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Lettere

Esasperato e impotente

“Dopo il Covid dovrei andare in pensione, ma la burocrazia mi blocca”

Il classico rimbalzo di responsabilità, con due uffici dello stesso Ente che dicono esattamente uno l’opposto dell’altro.

Angelo Colombo, sessantunenne di Alzano Lombardo, racconta la sua piccola odissea di una persona che, dopo avere lottato col Covid-19, si trova ora a dover combattere contro un mostro che non teme nessun antivirale: la burocrazia

Spettabile Redazione,

ho 61 anni, e ho lavorato per oltre 40 anni presso Poste Italiane. Prima di essere assunto in Posta, ho lavorato durante le vacanze scolastiche estive, mettendo da parte un paio di anni di contributi.

A febbraio 2020 sono stato colpito molto duramente dal Covid-19; sono sopravvissuto solo grazie alla bravura di chi mi ha curato, e alle cure e alle preghiere della mia famiglia.

Dopo aver fatto eseguire accurati controlli sul mio estratto contributivo presso INPS mi sono dimesso dal lavoro in Posta, perché non ero più in grado di svolgere quel lavoro. Stando a quanto mi risulta, dovrei riscuotere la prima pensione ad aprile 2021. Dico “dovrei”, perché finora non mi è stata data nessuna garanzia.

Stando al mio estratto contributivo di lavoratore dipendente, infatti, mi mancherebbero poco più di tre mesi per raggiungere l’anzianità necessaria (42 anni e 10 mesi). Quattro mesi è invece il periodo corrispondente al Congedo Parentale di cui ho goduto e i cui contributi figurativi – per misteriosi motivi – l’Istituto Postelegrafonici non ha mai trasmesso ad INPS.

È già dal 2017 che sto cercando di vedermi riconosciuti tali contributi, ma senza risultato. Ad agosto 2020, sfiduciato, avevo persino presentato domanda di riscatto oneroso di tale periodo, ma dall’INPS di Bergamo mi venne risposto che il riscatto non è possibile: debbo avanzare pratica di ricongiunzione gratuita. A dicembre 2020 ho quindi sollecitato ad IPOST (ora Fondi Speciali INPS, a Milano) la pratica di ricongiunzione giacente dal 2017, ma mi è stato risposto che… li debbo riscattare onerosamente.

Insomma, il classico rimbalzo di responsabilità, con due uffici dello stesso Ente che dicono esattamente uno l’opposto dell’altro.

Tralascio poi il fatto che, in subordine, i periodi mancanti come dipendente sarebbero comunque coperti, grazie al “cumulo” con i contributi della Gestione Separata: ma quei contributi non sono
nemmeno stati presi in considerazione da chi ha esaminato la mia domanda di pensione.

Naturalmente, non c’è stato nessuno che si sia assunto la responsabilità di qualificarsi di persona per rispondere delle sue affermazioni. Eppure INPS è un Ente pubblico, sovvenzionato con le tasse pagate dai Lavoratori, e dovrebbe essere all’altezza del suo compito verso i cittadini.

Mi è stato persino proposto di attendere qualche mese in più, e di presentare domanda di pensione con “Quota 100”. A parte il fatto che non intendo avvalermene (per le limitazioni che “quota 100” comporta) trovo offensivo che mi si proponga di rinviare il godimento di un mio diritto solo a causa dell’incapacità altrui.

Non vedo a questo punto altra strada che quella dell’azione legale: altro tempo, altri soldi, altra rabbia. Il tutto per l’incompetenza di qualcuno (c’è sempre una persona che decide, anche negli ingranaggi più complessi), qualcuno che comunque non verrà mai chiamato a rispondere dei suoi errori.

Grazie per lo spazio e la disponibilità.

Esasperato e impotente
Angelo Colombo

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