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Verso il referendum

Felli, in campo per il Sì: “È una buona riforma ed è ora di dare stabilità all’Italia” video

Enrico Felli, promotore del Comitato per il Sì al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre spiega le ragioni della sua scelta.

“Basta un Sì” recita lo slogan dei sostenitori della riforma della Costituzione alla quale sono chiamati ad esprimersi i cittadini con un referendum domenica 4 dicembre. Per Enrico Felli, avvocato, responsabile del Comitato per il Sì – il primo costituito in Italia che ha lanciato di fatto la campagna nazionale con la presenza di Matteo Renzi – ci sono tre almeno buoni motivi per approvarla.

“Il primo è l’eliminazione del bicameralismo paritario che ha dato prova di cattivo funzionamento, come è dimostrato dai tempi di approvazione delle Leggi e dal ricorso che è stato fatto, anzi dall’abuso, allo strumento del decreto d’urgenza. Il secondo motivo è che la fiducia d’ora in poi verrà votata dalla Camera e che quindi vi sarà una stretta collaborazione tra una sola Camera e l’azione dell’esecutivo. E che sarà ancora la Camera a votare leggi di importanza nazionale, come la Legge di stabilità. Infine, il terzo motivo è la riduzione dei numeri dei componenti del Senato che si tradurrà da un lato nella riduzione dei costi e dall’altra in una riacquisizione di efficienza che ad oggi non c’è”.

Come nasce il Comitato per il Sì Bergamo?
“Siamo un gruppo di persone che abitualmente si ritrova per discutere di politica. Abbiamo condiviso il contenuto di questa riforma e l’opportunità che rappresenta per il Paese. Così ci siamo subito messi d’impegno per divulgare quanto più possibile i cambiamenti positivi della riforma che ci accingiamo a votare. Devo dire poi che dalla segreteria cittadina e provinciale del Pd abbiamo avuto pieno sostegno, con il segretario cittadino Pedersoli che si sta spendendo in prima persona e che ringrazio pubblicamente”.

Ad un mese dal voto ci troviamo un Paese spaccato. Eppure in una delle sei votazioni di questa riforma in Parlamento, ci fu anche l’appoggio di Forza Italia. Poi la divisione. Perché?
“Credo che non si debba perdere l’orizzonte né l’origine di questa riforma costituzionale. Nel discorso di insediamento del secondo mandato al Quirinale, il presidente Napolitano con toni duri sottolineò tutta l’esigenza questa riforma. All’inizio si è partiti con un consenso ampio e trasversale. Poi l’accordo politico è venuto meno quando il Pd ha scelto il presidente Mattarella, una scelta che non è stata gradita a Berlusconi e a Forza Italia. Quindi la riforma arriva in fondo con una avversione che non riguarda il merito, ma è di natura politica”.

È una buona riforma?
“Io penso che nel complesso sia una buona riforma. Eliminare il bicameralismo perfetto porterà esclusivamente vantaggi. Certo, in alcuni aspetti è migliorabile, ma anche i padri costituenti nel 1947 con l’articolo 138 aprivano questa possibilità. Questo significa che in futuro, se necessario, ci potranno essere ulteriori modifiche. Non si deve dimenticare che alcuni passaggi sono ovviamente frutto di accordo politico, di compromessi.”

Ci sono modifiche che il Partito Democratico non ha potuto apportare?
“Sì. Per esempio il mantenimento delle ragioni a statuto speciale che avremmo voluto togliere perché le condizioni che le generarono, riteniamo siano state superate”.

Perché ci sono molte contestazioni? E perché ci si è ridotti a considerare il referendum una prova a promuovere o bocciare il Presidente del Consiglio Matteo Renzi?
“Beh, perché alla fine è lui che ce l’ha fatta a portare fin qui un cambio così importante e perché è stato l’unico a portare a termine questa riforma, anche con passaggi sofferti e con una maggioranza non qualificata”.

La fine del bicameralismo porta al Senato delle Regioni. Dovrebbe essere un punto di arrivo per coloro che hanno inneggiato al federalismo e all’autonomia dei territori. Ma non è così… 
“Il Senato sarà composto da 100 senatori, 215 in meno degli attuali. Un taglio non indifferente. Inoltre i senatori saranno scelti tra consiglieri regionali e sindaci che a Roma rappresenteranno le istanze dei territori. Per la Lombardia saranno 21 senatori, mi sembra una quota di peso per la nostra regione. Alcuni sostengono che il Senato non avrà poteri, o che non bilancerà la Camera, ma non è così. Anzi. Il Senato avrà un forte potere di controllo”.

Tra le contestazioni a questa riforma c’è anche la perdita da parte delle Regioni di una certa autonomia.
“Alcune materie che sono state riportate al centro del potere statale riguardano argomenti come energia, turismo o welfare. Questo passaggio conserte di imporre corrette modalità di gestione”.

Ci fa un esempio?
“Certo. Ci sarà maggiore uniformità sui costi. Non saranno più le Regioni che determineranno la spesa per la sanità ma saranno adottati criteri a livello nazionale: i famosi costi standard che dovrebbero portare benefici per tutti. La Lombardia ha sempre speso bene e quindi ci saranno ancora margini per crescere nell’efficienza dei servizi”.

Il Senato delle Regioni sarà nominato dai partiti? Cioè sarà formato da consiglieri regionali e sindaci scelti da non scelti dal popolo? Questo, unito al grande potere che avrà alla Camera una maggioranza (magari risicata) a cui viene dato un “premio” per garantire la governabilità non rischia di portare acuna deriva autoritaria?
“Saranno gli elettori a decidere, nella scheda per il voto dei consiglieri regionali, chi desiderano diventi senatore. Tra questi decideranno poi i partiti. Escludo con certezza l’eventualità di una deriva autoritaria. Prendiamo uno dei temi di competenza del nuovo Senato (che non deciderà su tutte le leggi): la ratifica dei trattati europei. Allora, alla Camera si potrà porre magari la fiducia con la maggioranza blindata. Ma al non è previsto il voto di fiducia, si dovrà Senato trovare per forza un’intesa senza la quale la ratifica non passa. Ecco l’argine alla deriva autoritaria. Non si deve dimenticare poi che quando i padri costituenti scrissero la nostra Carta non c’era ancora l’Europa, non c’era la Corte Costituzionale e le Regioni. Tutti elementi che hanno arginato e di fatto garantiscono qualsiasi deriva autoritaria”.

La riforma prevede l’abolizione delle Province. Non si perde un interlocutore importante per i territori?
“Il testo sul quale siamo chiamati a votare prevede la costituzione delle città metropolitane e delle aree vaste. Comuni e territori che hanno interessi comuni potranno unirsi e dare forma alle aree vaste. Anche qui è bene dirlo: le esigenze di Treviglio sono diverse da quelle di Foppolo e viceversa. Quindi l’unione di interessi comuni sui territori porterà ad una politica condivisa e ad un efficientamento dei servizi”.

Perché voterà Sì?
“Perché non è normale che in settant’anni ci siano stati 63 esecutivi che hanno governato con fatica e con maggioranze diverse”.

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