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La pellicola

“Tatami”, la lotta sportiva come azione politica contro ogni regime

Durante i campionati mondiali di judo, l’iraniana Leila riceve un ultimatum da parte della Repubblica islamica che intima all’atleta di fingere un infortunio per evitare di incontrare l’atleta israeliana. Vedendo minacciata la propria libertà e quella della sua famiglia, Leila si trova ad affrontare una scelta impossibile

Titolo: Tatami – Una donna in lotta per la libertà

Titolo originale: Tatami

Regia: Guy Nattiv, Zar Amir

Paese di produzione/ anno/durata: Iran / 2023 / 105 min.

Sceneggiatura: Guy Nattiv, Elham Erfani

Fotografia: Todd Martin

Montaggio: Yuval Orr

Musica: Dascha Dauenhauer, Ronen Nagel

Cast: Arienne Mandi, Zar Amir, Jaime Ray Newman, Nadine Marshall, Lir Katz, Ash Goldeh, Valeriu Andriuta, Mehdi Bajestani, Farima Habashizadehasl

Produzione: Keshet Studios

Distribuzione: BIM

Programmazione: Conca Verde Bergamo, UCI Cinemas Orio, Treviglio Anteo spazioCinema

Con il termine tatami vengono indicate le stuoie di paglia di riso che in Giappone si usano a copertura del pavimento, di dimensioni obbligate, in modo che il numero di esse serva, in pratica, ad indicare la grandezza di una stanza. In particolare, il termine indica la stuoia sulla quale si disputano gli incontri di judo. Unità di misura e luogo di confronto, spazio confinato ed opportunità di rivalsa, scena ideale per “Tatami – Una donna in lotta per la libertà”, film diretto da Guy Nattiv e Zar Amir, al cinema dal 4 aprile.

Il sottotitolo italiano è abbastanza esplicativo della trama del film, prima co-regia tra Israele ed Iran, che vede collaborare l’israeliano Guy Nattiv e l’iraniana Zar Amir, conosciuta per la sua interpretazione in “Holy Spider”, che nel film veste anche i panni dell’allenatrice Maryam Ghanbari. Protagonista è la combattiva e tenace Leila Hosseini (interpretata da Arienne Mandi), campionessa iraniana di judo che, allenata da Maryam, disputa i Mondiali femminili di judo a Tbilisi (Georgia). Dopo una serie di vittorie nei primi incontri, le due donne si troveranno a far fronte a diverse ingerenze esterne, quando dalla federazione nazionale (comandata dalla Repubblica Islamica dell’Iran), obbligano Leila a fingere un infortunio e quindi a ritirarsi, per evitare un confronto con la forte atleta israeliana Shani Lavi (interpretata da Lir Katz). Un obbligo che fonde sport e politica, dove un confronto con un’atleta di una “nazione occupante” può portare ad un’accusa di tradimento dello Stato, ma anche a ripercussioni sulla propria famiglia.

Tra dramma sportivo e thriller politico, il film mostra Leila schiacciata dalle avversarie sul tatami ed allo stesso tempo messa spalle al muro da un regime che la vuole perdente e che non si fa scrupoli nel minacciare la famiglia della donna, sia i genitori che il marito Nader (Ash Goldeh) con il figlio Amir.

Famiglia che segue i combattimenti di Leila da casa, da quel televisore che rende da subito le claustrofobiche scene del film. Nello spazio di confine tra Europa e Medio Oriente, il palazzo dello sport di Tbilisi è il teatro di uno scontro sportivo e politico, con la macchina da presa, posizionata spesso ad altezza tatami, che sottolinea la corporeità data dalle prese fisiche del judo, tecniche di sopraffazione a difficoltà crescenti che diventano, ad un diverso livello di lettura, una sorta di giogo allegorico applicato da chi, con sempre più insistenza, cerca di far desistere Leila nel vincere gli incontri. Il corpo di Arienne Mandi è simbolo di determinazione ed ambizione, schiacciato metaforicamente da una federazione che non vuole un confronto con Israele (e che vuole evitare anche il riconoscimento di un’affermazione femminile). Carrellate strette e laterali sul pullman delle atlete, dialoghi e corse tra le stanze del palazzetto, particolari nelle mosse sul tatami, la corsa contro il tempo nel rientrare nel peso di categoria: la regia di Nattiv e Zar Amir sottolinea in maniera efficace l’oppressione che lo stato iraniano esercita sulle donne. Il tutto girato con un bianco e nero crudo ed essenziale, che enfatizza il contrasto e l’intensità dei toni, capaci di modificare spazio e tempo per fare della pellicola una chiara ed efficace metafora politica. Il formato 4:3 utilizzato si configura con lo spazio delimitato del tatami, uno spazio confinato di resistenza e lotta psicologica che rende apparentemente senza scopo il montaggio rapido di Yuval Orr, che intervalla carrellate e visuali dall’alto, grandangoli e panoramiche, primissimi piani e zoom. Un dinamismo che, in realtà, sottolinea la minaccia continua senza cedere al patetismo, con il versante sentimentale dimensionato dal bianco e nero, che amplifica allo stesso tempo il messaggio.

Nei corridoi labirintici del palazzetto, dove il regime sembra avere più di un orecchio, le donne della federazione internazionale saranno salvezza per Leila. Una salvezza che viene prima di tutto dalla determinazione, dalla tenacia dei gesti, come il sangue deliberatamente versato o i capelli liberati dalla stretta dell’hijab. Scene d’impatto, che usano il didascalismo per farne urgenza comunicativa, messaggio di due donne registe, che sul Tatami fanno confrontare due nazioni antitetiche come Israele ed Iran. Un messaggio di tenacia sportiva, ma anche di lealtà sul campo, necessario per mostrare un confronto che deve rimanere, prima di tutto, dialogo. Un dialogo di corpi e gesti, nelle strette sul tatami così come dietro la macchina da presa. “Riteniamo che l’arte sia la voce del discernimento che si fa strada in mezzo al chiasso – spiegano le registe – . La storia che abbiamo deciso di raccontare in questo film è la storia di troppi artisti ed atleti costretti a rinunciare ai propri sogni e, in alcuni casi, obbligati a lasciare i propri paesi e i propri cari a causa del conflitto tra sistemi e governi. Speriamo di aver fatto un film che mostri al mondo che l’umanità e la fratellanza vincono sempre”.

Una vittoria che, anche sul tatami, vale più di “maitta”.

 

FILM CINEMA PIXABAY
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