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Il commento

“Il busto di Locatelli alla Torre dei Caduti? Bergamo faccia i conti con la sua storia”

Mauro Magistrati, presidente dell’Anpi Bergamo: "Condivido il contenuto della lettera aperta dell'ISREC di Bergamo e la necessità di affrontare la storia di Antonio Locatelli per quella che è"

Bergamo. Mauro Magistrati, presidente dell’Anpi Bergamo, condivide una riflessione in merito alla presenza del busto in onore di Antonio Locatelli al primo piano della Torre dei Caduti. L’Isrec di Bergamo vorrebbe un confronto con l’amministrazione sulla collocazione del ritratto nella restaurata Torre. Anche perché, se è vero che Locatelli ha combattuto ed è stato decorato nel ’15-‘18, è anche vero che a quel conflitto è sopravvissuto attraversando poi altre dibattute stagioni. Soprattutto, si distinse come “eroe della rivoluzione fascista” e come alfiere dell’Italia imperiale aderendo alla retorica bellicista e razzista del regime, tanto da essere definito dallo stesso Mussolini “una delle anime più pure e intrepide del fascismo”.

Ecco la riflessione di Mauro Magistrati:

Premetto che condivido il contenuto della lettera aperta dell’ISREC di Bergamo sulla Torre dei Caduti e la necessità di affrontare la storia di Antonio Locatelli per quella che è. Tra l’altro, come ANPI Provinciale di Bergamo, sosteniamo il Progetto Adriana che si è occupato quest’anno della storia e memoria di diverse figure partigiane, costruendo momenti di approfondimento sul tema della odonomastica e toponomastica antifascista.

Vorrei però che si ragionasse attorno ad una domanda di fondo: abbiamo bisogno, come collettività, di eroi da esaltare? E se sì, perché vogliamo proporre alle nuove generazioni modelli che di eroico non hanno alcunché? Credo che parlare della figura di Antonio Locatelli voglia dire ricostruirne gli esatti contorni.

Non possiamo far finta di dimenticarci che per Antonio Locatelli l’adesione al fascismo non fu defilata, costretta o altalenante, ma anzi, non venne mai meno e lo portò a partecipare, convintamente, alla guerra fascista di aggressione dell’Etiopia vantandosi delle bombe chimiche da lui sganciate su popolazioni civili inermi. Adesione al fascismo che viene confermata anche dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti nel giugno del 1924. È inoltre ben nota la fama di Locatelli come picchiatore e squadrista della prima ora già nel fascismo dei primi anni ’20. Si può pertanto affermare, senza timore di smentita, che Locatelli abbia rappresentato, da vivo e da morto, il simbolo stesso del fascismo, il volto e l’incarnazione di tutti i “valori” dell’uomo nuovo fascista.

Ossequioso e quasi assordante è poi il ricordo che Bergamo ha tributato (e continua a tributare) all’aviatore bergamasco negli anni della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista (non c’è bisogno qui di ricordare quanti siano i luoghi, le vie, le piazze, le sale ancora oggi intitolate all’eroe della rivoluzione fascista non solo in città, ma in tutta la Provincia).

Ritengo che altre siano le personalità bergamasche che hanno dato vanto alla nostra Città e che aspettano di essere degnamente onorate.

Chiudo prendendo in prestito le parole scritte da Salvo Parigi, presidente ANPI Provinciale di Bergamo fino al 2016, su un periodico bergamasco nell’aprile 1956: “Che cosa di Antonio Locatelli possiamo ricordare ai nostri figli? La dedizione alla Patria? Sì, ma che questa non sia oppressione delle Patrie d’altri uomini. Il coraggio? Sì, ma che questo non significhi schiavitù e sterminio d’altri uomini. La capacità e l’intelligenza? Sì, ma che queste non siano poste al servizio di chi nega libertà e giustizia al popolo”.

Ritengo che Bergamo debba seriamente fare i conti con la sua storia passando da una seria contestualizzazione di Locatelli: le occasioni per costruire consapevolezza e memoria non mancano. Questo perché il rispetto della storia impone a tutti, da qualsiasi parte politica uno si ponga, di non travisarla o adattarla alle necessità del momento. Soprattutto quando questa storia ha segnato la vita della nostra nazione, ed è costata sangue, sacrifici, carcere e umiliazioni a chi non ha avuto paura di fare quella scelta, che – nessuno può ancora permettersi di dire il contrario – è alla base della Repubblica democratica in cui oggi viviamo.

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