendo nelle diverse trasmissioni televisive.
A volte mi viene da chiedermi, ma tutta questa gente che ora dice “bisogna scegliere da che parte stare” dove era negli ultimi vent’anni? Si svegliano ora e per di più alimentando narrazioni superficiali quasi tutte acriticamente filoisraeliane ? Senza indagare la storia antica e recente. Dove erano? Solo ora “bisogna scegliere da che parte stare”?.

Io voglio stimolare ad una riflessione più profonda. Che non mira a distribuire i torti e le ragioni e tantomeno a giustificare la violenza. Ma a cercare di leggere un po’ meglio la situazione portando la mia testimonianza. Intanto alcuni dati sono importanti come quello dell’età media della popolazione: i circa due milioni di abitanti di Gaza hanno un’età media di circa 18 anni e i due milioni che vivono nei territori occupati quasi 23 anni. Cioè, la stragrande maggioranza è cresciuta in una situazione di occupazione, di mancanza di libertà e con tassi di disoccupazione altissima e diffusa povertà.

La situazione non può che essere esplosiva! Questa situazione genera esplosività. È così da tanti anni e lo sarà ancora nei prossimi anni. Ciclicamente ci saranno esplosioni di violenza maggiore di altre ma se non cambia la situazione sarà così ancora per tantissimo tempo. E le vittime saranno sempre per la maggior parte gli innocenti, i poveri, i civili, gli indifesi, i vecchi e i bambini.

Personalmente sono testimone della violenta politica di occupazione che Israele ha perpetrato nei Territori Occupati dalla costruzione del muro in poi (giugno 2002). L’annessione illegale (secondo il diritto internazionale) di interi parti di territorio palestinese, il promuovere e sostenere la costruzione di colonie illegali spesso abitate da ebrei ultranazionalisti che giustificano ideologicamente e religiosamente l’occupazione. I tanti civili e bambini morti sotto i bombardamenti dell’aviazione o i civili morti e feriti nei vari raid dell’esercito alla ricerca dei terroristi o peggio per “punire” gli attentati, le uccisioni extragiudiziarie, la prigionia senza alcun tipo di processo per migliaia di persone tra cui tantissimi minori, la presenza di più di 400 check-point sul territorio palestinese che di fatto complica o impedisce la libera circolazione anche nei Territori Occupati.

Tutto questo genera mancanza di prospettive per un giovane, senso di oppressione, odio e violenza.
Certo Israele ha le sue ragioni per perpetrare questa politica, in particolar modo quella della sacrosanta sicurezza della propria popolazione. Quello che io mi sento di dire e denunciare è che questo modo di procedere non porterà mai né alla pace e né alla sicurezza. Israele e Hamas per interessi diversi in questi anni anno volutamente compiuto azioni che portassero a radicalizzare il conflitto e le due popolazioni sono in balia degli estremisti da una parte e dall’altra.

Una bravo gesuita di Gerusalemme mi diceva che non bisogna leggere la situazione distinguendo tra chi ha ragione e torto e tra bravi e cattivi perché entrambe le parti lungo la storia sono state vittime e colpevoli della situazione. Però bisogna distinguere tra forti e deboli. Durante la storia spesso sono stati gli ebrei i deboli. Oggi
lo sono i palestinesi e lui diceva che bisogna aiutare e difendere i deboli, sempre. A prescindere dal credo religioso e razza. E oggi sono quelli che vivono sotto occupazione.

Io accuso lucidamente la politica di Israele rispetto la questione Palestinese in questi vent’anni la quale ha scelto (volutamente!) la strada peggiore favorendo il rafforzamento degli estremisti e di Hamas e rendendo sempre più esplosiva la situazione che per la sua complessità avrebbe dovuto essere gestita in un altro modo.
Così come l’incapacità di Abu Mazen e del governo palestinese di gestire le infinite difficoltà che vivono gli abitanti dei Territori Occupati, di creare un consenso internazionale e offrire alternative al governo israeliano.

Mi sento di aggiungere una critica alla politica estera dei singoli stati e di tutta l’Unione Europea, ancora una volta (come il conflitto tra Russia e Ucraina) incapace di prevenire i conflitti, di adoperarsi con una diplomazia significativa capace di incidere sulla realtà e contribuire alla pace. Delusione e amarezza per l’impotenza e
l’incapacità di quanti ci rappresentano in materia di politica estera.

L’invito per tutti è quello di non appiattirsi alla narrazione superficiale che stiamo vedendo e ascoltando in questi giorni. Di parlare con quelli che sono sul territorio lavorando al meglio ogni giorno, cercando di aiutare davvero i più bisognosi e lavorando per davvero per la pace. Sono tante le persone di buona volontà che ho incontrato in questi anni. Se volete dare un contributo alla Pace sostenete le persone e le associazioni impegnate sul territorio: La Caritas di Gerusalemme, La custodia di Terra Santa dei Frati Francescani, i progetti delle suore Comboniane, quelle di San Vincenzo de Paoli, di Maria Bambina, il Caritas Baby Hospital di Betlemme, I Medici Senza Frontiere, La Tenda delle Nazioni, Human Support, Operazione Colomba legata all’Associazione Papa Giovanni XXIII, AssoPace Palestina, solo alcune di quelle che conosco personalmente e del gran servizio che fanno.

E uniamoci nella preghiera affinché Dio apra un varco nel cuore degli uomini e si possa diventare tutti costruttori di pace chiedendo il dono del perdono e della misericordia, senza i quali l’odio avrà il sopravvento su tutti.

Chi vuole approfondire trova dei buoni articoli in questo sito:
https://www.ispionline.it/it/ e due articoli significativi:
di Vito Mancuso: https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/10/vito-mancuso-ecco-che-cosa-significa.html
di Judith Butler: https://www.assopacepalestina.org/2023/10/14/una-bussola-per-il-nostro-lutto/

Inoltre, condivido alcune considerazioni circa l’uso dei vocaboli e di quanto incidono sulla narrazione. L’esercito Israeliano (Israel Defense Force) si chiama appunto Esericito di Difesa. Ma nei Territori Occupati palestinesi è una Forza Occupante. Non solo, a sua volta usa metodi terroristici in quei luoghi.
Hamas è un organizzazione terrorista. Ma è anche vero che la Palestina non ha un esercito regolare. Se lo avesse si chiamerebbe Esercito di Difesa, con le ambiguità come quello di Israele. E quindi non a torto qualcuno definisce Hamas come “partigiani” che lottano per la libertà del loro paese. Se nella narrazione si parlasse di forza occupante (terroristica) e di partigiani, quanto cambierebbe la percezione degli stessi fatti? Se i territori occupati da Israele rispetto alla Green line definita nel 1949 oppure quelli definiti nel 1967 fossero chiamati nei vari articoli di giornali “Territori Occupati” anziché Cisgiordania, come cambierebbe la percezione?

Si predica il diritto ad “esistere” e a “difendersi” dello Stato di Israele, ma non lo si predica allo stesso modo per lo Stato Palestinese. Come mai?

Ed ancora, voglio affermarlo chiaramente dando voce a una larga parte dell’opinione pubblica. È ora di finirla di tacciare di antisemitismo qualsiasi critica alla politica di Israele. Non è antisemitismo, è esprimere dei giudizi su un certo modo di procedere non sulla razza tanto meno sulla religione.
Questo modo di tacciare le posizioni critiche è volutamente usato e sfruttato per svalutare e screditare le argomentazioni critiche e generare un consenso emotivo. E bisogna dirlo una volta per tutte a cominciare dai tanti giornalisti che scrivono anche su importanti giornali nazionali.

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