Il Licenziamento
Il licenziamento consiste in un atto unilaterale con cui il datore di lavoro interrompe il rapporto lavorativo con un proprio dipendente. Per far sì che la posizione del lavoratore sia tutelata il più possibile, questo istituto è soggetto a parecchi vincoli. La nostra legislazione (legge n. 604/66 sui licenziamenti individuali) prescrive determinate condizioni senza il rispetto delle quali il licenziamento è illegittimo. Tra queste, l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo (c.d. licenziamento disciplinare) o di un giustificato motivo oggettivo (c.d. licenziamento per ragioni economiche). Anche sotto il profilo strettamente formale, ai fini del licenziamento vanno rispettate specifiche procedure come la forma scritta e la motivazione per cui si procede all’interruzione del rapporto di lavoro. In alcuni casi espressamente previsti si può procedere al licenziamento senza che sia necessaria la motivazione: è il caso del c.d. “licenziamento ad nutum” che ricorre nel caso dei contratti di lavoro dei lavoratori domestici e in quello dei lavoratori durante il periodo di prova.
Motivi di licenziamento
Il licenziamento può essere disposto nei seguenti casi:
– per giusta causa;
– per giustificato motivo soggettivo;
– per giustificato motivo oggettivo.
Il licenziamento per giusta causa (c.d. licenziamento in tronco) si ha quando il lavoratore si rende responsabile di comportamenti tali da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro (art. 2119 c.c.). Si deve trattare, dunque, di comportamenti qualificabili come gravi.
Anche nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo siamo in presenza di comportamenti del lavoratore tali da giustificare l’interruzione del rapporto di lavoro ma, a differenza del caso precedente, tali comportamenti, non rivestendo particolare gravità, non determinano l’interruzione immediata del rapporto. Quindi, prima di procedere alla risoluzione definitiva del rapporto, il datore di lavoro è gravato dall’obbligo di preavviso nei confronti del lavoratore.
Nei due casi appena esaminati, trovandoci in presenza di licenziamenti disciplinari, è prescritto che venga esperito un procedimento disciplinare preventivo, così come previsto dall’art.7 dello Statuto dei Lavoratori. In mancanza di tale procedimento disciplinare, il datore di lavoro non può procedere al licenziamento.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, invece, può essere messo in atto solo per motivi inerenti l’organizzazione dell’attività del datore di lavoro, quali la cessazione dell’attività stessa, la sua riorganizzazione o la soppressione di quel determinato posto di lavoro. In questa ipotesi il datore di lavoro prima di procedere deve assicurarsi che il lavoratore non possa essere collocato diversamente in altre posizioni dello stesso tipo (c.d. obbligo di repechage). Ricordiamo che anche in questo caso il licenziamento deve essere preceduto dal preavviso.
Forma del licenziamento
Abbiamo detto che il licenziamento per essere valido è soggetto a dei requisiti quali la forma ed il contenuto dell’atto. L’art. 2 della Legge n. 604/1966 prevede, infatti, che il licenziamento sia comunicato al lavoratore solo in forma scritta. Nella comunicazione, inoltre, devono essere indicati, a pena di inefficacia, i motivi del licenziamento.
Termini per impugnare il licenziamento
Il licenziamento, qualora ne esistano i presupposti, può essere impugnato dal lavoratore entro sessanta giorni dalla comunicazione scritta ricevuta dal datore di lavoro. Ai fini dell’impugnazione non è prevista una forma specifica ritenendo la legge come valido qualunque atto proveniente dal lavoratore dal quale emerga la sua volontà di impugnarlo.
Successivamente all’impugnazione, ed entro i centottanta giorni successivi, il lavoratore deve depositare il relativo ricorso presso il Tribunale competente in funzione di giudice del lavoro o comunque deve inviare la richiesta di tentativo di conciliazione all’Ispettorato del Lavoro competente per territorio. Diversamente, l’impugnazione diventa inefficace rendendo il licenziamento definitivo.
La revoca del licenziamento
Il datore di lavoro, come introdotto nel 2012 dalla Riforma Fornero e successivamente dal Jobs Act, può revocare il licenziamento entro quindici giorni dalla ricezione dell’impugnazione da parte del lavoratore. Con la revoca il rapporto di lavoro viene a ripristinarsi come se non fosse mai stato interrotto. E questo anche sotto il profilo della continuità della retribuzione.
