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Il reportage

È ancora viva quell’anima dell’India tanto amata da Gandhi? fotogallery

Quarant'anni fa il grande fotografo Gianni Berengo Gardin la cercava nel suo libro “L’India dei Villaggi”. Oggi il fotoreporter Lorenzo Zelaschi prosegue il suo cammino

“L’India dei Villaggi” di Berengo è l’ago della bussola che guida da lontano queste mie giornate indiane, mentre Rahul – divenuto ormai un amico – è il mio pilota in carne e ossa. Mi muovo insieme a lui nella città di Indore e nei villaggi sul suo motorino, oppure da solo in tuk tuk o a piedi fino a sconfinare fuori dall’abitato dove la natura, non più compressa dal cemento, giganteggia. Intanto arrivano immagini e sensazioni che mi catturano e mi fermo a fotografare. E arrivano anche i pensieri.

Mi allontano dal caos delle vie di Indore e, nell’entrare in hotel, rifletto: non a caso proprio qui, nel brulicare incessante di ogni forma vivente, in queste terre d’Oriente sono nate le più antiche pratiche meditative, indispensabili per regalare una sosta alla mente. I numerosi templi, ancora piuttosto frequentati, sono luoghi di quieto intervallo nello scorrere della giornata che mai si arresta.

Da quello che vedo e sento, nonostante il progresso tecnologico la spiritualità è ancora molto viva e pervade tutta la loro esistenza. Appare come un motore trainante su vari livelli. È intrecciata strettamente alla natura, e lo si può osservare nel concreto dei loro templi che spesso – piccoli o grandi che siano – sono eretti attorno o vicino ad alberi secolari.

Se, seguendo un antica scienza – per chi la conoscesse, mi riferisco alla sapienza dell’Enneagramma – , individuiamo energie differenti nelle personalità umane, ad un livello più ampio le possiamo vedere nelle varie zone della terra. Generalizzando, a differenza della cultura occidentale più mentale e di quella sudamericana e africana più legate alla terra e all’emotività, quella asiatica – e l’India in particolare – si caratterizza per essere più evanescente, aerea, spirituale, meno legata al mondo della materia. E questo lo si vede bene dal fatto che il mondo materiale in cui vivono è piuttosto caotico, poco organizzato.

Già pochi giorni dopo essere tornato qui, all’inizio di questo viaggio, ho pensato: è proprio vero, la chiamano Madre India forse per tanti motivi, ma ha un’energia, un’atmosfera che è davvero materna. Decisamente rispetto alle culture occidentali ma anche per esempio a luoghi come la Giordania – che ha un’energia molto più maschile – e in India invece c’è questa dolcezza, quest’accoglienza, la capacità di abbracciare le diversità. E, infatti non a caso il grande continente indiano racchiude in sé notevoli differenze religiose e culturali. Questo è uno dei suoi aspetti più belli, cioè che ti sorridono tutti e sono molto aperti, raramente incontri muri o atteggiamenti aggressivi. Di fronte alle difficoltà si sostengono tra loro, e si comportano in modo simile con lo straniero. Sempre rifacendosi alla teoria dell’Enneagramma, qui le persone hanno molto sviluppata la caratteristica del “mediatore”, e a me pare di notarlo nei loro atteggiamenti, che raramente cercano il conflitto.

Il rovescio di tale personalità è il ritrovarsi in una situazione scomoda, o addirittura nell’estrema povertà e malattia, senza avere la capacità di reagire ma continuando a sopportare invece. Se chi vive in tale sofferenza avesse la capacità di reagire, utilizzando la propria rabbia in modo creativo, potrebbe ribaltare una situazione, e invece di rado lo fa.
In Occidente, con la nostra rincorsa all’avere, agli oggetti, ci siamo allontanati sempre di più dalla spiritualità – e continuiamo a farlo – in India, nonostante il grande avanzamento tecnologico, mi pare di osservare una valenza spirituale che persiste, ancorata alle varie fasi della vita.

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