Conquistare la parità salariale, un obiettivo possibile nel mondo del calcio? Il gender pay gap, noto anche come divario retributivo di genere, è un fenomeno che incide con un rilevante 10% a favore dei maschi in Italia*. Ma è nell’ambito del football che vengono estremizzati i termini del confronto, portando a un’esasperazione che conduce a un amaro record negativo.
Malgrado dal luglio del prossimo anno le calciatrici saranno riconosciute, anche formalmente, come professioniste dalla legislazione italiana**, le football player impegnate nella Serie A femminile sono vittima di un’avvilente penalizzazione economica.
Per fare chiarezza facciamo riferimento alla recente ricerca condotta dall’Osservatorio Betway, “Lavorare nel mondo del calcio: ecco quanto si guadagna”. Lo studio mette in luce che le giocatrici di Serie A ricevono uno stipendio medio, pari a 1.250 euro, più basso di quello di un magazziniere (1.670 euro). Malgrado entrambe le figure lavorative siano essenziali, la rilevanza delle prerogative tecniche di un atleta non andrebbe sottostimata.
Ma passando in rassegna gli stipendi delle altre professioni del mondo del calcio, l’handicap economico della condizione femminile si fa ancora più evidente. Una stortura che meriterebbe maggiore attenzione. Lo stipendio medio di un calciatore di Serie C (2.500 euro) è il doppio di quello di una giocatrice della massima divisione del calcio femminile italiano.
Un guardalinee in un singolo match di Serie A, nonostante l’introduzione del VAR, riceve 1.000 euro, l’80% dello stipendio mensile medio di una calciatrice. Facciamo però un parallelismo più diretto, e appropriato in una logica di gender gap, con i colleghi maschi della Serie A.
Il loro stipendio medio annuo è di 500.000 euro lordi. In particolare, si legge nell’indagine dell’Osservatorio Betway, “lo stipendio minimo in Serie A per un giocatore di almeno 24 anni e con almeno un’esperienza pregressa nel massimo campionato è di 42.477 euro lordi”. Tradotto in termini proporzionali, le donne guadagnano appena il 3% dei loro colleghi maschi.
Le storture evidenziate dall’analisi sono così macroscopiche da non poter essere giustificate con il diverso livello di visibilità e interesse suscitato dai due campionati (Serie A maschile e femminile). È oggettivo il forte divario che può determinarsi a livello di proventi pubblicitari (nonché legati, più in generale, al circolo mediatico), e questo sarebbe un fisiologico elemento di mercato.
Ma a ben guardare i numeri, appare cristallina una differenza, in termini di trattamento economico, che riflette un sistema a tratti malsano. Il punto non è l’indispensabile adozione di una prospettiva politicamente corretta, quanto assicurare maggiore equità e dimostrare, quanto meno, un minimo rispetto per la professionalità delle giocatrici. Il fatto che il loro stipendio sia più basso di quello di un magazziniere è un dato che dovrebbe indurre a una seria riflessione. Un pensiero da concepire in chiave di riforma, per uno spettacolo che ha perso ogni senso di equilibrio e correttezza.
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*rilevazioni Ferderconsumatori https://www.federconsumatori.it/gender-gap-in-italia-le-donne-devono-fare-i-conti-con-stipendi-piu-bassi-e-prodotti-piu-cari/
**fonte: https://luce.lanazione.it/professionismo-calcio-femminile-serie-a-figc
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