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Il festival

Il cinema dei sogni (o degli incubi) di Buñuel apre Bergamo Film Meeting e strega Sant’Agostino

La gremita Aula Magna dell’università è stata teatro dell’inaugurazione dell'evento. Interessante, ma non del tutto riuscita, la sovrapposizione musicale del chitarrista Gary Lucas

Bergamo. La gremita Aula Magna dell’Università, ovvero la suggestiva chiesa sconsacrata di Sant’Agostino, è stata teatro dell’inaugurazione del Bergamo Film Meeting, giunto alla 42esima edizione.

Uno spettacolo impegnativo, che marca la consueta caratura intellettuale del festival, in cui l’affascinante cult movie L’angelo sterminatore (El ángel exterminador) del regista Luìs Bunuel è stato accompagnato dal vivo dalla musica di Gary Lucas.

Il chitarrista di Syracuse, N.Y.– collaboratore di artisti icone del rock come John Cale, Lou Reed, Iggy Pop e Patti Smith – non è nuovo a questo genere di esercizio di sonorizzazione cinematografica, che stavolta non ci è sembrato completamente riuscito.

Le sue note – che mescolano sapientemente jazz, blues, musica classica e d’avanguardia – hanno contribuito senz’altro a sottolineare il tratto onirico della situazione surreale descritta dal maestro spagnolo in un film capolavoro che precipita tutti, interpreti e spettatori, in un clima claustrofobico e da incubo, ma d’altro canto hanno ridotto la pellicola quasi a film muto, privilegiandone l’aspetto visivo sulla sceneggiatura.

Sebbene questa diminutio dello scambio verbale abbia avuto il pregio di aumentare l’eloquenza delle composizioni d’insieme create dal regista – a tratti veri e propri tableaux vivants che rappresentano una civiltà in decadenza – ci è rimasta la sensazione di una sovrapposizione musicale invasiva, soprattutto per chi non avesse già visto il capolavoro di Bunuel. Consideriamolo un interessante esperimento.

Veniamo al film. Nel 1962, sei anni prima di quel maggio francese e di quelle rivolte sociali spontanee che segnarono l‘inizio dello scardinamento dei valori borghesi, il maestro Bunuel, censurato in patria dal regime franchista torna in Messico per realizzare – regista e co-sceneggiatore – un dissacrante manifesto antiborghese, “L’angelo sterminatore”.

Fin dall’inizio la pellicola segnala il presagio di un imminente deragliamento nell’ordine naturale delle cose sia attraverso la ripetizione pari pari di alcune sequenze, sia attraverso la fuga pretestuosa e precipitosa dei domestici dalla villa teatro della vicenda narrata.

 

L'angelo sterminatore
Un'immagine tratta dal film 'L'angelo sterminatore' del 1962

 

Quest’ultima è presto riassunta: un gruppo di persone alto-borghesi, invitate a una lussuosa cena in casa privata dopo teatro, si ritrovano inspiegabilmente impossibilitate, incapaci si può ben dire, di varcare la soglia del salotto per andarsene a fine serata. Perciò vi si accampano, e col passare delle ore quella che poteva essere stata pigra indolenza si rivela una condizione di vera inazione che li riduce in trappola.

Al diminuire del cibo e dell’acqua, aumentano stanchezza, disagio e ansia, diminuiscono i freni inibitori e affiorano istinti di violenza e sopraffazione, debolezze, bisogni corporali e pulsioni sessuali.

La tensione tra chi per sopravvivere fa appello a regole di civiltà e igiene e chi fa prevalere aggressività e irruenza primordiali è evidente, mentre tutto intorno decade: i mobili per accendere un fuoco di uno spiedo improvvisato, i muri picconati per accedere alle tubature dell’acqua, i corpi di chi si ammala, di chi muore…

All’esterno della villa regna la stessa inazione che all’interno: tutti ne parlano, si assiepano al cancello, si interrogano sulla sorte di chi è intrappolato all’interno, nessuno ne varca la soglia, persino un bimbo – scelto forse perché privo di pregiudizi e quindi incapace di incertezze – si ferma dopo pochi passi.

Bunuel rappresenta con grande efficacia quella che è stata definita a buon diritto “una graffiante commedia grottesca fra humor nero e critica sociale”, facendo appello anche a elementi simbolici e psicanalitici – si pensi all’orso e alle pecore che “abitano” la cucina della villa fin dalle prime scene quasi addomesticati (o in cattività…), e poi si ritrovano a vagare indisturbati e inquietanti nella magione – che potrebbero significare elementi di sopraffazione sociale presenti nel “corpo” della borghesia, tenuti a bada finché deflagrano, oppure pulsioni di aggressività e di sacrificio che convivono.

Innegabile anche il richiamo del regista alla religione – elemento opprimente nella Spagna franchista – sia nel titolo che fa riferimento all’angelo sterminatore biblico – solitamente incaricato di dare esecuzione a una punizione divina – sia nell’inquadratura iniziale dell’esterno della cattedrale, sia nella sequenza finale in cui il gruppo protagonista, finalmente libero e fuoriuscito dalla villa (non vogliamo spoilerare come…), si ritrova per un Te Deum di ringraziamento in chiesa. Ma al termine della funzione si ripropone per tutti i presenti la condizione di incapacità ad agire e quindi a lasciare la chiesa!

La serata in Sant’Agostino si è conclusa forse per molti col pensiero fugace “E se anche noi fossimo incapaci di rientrare a casa e rimanessimo bloccati qui? Se anche noi fossimo incapaci di un vero moto collettivo responsabile e ci trascinassimo in stanchi rituali che finiscono per paralizzarci?”, le notizie sono due a questo punto: la prima è che tutti sono riusciti tornare a casa, la seconda che questo pensiero dimostra l’efficacia e la grandezza dell’arte di Bunuel.

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