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Festival orlando

Più attenzione e desiderio di comprensione: una rinnovata concezione del tempo necessaria all’incontro con l’altro

Giovedì 9 maggio al Festival ORLANDO le performance “As Far As My Fingertips Take Me” e “And Everything is Porous as a Bodily Crack” hanno catturato il pubblico grazie alla potenza di messa in scena e messaggio

Bergamo. Tempo che si dilata e che sfugge, tempo necessario per svolgere le azioni della quotidianità, tempo da prendersi per vivere e per riflettere, tempo da rendere fecondo nella comprensione dell’altro. Una rinnovata concezione del tempo che è stata protagonista al Festival ORLANDO nella giornata di giovedì 9 maggio, in particolare con due performance molto distanti nell’ideazione e nello sviluppo, ma che, paradossalmente, portano ad una riflessione comune, sempre all’interno dell’incontro tra le diverse realtà culturali della città.

Non lascia indifferenti nella sua potente semplicità “As Far As My Fingertips Take Me”, performance di Tania El Khoury con Basel Zaraa proposta da mercoledì 8 a domenica 12 maggio (e già sold out) alla Polveriera Superiore di San Marco.

Durante la performance, in collaborazione con IFF Integrazione Film Festival, il singolo spettatore ammesso è invitato ad inserire il braccio sinistro all’interno di un foro di una parete divisoria e ad indossare un paio di cuffie. Dall’altro lato, l’artista e musicista Basel Zaraa, nato rifugiato palestinese nel campo di Yarmouk in Siria, si presenta (“sono io, ti sto toccando il braccio”), invisibile, prima di iniziare una sorta di connessione con l’ospite. Il braccio diventa allora una tela nelle mani di Basel Zaraa, mentre, nel frattempo, da suoni d’ambiente si passa a sentire il racconto doloroso del viaggio compiuto dalle sorelle dell’artista da Damasco alla Svezia.

Il tocco, sempre gentile, sviluppa la connessione con l’artista, mentre il senso del tatto, inevitabilmente all’erta, ha una scossa metaforica quando i polpastrelli vengono immersi nell’inchiostro: chiaro riferimento all’utilizzo dei dati personali dalle autorità per un controllo della mobilità. La gentilezza del tocco si accompagna alla potenza della narrazione, attraverso il canto ed il rap di Zaraa.

“La barca è affondata nelle mie lacrime e nel mio pianto / E la roccia si è sciolta per il mio dolore ed il mio pianto / Credi che ritornerai mentre sono ancora vivo / E che il nostro sole sorgerà dopo la sua assenza”. L’artista disegna sul braccio dello spettatore una storia di migrazione e di discriminazione: “attraversare il confine significa lasciarsi alle spalle una morte certa al 75%. Non per i bombardamenti a tappeto, i barili bomba, o persino le frustrate. Entri, e come chiunque altro, annuisci. Ad ogni rifiuto. Dì quello che ti pare, ma tutto questo non ti costerà più di mille dollari. Non chiedermi perché o per cosa / Metà per corrompere l’esercito e la polizia in Turchia / E il resto per sopravvivere”.

Il tempo si dilata, attraverso la narrazione e la connessione che avviene, paradossalmente, attraverso un muro, una frontiera metaforica sulla quale è necessario riflettere. Si esce poi dalla performance con un disegno sul braccio, una carovana di persone che tentano la traversata nel deserto e, sulla mano, una barca che significa sopravvivenza o morte. Un viaggio che porta “lontano fino a dove portano i polpastrelli”, un viaggio verso il quale è impossibile non empatizzare. Quindici minuti di tempo che si dilatano nel racconto di una storia che inevitabilmente porta con sé più di una riflessione. Tempo e spazio a sé stanti, mentre al di fuori la vita continua.

Da affrontare con un braccio che racconta di un’empatia necessaria, da ritrovare in un mondo solitario e perennemente di corsa, dove capire, ancora una volta, l’importanza delle singole vite e della relazione con l’altro, che passa anche dalla pratica non semplice dell’immedesimazione.

Tempo dilatato, perfino cancellato, è quello all’interno della performance “And Everything is Porous as a Bodily Crack” (E tutto è poroso come una crepa del corpo) di e con Alice Giuliani e Camilla Strandhagen, presentato alla Sala dell’Orologio di Palazzo della Libertà, all’interno della rassegna ON Onde Nuove a cura di 23/C ART, con la collaborazione di Festival ORLANDO.

Il pubblico incontra le due performer sulla scena, che lo invitano ad entrare in un mondo di “creature invisibili all’occhio altrui”, personificazione della malattia cronica, descritta attraverso una narrazione fantascientifica capace di amalgamare in maniera efficace testo e movimento. In un mondo dove il tempo è cancellato, prende il predominio la forza di gravità, mentre le due performer, ad altezza suolo, si muovono sopra ed attraverso un ampio telo, metafora di un’epidermide danneggiata dalla quale si può iniziare il viaggio fantastico e metaforico verso Spoonieland, la terra degli Spoonie che riprende la “Teoria del Cucchiaio” di Christine Miserandino, secondo la quale l’energia può essere misurata attraverso “cucchiai” che, per chi è affetto da malattia cronica, devono essere necessariamente dosati (“spoon after spoon”) durante la giornata.

I movimenti delle due performer, con costumi che rimandano ad un’ambientazione fantascientifica, sono misurati, la frase “le mie gambe stanno bruciando”, in loop, avvolge la stanza. Il racconto continua attraverso un registro scientifico, con parole e definizioni che si rendono presenti anche proiettate su di un telo sullo sfondo. Finzione e scienza creano un immediato contatto con il pubblico, mentre la voce di Antonella Fittipaldi le interroga e le sprona.

“Invece di piegarci alle regole della normatività e della salubrità obbligatoria creiamo unicità e sporcizia, disabilità e malattia”, così si presenta l’Anticorpo, l’agente responsabile della malattia. Un agente invisibile e silenzioso, impossibile a volte da riconoscere, ma che è necessario affrontare. Una lotta solitaria che può essere portata avanti anche con l’aiuto dell’altro, anche se spesso il giudizio altrui non rende conto di ciò che è invisibile, ma presente (“siete troppo emotive”). Invisibilità che si è resa visibile, grazie alla performance di Alice Giuliani e Camilla Strandhagen, un messaggio capace di catturare il pubblico e di renderlo partecipe, in grado di accogliere un messaggio troppo spesso ignorato.

Un messaggio che, cancellato il tempo come lo conosciamo, si ripropone attraverso il criptime: tempo necessario ad una persona con disabilità, un tempo da dilatare e da misurare con attenzione che aiuta anche in direzione di una riflessione comune. È necessaria una differente modalità di concepire ed utilizzare il tempo, da utilizzare per una capacità rinnovata di relazionarsi con l’altro, prima di tutto attraverso una maggiore attenzione e desiderio di comprensione.

Una missione che Festival ORLANDO, Festival Danza Estate ed Integrazione Film Festival stanno portando avanti anche grazie all’impegno ed alla qualità delle proposte.

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