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Festival orlando

Affrontare con la danza la malattia cronica e l’ossessione per il corpo sano a tutti i costi

Giovedì 9 maggio nella rassegna ON Onde Nuove viene proposta la performance “And Everything is Porous as a Bodily Crack” ("E tutto è poroso come una crepa del corpo") di Alice Giuliani e Camilla Strandhagen

Bergamo. La raffigurazione di “ciò che è così difficile da spiegare”, un viaggio tra galassie che esplora l’intimità, un incontro di corpi spoonie che si prendono cura vicendevolmente della stanchezza e del dolore cronico. Una personificazione della malattia cronica autoimmune, che si presenta all’interno di una superficie orizzontale danneggiata in cui si manifestano anticorpi e forme aliene dello stesso corpo. Superficie che è scenografia necessaria di “And everything is porous as a bodily crack” (“E tutto è poroso come una crepa del corpo”), performance di Alice Giuliani e Camilla Strandhagen che va in scena giovedì 9 maggio (ore 20.30) alla Sala dell’Orologio in Piazza della Libertà, ultimo appuntamento della rassegna ON Onde Nuove a cura di 23/C ART, con il sostegno del Ministero della Cultura e di SIAE, nell’ambito del programma Per Chi Crea, con la collaborazione di Festival ORLANDO.

Le due performer portano nella danza la personificazione di anticorpi che si ribellano all’ossessione per “il corpo sano a tutti i costi”, in un percorso artistico che trae origine proprio dal confronto con le malattie croniche. “Avendo entrambe un background di movimento e danza, all’inizio la forma dello spettacolo ci ha un po’ sorpreso, perché è molto dialogato – spiega Alice Giuliani – siamo passate dalla teoria alla pratica proprio attraverso il dialogo”. Conversazioni nate a partire da un’amicizia che hanno virato spesso nella biunivoca conoscenza delle reciproche malattie croniche: “Un lavoro partito dai disability studies per continuare poi con pratiche somatiche, anche di percezione del corpo dell’altro, da conversazioni che sono diventate una sorta di script teatrale tra realtà e finzione”.

Uno script teatrale nato dalle inziali difficoltà che si sono presentate proprio durante la lavorazione: “all’inizio, io ho avuto un peggioramento della mia condizione fisica, tant’è che non riuscivo a stare troppo in piedi, a fare grandi sforzi fisici – spiega Giuliani – , per questo abbiamo deciso di lavorare ad altezza suolo (uno degli elementi più specifici della performance). Da quel punto di vista, abbiamo iniziato ad incuriosirci a tutto quello che risiede al di sotto”.

In questo senso, la scenografia è un elemento fondamentale: “un tendaggio con piccoli tagli, cicatrici, diventa metafora di un’epidermide danneggiata, ma con un mondo sotterraneo, come fosse una prima pelle dalla quale accedere ad un universo più fantasioso, dal quale estraiamo degli oggetti, nel quale cadiamo e sprofondiamo. Da lì entriamo in contatto con creature giocose e fantasiose, che ci hanno aiutato ad abbracciare anche i momenti difficili della malattia, alternati a sprazzi di energia. Un elemento che si rifà alla teoria del criptime, ad indicare una temporalità non lineare della malattia nei corpi malati o con disabilità, in cui la gestione del tempo a volte è un po’ assurda o imprevedibile, da momenti profondi a guizzi di energia. La performance ci porta in questo mondo fantastico che chiamiamo Spoonieland, una terra degli Spoonie, in cui cerchiamo di creare dei parametri personali, anche come danzatrici, per imparare a stare bene con i nostri corpi e accettare la loro condizione, senza dover sempre adattarsi o nascondersi”.

 

Alice Giuliani Camilla Strandhagen

 

Corpi che, all’interno della Spoonieland, si trasformano e trovano nuova espressione, anticorpi ribelli verso il concetto di “corpo sano a tutti i costi”, che si curano e si supportano vicendevolmente. Un lavoro che si interroga a partire proprio da alcuni scritti nel campo dei disabilities studies, come, ad esempio, quello relativo alla Spoon Theory (“Teoria del Cucchiaio”) di Christine Miserandino, scrittrice che affronta nei suoi studi i diritti delle persone con disabilità e malattia cronica. “Una teoria che nasce dal tentativo di spiegare cosa significhi essere affetti da malattia cronica. Ogni persona ha una quantità definita di cucchiai di energia mentale o fisica nel corpo, che vengono utilizzati nel corso della giornata. Una quantità che, per una persona con malattia cronica, deve essere costantemente misurata e dosata. Un’attenzione verso la propria energia che si traduce nello spettacolo, ad esempio, con la performance a terra e con il rifugiarsi reciproco in zone di comfort”. In questo, risiede l’identificazione delle performer come Spoonie e il desiderio di comunicazione con il pubblico, nel quale possono risiedere, a loro volta, degli Spoonie.

Un elemento invisibile al quale Alice Giuliani e Camilla Strandhagen (con l’aiuto della figura-tramite Antonella Fittipaldi) cercano di dare forma compiuta, corpi che possono modificarsi e prendere conformazioni nuove, fino a dare forma ad un anticorpo che si tramuta nella malattia stessa. Anticorpi che, infatti, nelle malattie autoimmuni, riconoscono l’organismo stesso come corpo estraneo e lo attaccano. Un anticorpo che, sulla scena, si riposa, torna a farsi partecipe, si nasconde e prende nuove sembianze. In questo stato di perenne trasformazione, è allora necessario fidarsi ed affidarsi all’altro, in una continua tensione verso l’esterno che diventa relazione nuova, attraverso la porosità di un corpo che, pur nelle crepe, riesce a decifrare e riconoscere l’altro e, quindi, sé stesso.

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