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L'intervista

Lella Costa e Marco Baliani: “Con Human vogliamo spiazzare e turbare lo spettatore”

Martedì 10 gennaio, illuminati dalle luci del teatro Donizetti, hanno fatto il loro debutto Marco Baliani e Lella Costa. Immersi in un’atmosfera mitica i due attori hanno portato in scena Human, spettacolo impegnato, conturbante e per alcuni tratti forse inquietante. Un’opera che fa pensare, che cerca di scandagliare l’animo umano entrandoti sotto la pelle.

Una splendida alchimia corre tra i due protagonisti di Human, senza dimenticare l’enorme contributo degli altri giovani attori che fanno parte dello spettacolo. “Il testo è pieno di significato e alcune parti che io non faccio sono fantastiche…Farei tutto da sola, sono gelosa! No scherzo, senza di loro non si potrebbe fare lo spettacolo!” ha detto Lella Costa con gratitudine.

Davvero bello vederli chiacchierare, ridere e lavorare insieme.

“Siamo vivi fino a che facciamo spettacolo” ha poi esordito Baliani presentando il suo Human: un’opera che prende le mosse dall’Eneide innanzitutto, e dalla forza vivifica che permea il mito.

Ma perché proprio l’opera di Virgilio? Perché l’attore parte dal mito per poi raccontare la storia dei profughi. Cos’è questo migrare? Cosa significa? Quali sogni, pensieri, speranze o ricordi tragici e tristi porta con sé chi fugge?

“Lo spettacolo parla sì dei profughi ma attenzione, non volevamo fare qualcosa di già fatto. C’è chi può parlare di questo tema molto meglio di noi, con più informazioni e con immagini ancora più forti. Non vogliamo fare il solito teatro civile: vogliamo spiazzare lo spettatore, inquietarlo e turbarlo”.

Baliani è fiero della sua creatura, ma sa che oggi, bombardati da migliaia di false notizie, non sappiamo più qual è la veridicità dei fatti.

“Chi è il nemico? Contro chi dobbiamo lottare?”. Allora si rende conto che chi fa il suo mestiere si deve mettere in gioco e deve sperimentare; deve nutrirsi di domande, e come dice Lella Costa al suo fianco, “per noi ci dev’essere un continuo senso dell’interrogarsi; dev’essere un’esigenza perché così siamo davvero vivi”. E aggiunge: “E’ un privilegio per noi attori parlare di cose che riguardano la vita: questo è il bello e la difficoltà del nostro lavoro. Dobbiamo parlare e trattare cose di cui avvertiamo l’esigenza, cose che ci riguardano. Per fare questo deve andarne un po’ della tua vita, altrimenti che senso ha?”.

Human dunque non sfrutta il tema dei profughi e della migrazione per guardare oltre e analizzare il nostro tempo. Tra testimonianze dirette, brandelli di vita vissuta e ripensamenti, attraverso forme teatrali diverse, gli attori indagano quanto accaduto in questi anni, dalla crisi all’Europa impaurita. Si evocano idee e valori, ma si narrano anche muri che si innalzano dentro e fuori l’animo della persone, dolori e guerre: il dramma di chi cerca un rifugio e si aggrappa alla speranza.

“Human parla di noi e riguarda noi, è una metafora della vita quotidiana. Pescatori che non sanno che pesci pigliare, le furiose discussioni famigliari, la confusione e lo smarrimento del nostro tempo. In Europa ci siamo persi già da tempo a causa di questa crisi globale. Chi sopravvive è colui che riesce a cavalcare la paura. Per me il teatro ha l’obbligo quindi di esplorare noi, sia esso Shakespeare o Pirandello. Basta che si leghi a quello che siamo noi e i nostri dubbi e problemi”.

Lella Costa interviene e dice che “se in sala non sentiamo colpi di tosse ci accorgiamo che si crea qualcosa di bello fra noi e il pubblico. Chi è spettatore ci sta ascoltando davvero, si sente parte di ciò che stiamo raccontando”.

Siamo quindi di fronte ad uno spettacolo che invoca umanità da qualsiasi parte lo si guardi. Un teatro che parla della condizione umana e che quindi non può che essere un “work in progress”, come dicono i suoi protagonisti. “Come si fa a parlare se non ci si guarda in faccia? Così si cresce e si impara. Grazie a questo alcuni testi arrivano subito, altri invece dopo tempo. Non a caso la versione precedente di Human era diversa, più complessa e piena di figure istantanee”.

Lella Costa e Marco Baliani sanno che lo spettacolo non può essere inamovibile, se vuole migliorare e stare al passo coi tempi. E lo sanno anche i giovani attori al loro fianco, perché tutte le sere si trovano a provare e riprovare, a cambiare il finale di una battuta o a modificare un pezzetto di scena. “Quando oramai avevamo imparato le risposte ci hanno cambiato le domande” afferma simpaticamente l’attrice milanese, “Marco ha fatto un laboratorio per scegliere i giovani. Loro ci hanno raccontato qualcosa di sé e lui praticamente tutte le sere li sfinisce. E’ uno stacanovista. Ma è proprio questo che intendiamo con interrogarsi. Il saper cogliere le diverse sfumature; capire e vedere oltre. C’è sempre qualcosa da imparare. Solo così ci sentiamo vivi”. Non è affatto una cosa semplice ma “questo è anche un po’ il bello del nostro mestiere: questo brivido che scaturisce dal cambiare continuamente, che porta con sé un pizzico di incertezza”.

Human quindi ti colpisce e ti rapisce, poiché racchiude in sé una dicotomia pesante: umano e disumano, la presenza della vita e al tempo stesso la sua negazione. Come “un corpo nella sua integrità fisica e psichica, nella sua individualità”.  Senza rinunciare a un pizzico di ironia e di umorismo assistiamo ad un teatro che “sa  toccare nodi conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso,  la visionarietà delle immagini, la forza della poesia”.

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