• Abbonati

Cara Bergamo, perché non sei più accogliente?

Bergamo festeggia il suo patrono Sant’Alessandro. Un combattente che veniva, secondo alcune fonti, da Tebe, oggi Egitto, da altre dalla Cappadocia in Turchia. Praticamente un extracomunitario. Cristiano e martire, ma sempre straniero.

È curioso che Bergamo, da sempre terra di grandi migrazioni – secondo una battuta di alcuni migranti quando Cristoforo Colombo sbarcò in America a dargli il benvenuto fu uno della Valle Imagna – oggi sia così inospitale, così poco accogliente.

E non per i portali del turismo o le campagne di benvenuto. Per un sottile ma significativo modo di essere città che accoglie, che offre un posto per sedersi e riposare ai viandanti.

Nell’epoca dei cammini sui sentieri e percorsi di santi o di contemplazione della natura, Bergamo diventa terra che a chiare lettere dice: smamma, qui non è posto per te.

Come sembrano lontani quei tempi quando il sindaco Giorgio Gori fece togliere i braccioli anti ubriaconi o anti clochard dalle panchine installati da un collega.

Oggi assistiamo a una sfilza di ostacoli: la lamiera per non far accomodare nessuno dietro l’Esselunga di via Corridoni, gli spuntoni sulle aiuole in via Clara Maffei, le palline davanti alle vetrine di Porta Nuova, le aiuole con le grate in piazzetta Bergamo…
Per molti saranno dettagli, magari minimi. Ma, ahimè, non è così.

Ultimo avamposto dell’inospitalità è piazzale Alpini, tramutato in uno spazio di eventi con l’intento di riqualificarlo, ma che si rivela l’imposizione di un ghetto ad ore per lo svago, spostando il problema più in là.

Forse dovremmo interrogarci sull’origine di questa marginalità, di questo degrado. Fa comodo a tutti relegarlo il più lontano dal nostro piccolo mondo, non comprendendo che tutta l’umanità è il nostro mondo.

Invece di investire nella mega struttura per eventi, si poteva investire in operatori che aiutassero quelle persone, migranti che fuggono dal nulla, per integrarsi.

Che poi integrare altre culture significa arricchire la nostra. Non lo dico io, lo dice la storia. E rileggere la nostra storia dovrebbe aiutarci a capire di non far subire le onte e le umiliazioni che i nostri nonni e bisnonni trovarono migrando in paesi più ricchi e più sviluppati del nostro.

Più informazioni

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI