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Il ricordo

Undici anni fa la tragedia di Pescara: “Morosini oggi starebbe benissimo in una squadra di Serie A”

Parla Alessio Pala, l'allenatore degli allievi nazionali dell'Atalanta con cui Piermario vinse lo scudetto nel 2002: "Zingonia era la sua famiglia"

Bergamo. Sono passati undici anni da quando Piermario Morosini perse la vita su un campo da calcio, a Pescara per un’improvvisa crisi cardiaca, durante la partita Pescara-Livorno (14 aprile 2012) di Serie B. Proprio dopo la morte di Morosini fu necessario un decreto legge per rendere obbligatorio l’uso dei defibrillatori, anche per l’attività sportiva non agonistica e in realtà allora, quando Morosini si accasciò a terra, c’erano tre defibrillatori allo stadio, ma non furono usati.

Ma chi era Piermario? “Un ragazzo molto intelligente e disponibile, generoso, altruista. Però chi lo conosceva leggeva sempre dentro di lui un velo di tristezza…”.

Parla Alessio Pala, che con Morosini vinse nel 2002 lo scudetto Allievi. Pala era l’allenatore di quell’Atalanta e spiega: “C’erano Montolivo, Defendi, Guarente, tanto per citare qualche nome tra quelli più noti e Morosini, che aveva un anno in meno ed era negli allievi regionali, era aggregato a quella squadra come Motta e Capelli. Me la ricordo benissimo, quella finale, il 29 giugno a Cesenatico. E poi ho avuto Piermario anche l’anno dopo, con gli allievi nazionali”.

Pala si emoziona ancora: “Era il capitano di quella squadra. Lo conoscevo bene anche perché la mamma era del mio paese, Pagazzano ed è morta nel 2001. Il papà di Piermario veniva spesso in motorino a vedere le sue partite, poi io accompagnavo a casa in auto Piermario, a Redona. Suo padre si ammalò e morì in quell’anno, nel 2003 e l’anno dopo, nel 2004, perse anche il fratello disabile che si suicidò. Gli era rimasta la sorella disabile, ricoverata in un istituto”.

In realtà tutto lo staff tecnico del settore giovanile è sempre stato molto vicino a Piermario, cercando di fare il possibile per provare a colmare quella tristezza che si portava dentro. Si può dire benissimo che Zingonia era la sua vera casa e che lo staff degli allenatori erano diventati la sua vera famiglia, “tutti noi eravamo come la sua famiglia. E se sbagliava”, confessa Pala, “non avevo il coraggio di riprenderlo, c’era un rispetto che andava oltre il campo…”.

Come calciatore? “Era uno dei più bravi, l’anima del centrocampo. Aveva buona fisicità, si inseriva bene in attacco. L’ho seguito anche quand’era nella Primavera di Finardi ed era bravo sì, tanto che nella finale scudetto persa dall’Atalanta nel 2005 contro la Roma fu premiato come miglior giocatore. Poi fu ceduto all’Udinese”.

Ma come ha saputo della tragedia? “Allora allenavo l’AlbinoLeffe e abbiamo subito sospeso l’allenamento. Impossibile non essere informati, anche perché l’allenatore del Livorno dove giocava Piermario era Madonna. E sono rimasto scioccato, non riuscivo più a parlare”.

Come o dove giocherebbe, oggi, Piermario Morosini? Alessio Pala non ha dubbi: “Avrebbe potuto benissimo giocare per dieci anni nella rosa di una squadra di Serie A”.

Magari nell’Atalanta? Basta pensare al salto fatto da giocatori cresciuti nel settore giovanile, poi valorizzati in Serie A da Gasperini e ceduti a suon di milioni, si pensi a Gagliardini all’Inter. “Adesso si guarda più al mercato internazionale, mentre allora tra i ragazzi del settore c’erano anche tanti bergamaschi. Morosini” conclude Pala “si potrebbe paragonare tecnicamente a un giocatore come Colpani, ma sono sicuro che in Serie A ci sarebbe potuto stare, come centrocampista di corsa a tutto campo. Ed era un ragazzo d’oro”.

Bella la foto che ricorda la visita dei ragazzi del settore giovanile dell’Atalanta in occasione del Giubileo degli sportivi nell’anno 2000. Dove, dietro a Papa Wojtyla, si riconosce Piermario Morosini accanto a Gabriele Perico.

Morosini Papa Wojtyla
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