Il licenziamento ai tempi del Coronavirus
Il Decreto Cura Italia aveva previsto inizialmente il divieto di licenziamento per 60 giorni, ovvero fino al 15 maggio 2020. Il termine è stato poi esteso fino al 17 agosto 2020. Nello specifico, il decreto vieta fino al 17 agosto 2020 i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, ovvero per ragioni organizzative o economiche, a prescindere dal numero dei dipendenti dell’azienda.
Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi, vige il divieto fino al 18 agosto 2020 per tutte le aziende con più di 15 dipendenti che intendano procedere ad almeno 5 licenziamenti per ridurre o trasformare la propria attività. Le procedure di licenziamento già avviate alla data del 23 febbraio restano sospese fino al 17 agosto.
Con l’atteso nuovo “Decreto Agosto 2020” la proroga del blocco dei licenziamenti potrebbe perdurare fino al 31 dicembre 2020.
La separazione e il divorzio
Separazione e divorzio, anche se collegati tra loro, sono due istituti diversi. Con la separazione i coniugi vengono autorizzati a vivere separatamente ma il matrimonio non viene sciolto. Con il divorzio, invece, vengono a cessare gli effetti civili del matrimonio che pertanto si scioglie.
La separazione
Con la separazione, oltre all’autorizzazione ai coniugi a vivere separati e all’assegnazione della casa familiare, vengono stabilite tutte le condizioni relative all’affidamento dei figli minori nonché la misura dell’eventuale assegno di mantenimento in favore dell’altro coniuge.
A seguito della separazione i coniugi non sono più obbligati a rispettare i doveri coniugali né a vivere sotto lo stesso tetto così come viene meno il dovere di fedeltà e quello di collaborare nell’interesse della famiglia o di reciproca assistenza morale e materiale. Però il matrimonio non si scioglie per effetto della separazione dato che solo con l’ottenimento del divorzio vengono a cessarne gli effetti civili (per la Chiesa Cattolica il matrimonio è indissolubile) e ci si può risposare.
Esistono due tipi di separazione, entrambi subordinati all’impossibilità di prosecuzione della vita coniugale:
– la separazione consensuale, in cui i coniugi, d’accordo su ogni aspetto dei loro rapporti, chiedono congiuntamente al Tribunale di separarsi;
– la separazione giudiziale in cui invece è il Tribunale a decidere le condizioni della separazione.
Esiste anche la possibilità di separarsi davanti all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di residenza ma solo nel caso in cui non vi siano figli minori o figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave.
Divorzio
Nel nostro Paese il divorzio è stato introdotto per la prima volta con la Legge 898/1970 successivamente modificata dalla Legge n. 74/1987. Il divorzio può essere richiesto solo quando sia trascorso, dalla separazione legale, il tempo stabilito dalla legge. Con le disposizioni introdotte con la Legge 55/2015, il tempo necessario è stato ridotto da tre anni a sei mesi nel caso di separazione consensuale e a un anno nel caso di separazione giudiziale.
Anche il divorzio può essere giudiziale o consensuale e può essere richiesto, oltre che con ricorso al Tribunale, mediante la procedura della negoziazione assistita o, nel caso in cui non vi siano figli minori, o maggiorenni non economicamente indipendenti o portatori di handicap, davanti all’Ufficiale di Stato Civile del Comune.
Con il divorzio il matrimonio si scioglie e vengono a cessare i suoi effetti civili.
Se la coppia ha dei figli
Tanto nella separazione quanto nel divorzio i genitori hanno l’obbligo di continuare ad occuparsi dei figli. Ciò significa anche che l’assegno di mantenimento dei figli non sarà diverso nelle due situazioni. I figli, inoltre, conservano il diritto di continuare a vivere nella casa familiare indipendentemente dal fatto che i genitori siano separati o divorziati. Il giudice può disporre il pagamento di un assegno periodico anche in favore dei figli maggiorenni qualora questi non siano indipendenti economicamente e sempre che tale situazione non sia imputabile agli stessi.
La mediazione familiare
Le separazioni molto spesso sono accompagnate da situazioni di grossa conflittualità tra i coniugi con inevitabile grave pregiudizio per la prole. Ed è per questa ragione che i genitori separati o in fase di separazione possono ottenere un prezioso aiuto nella gestione della crisi familiare rivolgendosi al servizio di mediazione familiare.
Il Gratuito Patrocinio
Il Gratuito Patrocinio o Patrocinio a spese dello Stato viene incontro a coloro i quali per condizioni reddituali non sarebbero in grado di affrontare le spese necessarie per pagare un avvocato nelle procedure
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