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Il nuovo numero

La “Rivista di Bergamo” celebra i Locatelli

La storica rivista di arte nel numero in edicola ricostruisce la saga dei Locatelli e traccia dei paralleli con altre dinastie pittoriche di Bergamo.

 Bergamonews presenta un "assaggio" del nuovo numero, il 69, della storica e molto amata “La Rivista di Bergamo”, pubblicazione trimestrale edita da “Grafica&Arte” che potete trovare in edicola. 

 

Ecco gli articoli di questo numero: Il  “caso” Locatelli di Flaminio Gualdoni; Angelo Merletti. La fotografia, l’occhio, l’anima di Marco Carminati; Cesare Rossi. I colori della notte di Enrico De Pascale; Radici’s Worlds. Radici’s Words di Emiliano Bona; Da jazzman a videoartista: Alberto Nacci. Oltre le frontiere dell’arte

 

di Stefania Burnelli; Ambrogio da Calepio e il suo Calepinus di Laura Daniela Quadrelli; Concorso Nazionale di Calcografia Premio Comune di Gorlago. Vent’anni in continuità di Davide Agazzi; A proposito di un dipinto di Evaristo Baschenis di Lanfranco Ravelli; inoltre La Scuola di Bergamo – A.C. Allievi e Sostenitori dell’Accademia

Carrara di Belle Arti a cura di GianMaria Labaa e le Segnalazioni, mostre a cura di Maria Rosaria Agazzi. 

 

Proponiamo l’editoriale del direttore Fernando Noris. 

 

L’occasione di ripercorrere la saga dei Locatelli, attraverso lo svolgersi di più generazioni, consente di prendere contatto con una dinamica ricorrente nell’ambito della storia artistica di Bergamo: quella che riconduce a vere e proprie dinastie pittoriche, che hanno attraversato i secoli e hanno intessuto una trama di straordinarie relazioni.

Insieme ai sedici pittori Baschenis, a far corona al più noto, tra loro, prete Evaristo, si ammirano gli altrettanti e più Locatelli, pittori e scultori, a fare memoria di altri casati dai Marinoni, ai Santa Croce, alle famiglie caravaggine e  trevigliesi, agli Scanardi, agli Scipioni, ai Guerinoni, ai Cavagna, ai Salmeggia, ai Danedi, ai Carpinoni, agli Orelli, ai Galizzi, ai Nazari, ai Carobbio. O insieme ad altri come gli Adolfi, gli Agazzi, i Baioni, i Bettera, i Bonetti, i Brignoli, i Cabrini, i Ceresa, i Ghislandi, i Grigis, i Palma, i Quarenghi, i Raggi, i Rillosi, i Riva, i Rota,

i Salvatoni…

Di padre in figlio, e spesso sino a più numerosi discendenti, in queste botteghe familiari si è tramandato un mestiere semplice e artigianale, condiviso come una formazione solidamente umana e culturalmente aperta, in anticipo, o in concomitanza a seconda dei tempi, di insegnamenti più articolatamente accademici.

I viaggi, che sovente hanno accompagnato il peregrinare di molti di questi artisti, hanno arricchito l’esperienza bergamasca di influssi fondamentali, utili a declinare il suo progressivo divenire, con il duplice risultato di veder articolata una produzione artistica ben incardinata nella tradizione espressiva locale, ma anche di veder esportare altrove gli esiti di una elaborazione creativa con rari precedenti in Italia se non anche in Europa.

Il caso dei Locatelli è certamente tra i più emblematici.

Giuseppe detto Steenì, noto ma non documentato come decoratore in diverse località della provincia, è considerato il capostipite della famiglia artistica, strettamente intesa.

Fu padre di Luigi (1883-1928: a sua volta padre di Romualdo, 1905, di Raffaello, 1915, e di Stefano, 1920), di Giovanni Battista (1884-1923; a sua volta padre di Luigi, 1904, di Ferruccio, 1906 e di Orfeo, 1919).

Oltre agli artisti citati, altri ve ne sono con il cognome Locatelli, ma che non sono riconducibili a questo nucleo familiare. Riflettendo sulle vicende dei nostri nove personaggi, cui è dedicata la mostra nello Spazio Viterbi, conviene sottolineare come, attraverso il loro percorso, si possa rileggere molto più di un secolo di arte italiana dal Romanticismo alla contemporaneità, per dire, a Bergamo, dalle lezioni di Scuri e Loverini al Novecento di Barbieri e Funi, fino ai decenni della seconda parte del secolo XX.

Se c’è un filo conduttore nel loro applicarsi all’arte, è quello di una verità commovente del loro rapportarsi alla realtà. Quadri a soggetto religioso, ritratti, vedute, personaggi di genere, sculture dialogano come all’interno di una ininterrotta sacra rappresentazione, nel racconto delle devozioni tradizionali, del lavoro quotidiano, del dolore e della fierezza del vivere, sempre attenti, i Locatelli, a cogliere, nell’aggiornamento imposto dai tempi, le espressioni artistiche più coerenti e più palesemente ben costruite sui fondamentali del mestiere dell’arte: la forza del segno, la vibratilità del colore, la sincerità delle ambientazioni, la commozione dei sentimenti più veri. Monumento indelebile per questa famiglia di artisti potrebbe rimanere il dipinto del giovanissimo Romualdo dedicato al padre (Dolore), in occasione dell’infortunio da lui patito nel 1926. Non vi si legge il pur giusto dispiacere d’un giovanissimo figlio per le sofferenze paterne, ma vi si può decifrare soprattutto l’amarissima constatazione d’aver visto il genitore privato, per l’infermità subita, della libertà creativa del poter continuare a vivere appieno nell’incomparabile bellezza e nell’insopprimibile aspirazione del fare l’arte. Una visione profetica di quanto a Romualdo stesso sarebbe dovuto accadere meno di due decenni dopo.

Di ciò e di altro, nel catalogo della mostra e nell’articolo di apertura, scrive Flaminio Gualdoni.

Marco Carminati si sofferma poi sulla fotografia di Angelo Merletti, in una indagine tra l’occhio e l’anima. Riprendendo l’omaggio tributato dall’ASAV di Seriate a Cesare Rossi, altro esponente di un’altra piccola discendenza familiare con il padre Domenico, Enrico De Pascale rilegge l’opera e la fortuna critica di questo importante artista, nel contesto locale e internazionale.

Emiliano Bona presenta il lavoro di Gigi Radici, altro rappresentante della Scuola dell’Accademia Carrara dove l’artista si è diplomato nel 1978. Proseguendo nell’ideale viaggio della nostra contemporaneità, Stefania Burnelli ripercorre l’itinerario artistico di Alberto Nacci, dal rigore della musica a quello creativo della videoarte.

Laura Daniela Quadrelli scrive di Ambrogio da Calepio e del suo Calepinus, antenato di ogni dizionario a stampa. E sempre a proposito di stampa, in altro contesto storico ed espressivo (non più la parola, ma il segno) Davide Agazzi commemora i primi vent’anni del concorso di calcografia di Gorlago. E per non farci mancare niente del nostro illustre passato, Lanfranco Ravelli ci riconduce dentro l’affascinante mondo di Evaristo Baschenis, Rosaria Agazzi segnala l’inaugurazione del Museo interattivo dell’età veneta nel recuperato Palazzo del Podestà e la mostra su Carlo Ceresa e, nella rubrica de “La Scuola di Bergamo”, Maria Mencaroni Zoppetti, riandando ai 370 anni dell’Ateneo di Scienze Lettere e Arti che presiede, racconta di una Bergamo città visibile e città invisibile.

 

Fernando Noris

 

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