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San Giovanni Bianco ricorda lo storico sacrista e campanaro Angelo Grataroli

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San Giovanni Bianco. Appuntamento a San Giovanni Bianco per festeggiare i 155 anni delle campane della parrocchiale e ricordare il 35esimo della scomparsa del sacrista e campanaro storico Angelo Grataroli, detto Angelì (1901-1987).

Sabato 30 aprile a Casa Ceresa, alle 16.30, verrà inaugurata la mostra fotografica dedicata ad Angelo Grataroli con immagini storiche tratte dall’archivio di famiglia, unitamente ad alcuni immagini significative delle campane fuse da Monzini nel 1867, che proprio quest’anno compiono oltre un secolo e mezzo di vita con i loro 155 anni in buona salute. La mostra sarà aperta i sabati e le domeniche dal 30 aprile al 15 maggio dalle 17 alle ore 22.

Sabato 7 maggio, nel pomeriggio, suono a tastiera (con l’esecuzione dei brani del repertorio di Angelo Grataroli) e suono a distesa per la Santa Messa delle 18:00.

La settimana successiva, sabato 14 maggio, alle 20.30, elevazione Mariana alla chiesa parrocchiale con le campanine della Federazione Campanari Bergamaschi: brani del repertorio locale, della vallata di Zogno (trasmessi dal maestro Giulio Donadoni) e delle zone maggiormente rappresentative della terra orobica (tra cui la Valle Seriana e la Valle Gandino).

Approfondimento a cura del gruppo campanari bergamaschi:

Angelo Grataroli fu una delle figure emblematiche del XX secolo a San Giovanni Bianco, noto per la sua immensa devozione alla chiesa, le instancabili questue, il volontariato in parrocchia e l’inconfondibile suono a tastiera delle campane in occasione delle grandi feste quali la Sacra Spina e il Natale, oltre ai numerosi battesimi in cui era solito suonare.

A lui va il grato ricordo della comunità e della Federazione Campanari Bergamaschi per l’eredità che ha lasciato. Nei primi anni 2000, grazie ai volontari di Bordogna (frazione di Roncobello), è stato possibile recuperare una storica incisione del suono delle campane a tastiera procurata dal bibliotecario di San Giovanni Bianco Eliseo Locatelli. La registrazione contiene una bellissima pastorale, una marcia, un inno e una versione rielaborata di Andrò a vederla un dì. Le testimonianze di chi ben l’ha conosciuto riportano che il suo repertorio fosse molto ampio. Il ridotto repertorio di San Giovanni Bianco che c’è giunto, pur essendo composto da soli quattro brani, è sufficiente per offrire una panoramica su quali siano i pilastri della tradizione del suono.

Per quanto riguarda il suono delle campane, preme sottolineare la definizione utilizzata per il suono a tastiera, che da San Giovanni Bianco sino all’Alta Valle Brembana viene chiamato ‘suono a martello’, definizione storicamente e tradizionalmente applicata alle circostanze in cui bisognava dare allarme per incendio o presenza di ladri e briganti all’interno del paese. Da questo punto di vista, la campana era un vero e proprio segnale d’allarme che chiamava la popolazione al rifugio o alla collaborazione per aiutare in ufficio in fondo che viene utilizzato ampiamente della Valle Brembana, praticamente in tutti i territori extra-brembani. Possiamo dire che, fondamentalmente, il repertorio del suono delle campane a tastiera lascia intravvedere la presenza di brani religiosi riadattati, qual è il caso, nella fattispecie del nostro Grataroli, della rielaborazione di Andrò a vederla un dì e di Nome dolcissimo. A questo si affianca il repertorio che vede la rielaborazione di composizioni di carattere bandistico, quali la Marcia di San Giovanni Bianco: sotto questo profilo, si può dire che il repertorio della bergamasca vede un ampio ventaglio di musica da banda e da ballo, risalendo agli antichi balli staccati (scòtish e monferrine) e, infine, alle pastorelle o pastorali, composizioni che venivano un tempo eseguiti sul baghèt (la cornamusa bergamasca) e che successivamente vennero portate sulle campane per divenire colonna sonora del tempo natalizio. A questo proposito si può dire che La Pastorèla eseguita da Grataroli e fortunatamente registrata, raccoglie un insieme di vari stili di suono, vale a dire dalla cadenza tipica della Piva a passaggi lenti di carattere religioso-meditativo, chiusi da balli in sei ottavi che richiamano marcatamente le monferrine. La Piva è un brano decisamente antico che, come tutte le pastorali, è frutto di un collage di diversi frammenti che, nell’ottica di suonatori di baghèt, servivano a tegnì longa la sunada (tenere lunga la suonata), specie quando si trattava di girare per diverse ore tra le vie dei paesi, portando l’atmosfera del Natale come baghèt o come gruppo bandistico o piccoli bandì, e ancora sul campanile quando si trattava di tenere vivo il clima natalizio suonando per un tempo più esteso di quello attuale per portare musica in un contesto sociale in cui non esisteva né radio, né televisione né Internet, per cui ciò che non veniva prodotto direttamente dalla mano o dalla voce dell’uomo, vedeva il silenzio pressoché totale, rotto solo dal suono del fiume, dagli eventi naturali, dagli animali e del passaggio dei carri, dei cavalli o dei pochi mezzi di locomozione allora a disposizione. Riflessioni che vengono alla luce analizzando le matrici dei brani che ci sono giunti finora: unendo il tempo del mondo naturale con il mondo e i ritmi della cultura digitale, si ricavano molti spunti di riflessione che, grazie alle campane, possono riportare l’uomo nella sua dimensione primigenia e naturale nel senso etimologico del termine.

Negli scorsi anni la figlia e la nipote del sacrista Angelo Grataroli, Carmen e Anna, hanno fornito molte informazioni e ricordi su una delle figure emblematiche del mondo tradizionale religioso di San Giovanni Bianco. Suoni, immagini e memorie che verranno ricordate tra la fine di aprile e la metà di maggio del 2022 con un triplice appuntamento in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di San Giovanni Bianco e l’Assessorato alla Cultura, che ringraziamo sentitamente per l’interesse manifestato nella persona di Bernardo Galizzi, e del nostro associato Giacomo Siboldi, assessore al turismo e allo sport. Un calendario d’iniziative aventi l’obiettivo di gettare luce su una tradizione che non ha mai conosciuto interruzione e che stimola alla costante riscoperta di patrimoni storici da tutelare, in particolare dopo il riconoscimento ottenuto dalla Regione Lombardia nel 2015 come Patrimonio Immateriale delle Regioni Alpine.

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