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“Operasosta”, a San Lupo mostra di Davide Casari

Evento Terminato

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Da sabato 1° dicembre a domenica 6 gennaio all’ex oratorio di San Lupo, a Bergamo in via San Tomaso, 7, sarà allestita una collocazione artistica dal titolo “Operasosta”. Un progetto artistico di Davide Casari, a cura di Damiano Fustinoni e Giuliano Zanchi.

L’esposizione, promossa dalla Fondazione Bernareggi e dall’associazione culturale Sotto Alt(r)a Quota, verrà inaugurata sabato 1° dicembre alle 18.30 e successivamente si potrà visitare tutti i venerdì dalle 15 alle 21, i sabati e le domeniche dalle 10 alle 18. Durante le aperture ci sarà la presenza di una guida che accoglierà i visitatori accompagnandoli all’interno degli spazi espositivi.

L’arte può essere occasione d’incontro, scambio e relazione. Può rappresentare un’opportunità per costruire o rafforzare legami sociali, tessere rapporti tra le persone e creare condivisione generando comunità.

Al tempo stesso può stimolare riflessioni sul nostro modo di relazionarci con gli altri invitando a porsi domande sul nostro modo di vedere le persone, l’ambiente e gli oggetti attorno a noi.

È questo il messaggio che si può cogliere accedendo a questa mostra, che Bergamonews l’ha visitata in anteprima raccogliendo informazioni sui tanti possibili significati di quest’opera. Nel presentarla, il presidente di “Sotto alt(r)a quota” Damiano Fustinoni spiega: “Generalmente per indicare le opere protagoniste di una mostra si utilizza l’espressione “installazione artistica”, in questo caso invece si tratta di una “collocazione artistica” che si inserisce perfettamente, sin dal primo sguardo, nel contesto in cui viene posizionata. “Installare” è diverso da “collocare”: nel primo caso l’opera e l’ambiente che la ospita sono due entità diverse seppur in comunicazione tra loro, mentre nel secondo diventano un tutt’uno al punto che gli oggetti paiono parte integrante del luogo in cui vengono posti. Sia nella fase di progettazione sia in quella di allestimento, infatti, abbiamo prestato particolare attenzione al dialogo con l’ambiente circostante. Si tratta di spazi con caratteristiche peculiari: l’ex oratorio di San Lupo è sicuramente molto bello e ha una lunga storia ma, proprio per questo richiede un meticoloso studio di ogni dettaglio. Non è automatico che una mostra organizzata qui sia un successo: una location come questa può esaltare le qualità di un lavoro ben fatto ma, viceversa, è in grado di stroncare un’esposizione mal riuscita”.

Il progetto, tutto da scoprire, si compone di diverse parti: quella più grande, che il visitatore trova al piano terra, è un “lapis desco” che trasmette subito l’idea di un tavolo costituto da dieci parti poste una accanto all’altra ma divise da qualche centimetro di distanza, e alcune sedute. Tutto è solido ed è stato realizzato adoperando carta di giornale e colla ricoperte di grafite per un totale di 10 stesure, 70 strati e 70mila pezzi di giornale utilizzati, con l’ultima stratificazione composta come un mosaico). La scelta del nome e dei materiali non è casuale: è emblematico l’uso della carta dei giornali: il tavolo, che è luogo di condivisione e di racconto di storie, viene costruito attraverso i quotidiani, che racchiudono le storie delle persone. In quest’ottica, anche il tempo – simbolicamente rappresentato dalla storicità dell’oratorio di San Lupo e dai giornali passati – prende forma assumendo una propria dimensione. A incidere su questo aspetto è stata la passione dell’autore, Casari, per la letteratura che, insieme all’arte, è uno dei suoi ambiti di maggior interesse.

