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“Così ridò il sorriso a mio fratello che non parla”: l’invenzione dell’ingegnere di Brusaporto

Il progetto di Lorenzo Caggioni, 39 anni, permette a chi è affetto da disabilità verbali di accedere all'assistente vocale di Google senza usare la voce

Una bella storia di umanità che arriva dalla nostra provincia. È quella raccontata dalla giornalista Martina Pennisi sulle pagine del Corriere della Sera, e che vede protagonista l’ingegnere di Google Lorenzo Caggioni, 39 anni, residente a Brusaporto. Il suo ultimo progetto si chiama Diva (acronimo di DIVersely Assisted) e permette a chi è affetto da disabilità verbali di accedere all’assistente vocale di Google senza usare la voce. L’idea è nata dalla volontà di costruire un dispositivo che permettesse al fratello minore Giovanni – affetto da disabilità che gli impediscono di parlare – di poter ascoltare musica con maggiore autonomia sfruttando l’assistente virtuale. La soluzione è un pulsante collegato a una “scatola”, che ha il compito di convertire il segnale del pulsante in un comando da inviare all’assistente.

«Non è sempre facile capire cosa stia provando Giovanni». Lorenzo Caggioni si interrompe quasi subito. Riflette, in un silenzio carico di emozione, e riprende: «Sono dettagli difficili da interpretare, ma quando sorride comprendi che è felice perché sta passando del tempo con noi. Quando ha gli strumenti giusti per interagire con il mondo, ecco, in quei momenti è sorprendente».
Caggioni, classe 1980, laureato in Fisica, vive e lavora a Milano, in Google, e si occupa dei clienti che implementano le loro soluzioni sul cloud. Ci risponde dalla California, dove ha appena presentato il suo progetto nato per aiutare il fratello minore a usare le tecnologie di assistenza vocale. Il contesto era la conferenza degli sviluppatori di BigG: «Sundar Pichai (l’ad, ndr) si è complimentato con noi. Ha capito che siamo italiani e ci ha fatto una battuta sul momento difficile della Juventus, uscita dalla Champions come il Real Madrid, di cui è tifoso», ricorda divertito.

Il fratello, Giovanni, ha 21 anni, è biondo con lo stesso taglio di capelli di Lorenzo. È cieco, ha la sindrome di Down e non è in grado di parlare. «Ma è tanto bravo, va pazzo per la musica pop, soprattutto Max Pezzali», racconta Caggioni, che due anni fa si è messo a lavorare con i suoi colleghi al progetto Diva. Si tratta, in sostanza, di un pulsante collegato a un chip programmabile in grado di trasferire il comando all’assistente di Google. Se premi il pulsante, posizionato su una graziosa scatoletta, l’assistente agisce, come se stesse rispondendo a un’interrogazione vocale o testuale, e fa partire canzoni o altro.

Caggioni spiega perché può essere importante partendo dal suo obiettivo principale: «Aiutare mio fratello a essere autonomo, ma soprattutto a compiere i nostri stessi gesti». Ecco perché non era soddisfatto della prima rudimentale scatola di cartone con una cassa integrata: «Era un buon primo passo, ma lo rendeva autonomo senza essere del tutto inclusivo. Noi non ascoltiamo musica in quel modo».

Ci stiamo invece abituando a usare lo streaming e i vari Assistente Google, Alexa o Siri. Secondo la società di ricerche di mercato Idc, i dispositivi da salotto che poi diffondono i contenuti audio o video — come Home, appunto — sono entrati in 16 milioni di case europee nel 2018 e ne conquisteranno 48 milioni nel 2023, con tutti i nodi a sciogliere sulla privacy derivanti dall’ascolto costante delle nostre voci. Preoccupazioni e previsioni a parte, questi cubotti hanno il pregio di ridurre all’osso la fase in cui si impartisce il comando. «Spesso non ci rendiamo conto di quanti passaggi comporti accendere la tv, selezionare il servizio streaming, un film o una serie tv», spiega Caggioni, ricordando commosso il giorno in cui ha visto il fratello tornare da scuola, abbandonare le scarpe in mezzo alla stanza, sdraiarsi sul divano e far partire Alla ricerca di Nemo con un «telecomando» non così diverso da quello tradizionale. Diva. Ai genitori l’onere di programmarlo («è semplice, anche loro devono essere autonomi») per innescare la funzione desiderata.

Il prossimo passo, non ancora pronto per il commercio, è quello di integrare dei tag Rfid (piccole etichette elettroniche) da applicare a diversi oggetti che fungano da pulsante. Un peluche di Nemo, da toccare per far cominciare l’omonima pellicola, ad esempio. Il sogno di Caggioni è di «permettere a Giovanni di fare ancora più cose in casa, come aprire le tapparelle». Intanto ha già reso felice la mamma: «Mi ha detto: allora fai davvero qualcosa di utile durante il giorno». Diva, effettivamente, è più facile da spiegare del cloud.

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