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La riflessione

Venerdì Santo, “le parti più vere di noi nascono dal pianto”

Esplorando la profondità dell'amore attraverso il dolore e la consapevolezza: una riflessione sulla croce, il tradimento e la speranza

“Quando non si ha più niente da dare perché si è dato tutto, allora si diventa capaci di veri doni” diceva don Primo Mazzolari. Lascio che queste parole siano la porta d’ingresso a quel silenzioso discorso del Crocifisso che pende dalla Croce e che è più eloquente di ogni parola. Sento che in quell’immagine oscura che è la passione di Gesù si giocano le storie della vita di ciascuno di noi: paure, rifiuti, tradimenti,  rinnegamenti di chi si fidava di noi e quindi di noi stessi, spergiuro della propria dignità.

Leggo le parole di questo Passio e ne colgo passaggi della mia povera umanità, e le storie di poveri uomini incapaci di vincere il male che hanno dentro e che poi restano schiacciati sotto il peso della propria fragilità. Mi tornano alla mente le storie delle persone che vengono da me a raccontare le loro storie di amici, di compagni di vita, di sposi e spose che al contempo amano e tradiscono, storie di chi pensava di credere davvero in certi valori in certi principi e valori e si è ritrovato a far male, si è ritrovato ad essere diventato quello che mai avrebbe voluto essere.
Penso a me e a tutti coloro che vedono nella loro vita quello che accade quando si permette che il buio entri nella nostra esistenza.

Forse anche noi a volte siamo capaci di qualche consapevolezza e guardando alla nostra pochezza che incrocia il grande sguardo di Dio che non rinnega chi lo ha rinnegato, che ci chiama amici anche nel bacio del tradimento, sentiamo salire dallo stomaco e fino agli occhi il pianto che lava il nostro cuore malato della solitudine che si è creata attorno. A volte invece anche davanti a chi “ama sino alla fine”, restiamo tristemente “induriti sino alla fine” anche nei confronti di noi stessi e del nostro male senza poter vedere un perdono possibile, una porta di luce che non si chiude mai.

Non so, mi pare ci sia bisogno di comprendere dolorosamente sulla pelle delle nostre miserie il valore della misericordia. Eh si è proprio così: quello che rende possibile che siamo ancora uomini e fratelli, compagni di viaggio dell’umanità vicina e lontana, in questo mondo spaccato in mille pezzi, non è il giudizio inappellabile e tantomeno il segnare puntigliosamente i confini del bene e del male, ma la consapevolezza del proprio limite e soprattutto quella di chi si lascia vincere da gesti di misericordia, di chi pone segni di bene, da chi non diventa malvagio davanti al male.
Quello che ci salva dalla disumanità che abbiamo lasciato silentemente crescere in noi, è lasciarsi risvegliare dal canto del gallo e accettare di lavare col pianto la macchia della propria meschinità e le bruttezze di cui siamo capaci, dell’ingiustizia che esplode nel mondo a causa delle nostre inerzie, dei nostri silenzi, del nostro non volerci compromettere facendoci gli affari nostri.

Ogni anno cerco di trovare il coraggio di mettermi allo specchio della croce per ridirmi con onestà che anche io sono uno dei Dodici,  anche io chiamato e scelto da Gesù, anche io mandato dal maestro per annunciare la buona notizia del Regno, anche io mandato a guarire, a scacciare i demoni. Anche io discepolo e falso amico che se ne va proprio quando più ci sarebbe bisogno di restare, quando sarebbe il momento di metterci la faccia e la vita.

Bisogna proprio stare molto attenti, perché la grande tentazione si affaccia nella notte più buia che non è quella del male che sentiamo quando qualcuno ci tradisce e se ne va, ma di quando siamo noi quelli che tradiscono e abbandonano. La tentazione che fa sì che non sia più Dio a guidare il cammino nella notte, che non sia più lui il Signore e maestro che chiama e manda, ma che sia altro ed altri coloro che ci fanno muovere passi tenebrosi.

Mi tornano le parole del maestro snocciolate di domenica in domenica: libertà, fiducia, essenzialità, “andate e non portate ne bastone ne bisaccia”. Come cambiano velocemente le cose a volte; con quanta facilità si ribalta la situazione di una vita e ci si ritrova dall’essere discepoli a essere coloro che nella notte e nella malafede camminano in compagnia di una folla armata di spade e bastoni. Mandati da Gesù come agnelli in mezzo ai lupi ci si ritrova poi dalla parte dei lupi, dalla parte di chi attacca, colpisce, ferisce, uccide.

Come può cambiare velocemente una vita. Non so… Chiedo a Dio, in questo giorno di passione che è morire d’amore, che anche per me, per ciascuno di noi ci sia un gallo che canta, e che quel canto abbia per ciascuno di noi il suono di una liberazione per quando ci si trova sempre più lontani da noi stessi.

Desidero il canto del gallo che è in grado di farci comprendere chi siamo noi e chi è il nostro Signore, che ci faccia scoprire che a volte non siamo quello che credevamo di essere, che smascheri quelle paure che hanno la meglio su di noi tanto da portarci a mentire, a noi stessi anzitutto e poi agli altri. Forse anche noi oggi dobbiamo scoprire che le parole più vere, che le parti più vere di noi, nascono dal pianto, non quello di chi ha la lacrima facile, ma quello di chi scopre di avere il cuore ferito per aver sbagliato; di chi si accorge che anche un bacio che sa di tenerezza, amore, desiderio di intimità, può trasformarsi in desiderio di possesso e di dominio, può essere la bestemmia del tradimento. Sento che se non passo attraverso questa consapevolezza dolorosa rimango ai margini della profondità dell’amore.

Se è vero che per capire il come e quanto sono amato devo guardare a quanto l’altro ha sofferto per me, credo sia altrettanto vero che è necessario diventare consapevoli di quanto io possa aver fatto soffrire e forse così sarò e saremo capaci come Gesù di farci compagni di tutti coloro che soffrono, soprattutto di chi soffre il silenzio di Dio. Compagno di chi avverte la sconfitta, il fallimento, il buio, la notte in cui non sembra scorgersi alcuna luce. Si apra la nostra esistenza e toccata da tanta passione e tenerezza possa pronunciare con verità: “Ricordati di me, Signore, nel tuo regno. Ricordati di me, ricordati di noi”.

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