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La decisione

Papa Francesco: “Non darò mai la grazia ai pedofili”

La «tolleranza zero», inaugurata da Benedetto XVI, è confermata il 21 settembre 2017 da Francesco alla Pontificia Commissione per la tutela dei minori in un breve e sferzante discorso

«Non darò mai la grazia ai pedofili»: preti e religiosi condannati per pedofilia non avranno mai la grazia di Papa Francesco, «semplicemente perché la persona che fa questo, uomo o donna, è malata. La pedofilia è una malattia. Oggi lui si pente, va avanti, lo perdoniamo, ma dopo due anni ricade».

La «tolleranza zero», inaugurata da Benedetto XVI, è confermata il 21 settembre 2017 da Francesco alla Pontificia Commissione per la tutela dei minori in un breve e sferzante discorso a braccio: «Chi viene condannato per abusi sessuali sui minori può rivolgersi al Papa per avere la grazia, ma io mai ho firmato una di queste e mai la firmerò. Spero che sia chiaro». Una linea dura che il Papa argentino ha adottato da tempo ovviando agli errori e alle lacune delle diocesi e dei Tribunali ecclesiastici nella lotta alla pedofilia: «La Chiesa è arrivata tardi» – ammette il Pontefice -, tardi nel prendere coscienza dell’inaudita gravità del problema: «È la realtà: siamo arrivati in ritardo. Forse l’antica pratica di spostare la gente, ha addormentato un po’ le coscienze. E quando la coscienza arriva tardi, anche i mezzi per risolvere il problema arrivano tardi».

Aggiunge: «Il Signore ha suscitato dei profeti e uno è il cardinale» Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, diocesi statunitense fortemente piagata da casi di abusi – fece anche bancarotta -, e presidente della Pontificia Commissione che lavora «controcorrente per far salire il problema alla superficie e guardarlo in faccia».
Lavoro che non riguarda solo la Commissione ma «tutta la Santa Sede», a cominciare dalla Congregazione per la dottrina della fede: «Credo che per il momento risolvere il problema di abusi deve essere sotto la competenza della Congregazione per la dottrina della fede: questa è stata una cosa pratica. Quando veniva un problema nuovo, veniva una disciplina nuova per la riduzione allo stato laicale, l’ha presa sempre la Congregazione. Poi quando la cosa si è sistemata bene, nel caso della laicizzazione dei preti è passata al Culto e poi al Clero. E questo lo dico perché alcuni chiedono che vada direttamente al sistema giudiziale della Santa Sede, cioè alla Rota e alla Segnatura». Ma «in questo momento il problema è grave ed è grave anche il fatto che alcuni non hanno preso coscienza del problema. È bene che resti alla Dottrina della fede, finché tutti nella Chiesa non prendano coscienza».

Il primo passo è «cominciare a studiare e classificare i dossier» in modo da velocizzare i processi rimasti in fase di stallo. «Ci sono tanti casi che non avanzano: questo è vero. Con il nuovo segretario (l’arcivescovo modenese mons. Giacomo Morandi, nominato da Francesco il 18 luglio 2017, n.d.r.) si sta cercando di assumere più gente che lavori nella classificazione dei processi». Il secondo passo riguarda la Commissione interna alla Dottrina della fede, presieduta dall’arcivescovo maltese Charles Scicluna, che riceve i ricorsi: «Lavora bene ma deve essere aggiustata con la presenza di qualche vescovo diocesano che conosca il problema sul posto. Si sta lavorando su questo. In questa commissione sono in maggioranza canonisti. Esaminano se tutto il processo va bene, se non c’è un “qui pro quo”, ma c’è la tentazione degli avvocati di abbassare la pena. D’altronde vivono di questo». Allora «ho deciso di bilanciare un po’ questa situazione. Anche un solo abuso su minori, se provato, è sufficiente per ricevere la condanna senza appello. Se ci sono le prove è definitivo».

Poi Papa Francesco annuncia una nuova disposizione: «Chi viene condannato. può rivolgersi al Papa per chiedere la grazia. Io mai ho firmato una di queste e mai lo firmerò. Sia chiaro, potete dirlo». Solo in un caso, a inizio del pontificato, riguardante un sacerdote di Crema, ha scelto «la via più benevola. Dopo due anni, però, lui è ricaduto e io ho imparato da questa esperienza e non l’ho fatto mai più. È una brutta e vecchia malattia», come testimoniano lettere di San Francesco Saverio che rimproverava i monaci buddisti per questo «vizio». Francesco Saverio (1506-1562) era compagno di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, e andò missionario in Estremo Oriente. Conclude Francesco: «Andiamo avanti con fiducia. Senza di voi non sarebbe stato possibile fare quello che abbiamo fatto in Curia e che dobbiamo continuare a fare».

La Pontificia Commissione fa un un bilancio sul modo in cui la Commissione può accogliere e ascoltare sempre meglio la voce delle vittime e dei sopravvissuti, su come costruire la missione voluta dal Papa per la protezione dei bambini e degli adulti vulnerabili e su come promuovere una cultura di salvaguardia in tutta la Chiesa. Spiega alla «Radio Vaticana» il gesuita tedesco Hans Zollner, membro della Commissione e responsabile del gruppo che cura le attività formative con i vescovi e con gli insegnanti delle scuole cattoliche: la priorità resta quella di dare voce alle vittime «che ci hanno dato il compito di far sì che non ci siano più vittime di abuso da parte del clero o nella Chiesa. Questo ci da una fortissima motivazione per andare avanti nonostante tutte le difficoltà: nessuno nega che questo sia un problema e che ci siano tante difficoltà a trovare delle risposte perché mancano persone formate».

A una domanda sulla collaborazione della Commissione con la Congregazione per la dottrina della fede, il gesuita risponde: «Tra le Conferenze episcopali e al loro interno ci sono atteggiamenti molto propositivi e lineari. Dobbiamo lavorare su un approccio chiaro, univoco e propositivo». Con molto senso pratico padre Zollner indica una concreta difficoltà: le comunicazioni «arrivano in dozzine di lingue», si tratta di trovare chi possa leggerle e rispondere «in maniera adeguata e appropriata, non solo burocratica ma anche con attenzione umana che è la chiave per l’incontro con le persone traumatizzate».

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