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Il rock è morto? Ascoltate The Cult e i concerti di Springsteen… poi rispondete

La prima notizia è che sono già in vendita i dischi delle prime date del tour 2016 del Boss, da imparare a memoria prima di andare ai concerti italiani. La seconda è che The Hidden City dei Cult, pur nostalgico, funziona a meraviglia.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa;

ARTISTA : The Cult

TITOLO: Hidden City

GIUDIZIO: ***

Il rock è morto? È la domanda che in più circostanze è stata posta nel recente passato in varie occasioni e che anche io mi sono fatto in alcuni momenti della mia vita nei quali il contingente non era l’ansia principale (tradotto: non avevo un cavolo da fare).

In realtà a ben vedere un certo rock non esiste più, piaccia o non piaccia. Dagli anni ’70 in avanti si sono succedute forme ibride dello stesso frutto dell’incontro con generi musicali diversi: il soul, il funk, il reggae sino ad arrivare ad estremizzazioni come il punk ma, sta di fatto che certe sonorità più pure si sono perse nei tempi.

Poi esce un disco come Hidden City, conclusivo di una trilogia iniziata nel 2007 con Born Into This e proseguita nel 2012 con Choice of a Weapon, che rappresenta esattamente l’opposto rispetto a quello che ho appena scritto e che è lì a testimoniare esattamente il contrario.

In realtà The Cult provengono dalla terra d’Albione e hanno conosciuto i maggiori fasti negli anni ’80 (grandi successi furono Rain e She Sells Sanctuary) e dopo, gravitando intorno al nucleo originario composto dai due fondatori, il cantante Ian Astbury e il chitarrista Billy Duffy, hanno continuato a sfornare dischi in numero limitato anche nei decenni successivi.

L’assenza di una necessità ha probabilmente permesso al duo di scrivere senza particolari ansie e quindi di continuare, in questi anni, a proporre un discorso musicale mai sceso sotto un certo standard qualitativo, ma soprattutto gli ha consentito di essere sempre dignitosi e credibili, nonostante abbiano sempre proposto sonorità fortemente legate al passato.

Hidden City, il loro decimo lavoro, è però qualcosa in più rispetto alle precedenti prove e ciò nonostante il discorso musicale sia risaputo, l’idea di una sorta di concept superata, l’assenza di una hit che veramente faccia breccia nei cuori evidente; ma è un disco progettato e suonato con amore, con passione, avendo ben presenti le regole che stanno alla base di una scrittura mai banale, anzi ricca di suggestioni.

Il fatto è che seppure il tutto suoni un po’ nostalgico funziona a meraviglia perché ogni composizione ha una propria individualità, non conosce la monotonia e ognuna presenta qualche elemento meritevole di attenzione: il suono è potente, la voce ben presente , il drumming di John Tempesta preciso e la produzione di Bob Rock coerente con il contesto artistico (mi sembra di leggere Alan Ford) .

In Hidden City troverete atmosfere in genere dark, con chiari richiami all’hard rock, alla new wave degli anni ’80.

Così il clima musicale durissimo del brano di esordio Dark Energy, del successivo No Love Lost o dell’ancor più muscolare GOAT, farà la felicità dei cultori di certe sonorità degli anni ’70 mentre non potrà sfuggire ai più che il pop – glam di Dance the Night paga qualche pegno anche al decennio successivo.

Non mancano episodi più riflessivi, più pacati come In Blood, forse un po’ troppo epica per non essere anche un po’ tronfia, mentre non dispiace Deeply Ordered Chaos, un brano dall’incedere ipnotico, forse troppo arrangiato, ma perfetto per suscitare un senso di inquietudine.

Completamente fuori dagli schemi usuali è Sound and Fury, una canzone dove le chitarre lasciano lo spazio alle tastiere per un sound che molto, ma molto da vicino, ricorda l’ultimo Bowie: coincidenza? Non saprei ma il tentativo suona perfettamente riuscito. Il brano è profondo, emozionante, triste. Perfetto anche perché posto a chiusura di un lavoro per nulla trascurabile.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco: Sound and Fury

Se non ti basta ascolta anche:

Billy Idol Kings and Queens of Underground

The DarknessLast of Our Kind

Killing JokePylon

*******************************************************************

ARTISTA: Bruce Springsteen & the E Street band

TITOLO: Pittsburgh 16 Gennaio 2016, Chicago 19 Gennaio 2016, New York 27 Gennaio 2016

GIUDIZIO: ****

Si tratta delle registrazioni dei tre primi concerti tenuti durante il tour americano, iniziato nel 2016, in occasione del trentacinquesimo anniversario dell’uscita di The River, ai tempi un monumentale doppio in studio del Boss, divenuto poi uno dei capisaldi della sua discografia.

The River uscì sul mercato nel 1980, al termine del tour di Darkness on The Edge of Town, uno dei dischi più problematici e difficoltosi di Bruce, a sua volta pubblicato dopo il successo planetario di Born To Run.

L’idea base di The River fu quella di realizzare un disco che parlasse della vita di tutti i giorni, della quotidianità, su di un tessuto musicale che però riprendesse il filo abbandonato di Born To Run, ossia quello di un linguaggio diretto, particolarmente adatto ad essere rappresentato dal vivo.

