Bergamo. La provincia di Bergamo si posiziona al ventitreesimo posto nella classifica dei territori meno istruiti secondo uno studio del Sole 24 Ore. Una preoccupante statistica che invoca a gran voce un deciso cambiamento, un calcolo che spaventa gli esperti e come diretta conseguenza cattura le attenzioni del ministero.
L’indagine, basata su alcuni dati Istat risalenti al 2021, riguarda il livello di istruzione della popolazione nelle varie province italiane e la prepotenza con la quale la povertà educativa si è dimostrata in grado di infiltrarsi e diffondersi nel tessuto sociale dei territori. Un risultato tutt’altro che notevole che colloca il nostro territorio a distanza siderale rispetto ai picchi registrati nelle metropoli Roma e Milano o nelle province autonome di Trento e Bolzano e dietro solamente a Biella e Rovigo tra le province amministrative settentrionali.
La classifica prende in esame i titoli di studio conseguiti dai residenti di una determinata provincia oltre i 9 anni di età, l’età minima di riferimento per l’alfabetizzazione: le dieci province con la più alta percentuale di popolazione con un basso livello di istruzione – uguale o inferiore alla licenza media – sono completamente circoscritte alle regioni del Sud.
Un dato che evidenzia uno spropositato divario tra il Nord e il Sud del paese che si trova in un paradossale contrasto con gli eccellenti risultati nella Maturità 2023 rilevati nelle regioni meridionali. Il governo, tramite il Ministero dell’Istruzione e del Merito (Mim), ha presentato il 9 giugno 2023 l’Agenda Sud, un piano strategico per tentare di diminuire il gap odierno ed eliminare le differenze presenti nel sistema scolastico tra Nord e Sud.
In merito a questi dati risultano interessanti alcune dichiarazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, risalenti allo scorso maggio: “La povertà educativa è una condizione sociale fortemente correlata alla povertà economica: la ridotta disponibilità economica si traduce spesso in una drastica riduzione delle possibilità e delle occasioni educative”.
Una scarsa istruzione esplicitamente connessa dunque ad una difficile condizione economica famigliare. Secondo i dati del Mim in Italia sono circa 1,2 milioni i minori che si trovano in una situazione economica di debolezza: “Questi bambini non possono permettersi la possibilità di partecipare a un evento, di visitare una mostra, di andare al cinema, o più in generale di godere di consumi culturali” – dichiarava Valditara non più di due mesi fa.
L’effetto di questo stretto legame si riflette apertamente nelle statistiche riferite all’abbandono scolastico: in Italia un minore su sette decide di non proseguire gli studi e lasciare anzitempo il sistema dell’istruzione. Quasi la metà dei ragazzi non ancora maggiorenni afferma – un dato sconvolgente – di non aver mai letto un libro.
Rispetto a questo tema uno degli obiettivi del Pnrr è rappresentato dalla riduzione della percentuale di “early leaver from education and training” – ovvero coloro che lasciano prematuramente gli studi – dal 12,7% del 2021 al 10,2% entro il 2026. Nella speranza di poter invertire un allarmante trend che continua a contraddistinguere il nostro paese.
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