“L’India dei Villaggi” di Berengo è l’ago della bussola che guida da lontano queste mie giornate indiane, mentre Rahul – divenuto ormai un amico – è il mio pilota in carne e ossa. Mi muovo insieme a lui nella città di Indore e nei villaggi sul suo motorino, oppure da solo in tuk tuk o a piedi fino a sconfinare fuori dall’abitato dove la natura, non più compressa dal cemento, giganteggia. Intanto arrivano immagini e sensazioni che mi catturano e mi fermo a fotografare. E arrivano anche i pensieri.
Mi allontano dal caos delle vie di Indore e, nell’entrare in hotel, rifletto: non a caso proprio qui, nel brulicare incessante di ogni forma vivente, in queste terre d’Oriente sono nate le più antiche pratiche meditative, indispensabili per regalare una sosta alla mente. I numerosi templi, ancora piuttosto frequentati, sono luoghi di quieto intervallo nello scorrere della giornata che mai si arresta.
Da quello che vedo e sento, nonostante il progresso tecnologico la spiritualità è ancora molto viva e pervade tutta la loro esistenza. Appare come un motore trainante su vari livelli. È intrecciata strettamente alla natura, e lo si può osservare nel concreto dei loro templi che spesso – piccoli o grandi che siano – sono eretti attorno o vicino ad alberi secolari.
Se, seguendo un antica scienza – per chi la conoscesse, mi riferisco alla sapienza dell’Enneagramma – , individuiamo energie differenti nelle personalità umane, ad un livello più ampio le possiamo vedere nelle varie zone della terra. Generalizzando, a differenza della cultura occidentale più mentale e di quella sudamericana e africana più legate alla terra e all’emotività, quella asiatica – e l’India in particolare – si caratterizza per essere più evanescente, aerea, spirituale, meno legata al mondo della materia. E questo lo si vede bene dal fatto che il mondo materiale in cui vivono è piuttosto caotico, poco organizzato.
Già pochi giorni dopo essere tornato qui, all’inizio di questo viaggio, ho pensato: è proprio vero, la chiamano Madre India forse per tanti motivi, ma ha un’energia, un’atmosfera che è davvero materna. Decisamente rispetto alle culture occidentali ma anche per esempio a luoghi come la Giordania – che ha un’energia molto più maschile – e in India invece c’è questa dolcezza, quest’accoglienza, la capacità di abbracciare le diversità. E, infatti non a caso il grande continente indiano racchiude in sé notevoli differenze religiose e culturali. Questo è uno dei suoi aspetti più belli, cioè che ti sorridono tutti e sono molto aperti, raramente incontri muri o atteggiamenti aggressivi. Di fronte alle difficoltà si sostengono tra loro, e si comportano in modo simile con lo straniero. Sempre rifacendosi alla teoria dell’Enneagramma, qui le persone hanno molto sviluppata la caratteristica del “mediatore”, e a me pare di notarlo nei loro atteggiamenti, che raramente cercano il conflitto.
Il rovescio di tale personalità è il ritrovarsi in una situazione scomoda, o addirittura nell’estrema povertà e malattia, senza avere la capacità di reagire ma continuando a sopportare invece. Se chi vive in tale sofferenza avesse la capacità di reagire, utilizzando la propria rabbia in modo creativo, potrebbe ribaltare una situazione, e invece di rado lo fa.
In Occidente, con la nostra rincorsa all’avere, agli oggetti, ci siamo allontanati sempre di più dalla spiritualità – e continuiamo a farlo – in India, nonostante il grande avanzamento tecnologico, mi pare di osservare una valenza spirituale che persiste, ancorata alle varie fasi della vita.
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