Nonostante le pregevoli intenzioni le registrazioni andarono in modo del tutto diverso: le necessità di perfezionismo prevalse, la ricerca ansiosa del suono perfetto, gli standard qualitative richiesti ai musicisti della E Street band provocarono malumori soprattutto da parte di Miami Steve Van Zandt a cui venne poi proposto di co-produrre il brano; Max Weinberg venne messo fortemente in discussione tanto da arrivare a pensare a Russel Kunkel come suo sostituto. La presenza poi di un produttore come John Landau contribuì a rendere tutto estremamente complicato.

Fatto sta che The River, un brano che trattava il tema della disillusione e che aveva quale riferimento la vita della sorella di Bruce, venne proposto la prima volta durante il concerto benefico di No Nukes, concerto al quale Bruce partecipò affiancando artisti come Doobie Brothers, Bonnie Raitt, Jackson Browne.

The River schizzò subito in testa alle classifiche di vendita negli Stati Uniti sfiorando 5 milioni di copie vendute, trainato anche dal successo del singolo Hungry Heart che si piazzò al quinto posto.

The River usci in versione “doppio”, nonostante al tempo i discografici cercarono di osteggiare la scelta in quanto commercialmente poco lungimirante; alla fine però le insistenze di Bruce convinsero anche gli scettici.

The River ebbe un grande successo commerciale in tutto il mondo e consacrò il Boss nel firmamento dei grandi artisti; giusta quindi la decisione di festeggiarlo con una serie di iniziative che hanno avuto inizio con la riedizione del lavoro a fine anno, avvenuta con la pubblicazione di un lussuoso cofanetto all’interno del quale oltre varie outtakes e registrazioni rare vi è materiale video che documenta i tour intrapresi ai tempi della prima uscita.

Il tour celebrativo ha preso avvio con queste tre date e proseguirà per tutta la primavera per approdare in Italia con tre appuntamenti: il 3 e il 5 luglio allo stadio Meazza a Milano e il 16 luglio ai Fori Imperiali a Roma. Da quello che mi risulta i biglietti per il primo concerto di Milano sono già tutti esauriti ma li potete trovare sui “siti “paralleli” (una vera schifezza tipicamente italiana).

Le registrazioni in questioni sono scaricabili dal sito dell’artista ma sono in vendita anche nei negozi specializzati (io li ho acquistati da Carù) e per ogni concerto futuro è prevista la corrispondente uscita discografica.

La struttura dei cd è abbastanza simile: ogni confezione dedica i primi due dischetti alla riproposizione di The River, mentre il terzo prevede la ripresa di vecchi brani con alcune cover a sorpresa.

La formazione della band è quella classica: del vecchio gruppo sono rimasti Roy Bittan (tastiere) , Nils Logfren (chitarra) Patti Scialfa (vocalist), Garry Tallent (basso) , Stevie van Zandt (chitarra), Max Weinberg (batteria) ai quali si aggiungono i nuovi entrati , oramai in pianta stabile, Charlie Giordano proveniente dalle Seeger Sessions (tastiere) , Soozie Tyrell (chitarra, violino e voce), Jake Clemmons (sax).

Ascoltare il Boss dal vivo è sempre un piacere, anche se oggi non sorprende più come una volta , ma la stoffa è rimasta intatta, la carica emotiva sempre ai massimi livelli e le esecuzioni impeccabili; quindi nulla di nuovo e neanche vi intratterrò al riguardo, salvo farvi presente che la riproposizione di Point Black e sempre molto emozionante, che Hungry Heart mantiene tutta la sua allegria originale, che Cadillac ranch non ha perso nulla del suo smalto originale, che The River è sempre quella grande canzone di un tempo, per nulla scalfita neppure dal coro del pubblico che accompagna tutta la performance.

Mi piace invece scrivervi dei brani ripresi dal terzo disco quello che si rifà ad altri lavori del “nostro” e che in alcuni casi, presenta delle vere e proprie chicche. Vi sono in queste registrazioni dei riferimenti fissi: in ogni concerto vengono riproposte Thunder Road in una versione del tutto fedele all’originale così come Dancing in the Dark, Born to Run , The Rising. Una menzione a parte meritano Rosalita (dal secondo album) e Shout riproposte in rapida successione che sono i brani che consentono alla E Street di mettere in evidenza tutta la capacità di trascinare, di emozionare, di coinvolgere, da sempre unanimemente riconosciuta.

Due le vere chicche: nel concerto di Pittsburgh viene riproposta una versione di Rebel Rebel, sentito omaggio al suo autore appena deceduto e Take It Easy dell’amico Jackson Browne probabilmente per ricambiarlo del favore di No Nukes.

Rebel Rebel è fedele all’originale con il classico riff di chitarra e con in più un sostegno importante delle tastiere che nell’originale del duca bianco manca. La resa finale non è male, molto muscolare, molto “da stadio” anche se meno elegante rispetto a quella di Bowie.

La versione di Take it Easy è particolarmente riuscita, più lenta dell’originale, ma proposta con quella leggerezza che è propria di “brother Jackson”, con un finale ben riuscito grazie all’intervento del violino di Soozie Tyrell.

Un’ultima emozione è stata quella di risentire dopo alcuni anni Because the Night, ossia il brano portato al successo da Patti Smith: nulla di nuovo ma sempre bella.

In definitiva nessuna sorpresa ma solamente la conferma di un performer come non ve ne sono altri in questo momento in giro.

A questa estate, mitico Boss!

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