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Tribunale

Morta nel rogo in ospedale, in aula il confronto tra i medici legali di accusa e difesa

I due esperti in disaccordo circa i tempi del decesso: per Marchesi è avvenuto in pochi minuti, per Migliorini in poche decine di secondi

Bergamo. Elena Casetto è morta in pochi minuti o in pochi secondi? E qual è stata la causa del decesso?

Nell’udienza di giovedì 11 maggio del processo a carico di due addetti della squadra antincendio all’epoca dipendenti della società che gestiva il servizio all’ospedale Papa Giovanni, si sono confrontati i medici legali consulenti dell’accusa e della difesa. Entrambi erano chiamati a stabilire i tempi e le modalità della morte della diciannovenne, avvenuta il 13 agosto 2019 all’interno del rogo, da lei stessa appiccato, nella sua camera del reparto di psichiatria.

Un quesito fondamentale ai fini del processo: se la morte è sopravvenuta nel giro di pochi secondi l’intervento tempestivo dei due imputati non avrebbe comunque salvato la giovane. Al contrario, se fosse morta nel giro di minuti la rapidità d’azione della squadra antincendio avrebbe forse potuto salvarla.

Secondo la tossicologa Claudia Vignoli la ragazza non aveva inalato molto fumo: nel sangue c’era una concentrazione di carbossiemoglobina pari al 16%, una percentuale che non porta al decesso, se si considera il fatto che un fumatore potrebbe averne anche il 10%.

Matteo Marchesi, medico legale del Papa Giovanni e consulente dell’accusa, sostiene che Elena sia morta nel giro di pochi minuti: “La vittima presentava residui di fuliggine nelle vie aeree, in particolare nella regione che si trova sotto le corde vocali ma, considerato il livello modesto di monossido nel sangue, non è deceduta per intossicazione nonostante avesse iniziato a respirare il fumo”.

Com’è morta quindi la 19enne? Secondo il consulente si sono verificate una serie di concause: “Non solo per l’effetto termico diretto delle fiamme sul corpo, ma anche per gli effetti del calore sulle mucose delle vie aeree, che scatenano delle reazioni del corpo e possono portare a crisi respiratorie, contrazione della laringe e attività nervosa vegetativa che può provocare un arresto cardiaco”.

Arnaldo Migliorini è il medico legale consulente della difesa e secondo lui Elena Casetto sarebbe morta nel giro di poche decine di secondi a causa del cosiddetto flash fire. “Si tratta di un fenomeno che consiste nell’inalazione di aria ad elevate temperature che provoca una reazione nervosa e può chiudere le vie aeree, rallentare il cuore e il respiro, portando al decesso in un tempo brevissimo, 30-40 secondi al massimo. Questo spiegherebbe perché la vittima sarebbe morta prima di venire intossicata dal fumo. Anche perché era in una situazione di costrizione, non poteva allontanarsi dall’origine delle fiamme, quindi ha respirato fumo rovente che ha provocato una serie di reazioni corporee”.

Il dottor Marchesi non ritiene valida la tesi del flash fire: “È un fenomeno particolare. Si verifica con un incendio violento ed esplosivo che genera una massa di aria calda che investe una persona. Nel caso in questione mancano le condizioni dell’ambiente per crearlo”.

Di altro avviso il dottor Migliorini: “Ho concluso per il flash fire perché sono andato per esclusione: non è morta per intossicazione da fumo, non è morta per i traumi. Sappiamo che ha inalato del fumo perché c’era la presenza di fuliggine e che non poteva allontanarsi dal punto di origine delle fiamme, quindi deduco che sia deceduta a causa dello stimolo termico delle vie aeree”.

Nel corso dell’udienza è stato sentito anche lo psichiatra  dell’ospedale Papa Giovanni Massimo Biza, incaricato dalla procura di valutare l’evoluzione del ricovero di Elena e se le procedure adottate nel suo caso fossero corrette: “Ritengo che il ricovero sia stato appropriato in quanto la ragazza è stata fermata da alcuni passanti mentre cercava di entrare a piedi in autostrada con propositi suicidiari”.

La diagnosi per la 19enne è stata quella di disturbo della personalità e le sono state somministrate benzodiazepine e acido valproico, un farmaco solitamente utilizzato per curare l’epilessia ma che viene somministrato anche a pazienti con eccesso di agitazione. Il 13 agosto, giorno del decesso, la giovane era stata trovata dagli infermieri con un lenzuolo legato al collo mentre tentava di suicidarsi. Così, dato che non riuscivano a tranquillizzarla, avevano contattato il medico che aveva ordinato la contenzione fisica. “Queste procedure sono tutte in linea con il protocollo e sono state eseguite correttamente. Non essendoci la possibilità di mettere del personale infermieristico a presiedere il paziente costretto, la porta della camera è stata chiusa per evitare che qualcuno potesse introdursi. Sono previsti controlli ogni 15 minuti”, ha dichiarato Biza.

Come mai Elena Casetto aveva con sé un accendino? “Probabilmente l’aveva nascosto nelle parti intime – conclude lo psichiatra -. I pazienti vengono sottoposti a perquisizioni esterne. Il protocollo, per salvaguardare la dignità della persona ricoverata, non prevede altro tipo di perquisizioni”.

Prossima udienza il 22 giugno.

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