I significati possono essere molteplici. Fustinoni evidenzia: “Il dialogo è duplice: tavolo e sedie, che possono evocare un’atmosfera accogliente in cui trovare il proprio posto, si inseriscono armoniosamente nella stanza e al tempo stesso sono in grado di creare sinergie di significati tra loro. Infatti, a seconda delle diverse interpretazioni che i visitatori possono dare, è possibile percepire la sedia come pronta ad accogliere qualche commensale, diventando simbolo della comunità oppure può incarnare una promessa la cui realizzazione dipende dal singolo. La presenza dei confini tra una parte di tavolo e le altre è indice dell’esistenza di distanze da superare per poter interagire con gli altri. Di contro, si potrebbe trattarsi anche dei solchi che rimarcano le differenze. E ogni componente del desco è diversa dalle altre”.

Altro tema è quello della corrispondenza delle relazioni. Pensando al proprio presente ma anche al proprio vissuto, alle esperienze passate, l’opera invita a porsi domande sulla reciprocità nei rapporti tra le persone, aspetto fondamentale per la qualità nel rapportarci con gli altri.

Un argomento che viene suggerito da un particolare elemento che si nota subito davanti al desco: una botola che, grazie a particolari tecniche, in questo progetto, richiama alla mente la corteccia di una pianta, proprio per evidenziare il significato delle radici. Osservandolo pare di vedere l’immagine di uno schienale rovesciato e diviene simbolo di un dialogo circolare tra il passato e il presente. Secoli fa, infatti, nel sotterraneo di San Lupo trovavano sepoltura le persone meno abbienti: una forma di accoglienza che richiama il passato. Non a caso, sulla pavimentazione vicino alla botola viene lasciata visibile la scritta latina “Resurrectio”. Sulla parete a destra della porta, invece, si trova un monotipo sul quale sono impresse le sakome (sagome, ndr), di tre persone, che sono tutte diverse le une dalle altre e hanno ai piedi un riferimento al desco, simbolo delle radici. Potrebbero anche essere dei servitori, per comunicare l’importanza di mettersi a servizio della comunità. Vi è anche uno spazio libero per una quarta persona, che idealmente è rappresentata dal visitatore che varca la soglia d’ingresso e incarna un altro esempio di relazione con gli altri e dell’accoglienza.

Un altro monotipo si trova sulla parete a sinistra della porta della stanza dove è collocato il desco. Vi è raffigurata una persona che pare invitare il visitatore a salire le scale per raggiungere il piano superiore dell’oratorio di San lupo. Accedendovi lo spettatore passo dopo passo crea un gioco di luci e ombre, possibile grazie a una particolare attenzione dell’artista e dei curatori per l’illuminazione, giungendo dinnanzi a un monotipo raffigurante due persone e al centro un calice di vino, simbolo della convivialità ed elemento che Casari ha ricavato dal proprio vissuto, considerando l’impegno dei suoi genitori nella ristorazione. Il calice può essere interpretato come pieno e associato alla festa, oppure come vuoto, interpretabile come la presenza di un legame tra le persone. Volgendo lo sguardo in basso, infine, è possibile vedere il desco dall’alto: con le delimitazioni tra una parte di tavolo e l’altro, che da questa prospettiva possono richiamare alla mente l’immagine di una spina dorsale, proprio per evidenziare il ruolo essenziale dei legami all’interno di una comunità.

Il nome stesso, “Operasosta” invita a considerare l’importanza di essere attivi e operativi, ma anche di fermarsi per riflettere e interiorizzare le esperienze compiute nella vita di tutti i giorni.

Per concludere, Fustinoni annuncia: “Come associazione “Sotto Alt(r)a quota stiamo proponendo alle scuole, alle agenzie educative, alle associazioni, parrocchie e centri aggregativi di ospitare corsi e laboratori per diffondere la sensibilità sul profondo valore espressivo che può avere l’arte e per valorizzare i loro talenti”.

Per questa mostra è stato realizzato un catalogo di 64 pagine edito Lubrina Bramani editore progetto Saq, con scritti di Damiano Fustinoni, Giuliano Zanchi e Giovanna Brambilla. La grafica è a cura di Fabrizio Pato Donati; traduzioni in inglese di Chiara De Leo e fotografie di Marco Ronzoni.

Per avere maggiori informazioni accedere al sito dedicato www.operasosta.it oppure accedere alla pagina Facebook “Sotto altra quota”.

crediti fotografici: © Marco Ronzoni

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