Cavernago. ‘No’ al trasferimento in una comunità di recupero, come richiesto dall’avvocato Miriam Asperti: il 30enne Federico Gaibotti, accusato di omicidio volontario aggravato per avere ucciso il padre Umberto, resta in carcere. Questa la decisione del gip Vito di Vita che ne ha convalidato l’arresto dopo l’interrogatorio di lunedì mattina (7 agosto).
Il ragazzo, con seri problemi di tossicodipendenza, ha accettato di rispondere alle domande del giudice. “Quel che posso dire è che è emersa una situazione di forte disagio – si limita a commentare il suo legale-. È molto provato e sofferente per la sua condizione. Ha avuto un momento di cedimento”, sfociato in un dirompente pianto: “Non valgo più niente”, avrebbe detto.
Nonostante ciò, Federico Gaibotti ha ricostruito in modo piuttosto lucido ciò che è successo venerdì pomeriggio nella villetta di via Verdi a Cavernago. A quanto pare, quando è arrivato a casa il padre Umberto non c’era. Il 30enne era passato a prendere qualcosa, un I-pad da consegnare alla ragazza che lo stava aspettando nella Bmw parcheggiata fuori casa. Un modo per saldare un debito di circa 200 euro, verosimilmente un debito di droga.
Che anche quel pomeriggio il ragazzo non stesse attraversando un momento semplice lo si è capito dalle parole che avrebbe rivolto a una vicina, pochi minuti prima che la tragedia si concretizzasse: forse sotto l’effetto di alcol (ma non di sostanza stupefacenti, ha assicurato) le avrebbe confidato le sue fragilità, soprattutto la sua volontà di togliersi la vita. Poi, quando il padre è rincasato, i due hanno iniziato a litigare per l’ennesima volta. L’ultima: il corpo di Umberto Gaibotti, 64 anni, è stato recuperato dai carabinieri in giardino, ferito da almeno sei coltellate (in giornata l’autopsia all’ospedale Papa Giovanni); mentre il figlio è stato bloccato con ancora addosso i vestiti sporchi di sangue.
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