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Oltre la leggenda

L’Epifania, quella vera, insegna: è la scienza la nostra nuova stella cometa

I magi sono realmente esistiti, ma non erano re. Erano scienziati, custodi del sapere astronomico, come testimonia Erodoto, storico greco vissuto nel V secolo a.C

A chi non è mai capitato di volgere gli occhi al cielo in cerca di risposte? Quando ci sentiamo persi, quando non sappiamo dove sbattere la testa arriviamo a sperare che lassù, nel grande universo, ci sia un segnale per noi o qualcuno in ascolto, pronto a fornirci la soluzione che stavamo aspettando.

Negli astri cerchiamo ciò che non riusciamo a comprendere o ciò che è troppo difficile da accettare. Forse è proprio l’aurea di mistero a rendere così affascinante la storia legata alla festa dell’Epifania: l’arrivo dei Magi alla capanna di Gesù bambino.

Le premesse per fare di questo racconto un master piece intramontabile ci sono tutte: c’è un fondo di realtà storica, unita a finzione e, per finire, un pizzico di immaginazione artistica.

I magi sono realmente esistiti, ma non erano re. Erano scienziati, custodi del sapere astronomico, come testimonia Erodoto, storico greco vissuto nel V secolo a.C. Questa è l’unica certezza del mito. Non è detto che fossero tre e nemmeno che venissero dalla Persia o dalla Mesopotamia. I loro nomi, Melchiorre, Baldassarre e Gaspare, sono solo una leggenda, come lo è il fatto che uno di loro fosse di pelle nera.

Non seguivano una cometa. Le poche indicazioni a disposizione sono quelle nel Vangelo di Matteo (2,1-12) in cui si parla di una stella e non di una cometa: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo. […] Udite le parole del re [Erode, ndr], essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino”.

A chi dobbiamo l’aggiunta dell’elemento più importante della storia? È stato il grande Giotto, pittore vissuto a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, armato di pennello, a dipingere un globo infuocato con una striscia conica sopra la raffigurazione della Natività nella Cappella degli Scrovegni a Padova.

L’enigma della stella cometa di Giotto viene risolto solo nel 1979 quando Roberta Olson, studiosa americana di arte, avanza l’ipotesi che si tratti della cometa di Halley, che il pittore vide probabilmente con i propri occhi nel 1301.

Quella cometa incandescente oggi assume un senso diverso, che entra dirompente nelle nostre vite. La cometa non è più ciò che seguiamo, ma ciò che abbiamo perso: una rotta. Un po’ come la gigantesca cometa di “Don’t look up”, il film recentemente distribuito da Netflix, che racconta una storia non vera ma possibile. Il professor Randall Mindy (Leonardo di Caprio) e la dottoressa Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) scoprono una gigantesca cometa in arrivano sulla terra, evento che, se non evitato, causerà il collasso dell’intero pianeta. I due scienziati cercano di far sentire la propria voce, trovandosi a fare i conti con una umanità cieca e superficiale, dove spopolano negazionisti e cospirazionisti.

Oggi abbiamo disperatamente bisogno di un astro che ci indichi la via. La nostra stella cometa è la scienza, fatti di dati e concretezza, e la destinazione è il 2030, momento in cui i cambiamenti climatici in corso non saranno più reversibili e i danni non più arginabili. Abbiamo meno di dieci anni per prendere le giuste decisioni, per imparare a vedere, e non semplicemente guardare, oltre noi.

Restano otto anni per modificare i nostri stili di vita, per aprire gli occhi sulle reali priorità. Se seguiremo la nostra cometa, la scienza, saremo in grado di arrivare alla meta: un mondo vivibile in cui l’io individuale lascia il posto al noi, al benessere di ogni forma di vita. Servono leader responsabili in grado di guidarci in questo viaggio di non ritorno, ma la differenza la faranno le azioni di tutti.

 

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