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La recensione

Esilarante ma con temi attuali: “La Bottega del Caffè” conquista il Donizetti

Dalla ludopatia alle fake news, Michele Placido e Paolo Valerio mettono in scena la pièce di Carlo Goldoni: il risultato è una commedia spassosa che sa anche far riflettere

BergamoMichele Placido copre tutta la scena. Non perché ne calpesti ogni centimetro di spazio, ma perché la riempie: con la voce, con i tempi, con i gesti. Il suo Don Marzio ne La Bottega del Caffè è semplicemente esilarante. Ma non è il solo merito se la prima al Donizetti della pièce di Carlo Goldoni martedì sera ha avuto tanto successo. Accanto a lui nove interpreti e una regia di talento (firmata da Paolo Valerio) spiccano per la capacità di regalare al pubblico una commedia spassosa ma capace anche di far riflettere su un tema immortale: quello che definiremmo delle chiacchiere da bar.

Oppure, nell’era contemporanea ormai digitale, delle fake news.

Don Marzio ci prova in ogni modo a scompigliare le carte nel piccolo microcosmo del campiello veneziano in cui è ambientata l’opera: il nobile napoletano gode nell’alimentare le false credenze sul conto dei protagonisti e nello svelare i loro segreti, di cui si fa unico custode presentandosi come persona fidata. Lo fa con la leggerezza e la simpatia tipica partenopea in nome di una presunta “verità”. Un atteggiamento che, però, finisce per emarginarlo dalla società e costringerlo alla ritirata quando – come spesso avviene – la verità viene scoperta.

A lui si oppone Ridolfo (interpretato da un grandissimo Francesco Migliaccio), il proprietario della Bottega del Caffè in cui avviene l’azione. È un uomo onesto, retto e generoso che cerca di mettere ordine nel caos creato da Don Marzio. È lui a tentare di arginare le due piaghe che la commedia porta in scena: la ludopatia di Eugenio (indebitato fino a perdere ogni cosa nella casa da gioco di Pandolfo), le sue debolezze carnali e d’animo nei confronti della moglie Vittoria, e la sofferenza di tutte le protagoniste femminili.

Perché anche di questo parla l’opera, di donne abbandonate (Vittoria), di donne ingannate (Lisaura), di donne tradite (Placida). Portano sul palco il dolore e la rabbia di mogli e compagne trascurate, ma anche tutta la loro fedeltà nonostante le bugie e le malefatte dei loro uomini. Risaltano la disperazione – anch’essa attuale – di Ester Galazzi nei panni di Vittoria, moglie di Eugenio, e la frustrazione di Anna Gargano nel dare voce a Lisaura, la ballerina che cede alla corte del sedicente conte Leandro (senza sapere che questi è nei fatti Flaminio ed è sposato con Placida) e che Don Marzio fa credere sia una prostituta, alludendo sempre all’ingresso in casa dei suoi amanti grazie alla “porta di dietro”.

A stemperare la tensione ci pensa un personaggio unico: Trappola, l’aiutante del caffettiere Ridolfo. Luca Altavilla riesce a dare alla perfezione al garzone lo spirito di un servo svogliato e ficcanaso, ma dotato di un umorismo schietto e grossolano, e che proprio per questo emerge ancor più vero in mezzo alla gente del campiello che si definisce “onorata”.

Alla fine “la tromba della comunità”, ovvero Don Marzio, così chiamato da Ridolfo per la sua incapacità di mantenere la segretezza, stecca. Il bottegaio, protagonista morale dell’opera, riesce a sistemare gli inganni creati dal nobile napoletano e a dare un grande insegnamento: l’inutilità delle malelingue e la pericolosità di giudizi infondati, che non solo non servono ad aiutare le cose, ma possono portare alla loro rovina. Quello che servirebbe è, a volte, solo un po’ di buonsenso, di vicinanza, di sincerità da parte di un buon amico. Come Ridolfo per Eugenio.

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