Il 31 gennaio scorso il Regno Unito ha deliberato l’uscita definitiva dall’Unione Europea. Da allora sono partiti i negoziati bilaterali che hanno visto un notevole rallentamento per via dell’epidemia del Covid-19. Nonostante il clima di incertezze una cosa è chiara: il periodo di transizione scadrà il 31 dicembre 2020.
Ma quali sono gli effetti che potremo aspettarci dalla Brexit sullo scambio merci e sull’imprenditoria?
Covid-19: effetti sulla Brexit
Che la Brexit potrebbe provocare uno shock economico e sociale è evidente. Sull’entità di questo shock però nessun economista si vuole sbilanciare troppo. Per questo è importante che la Gran Bretagna giochi bene la partita nelle negoziazioni.
Che effetto ha avuto l’epidemia su tali negoziazioni?
Se il primo ministro inglese Boris Johnon ha sempre escluso che si chieda all’UE una proroga fin dalla sua elezione di luglio 2019, è anche vero che stia facendo pressione affinché si possa raggiungere un accordo di libero scambio. Nel frattempo eventi non prevedibili come l’epidemia del Covid-19 ed il fatto che si siano ammalati sia il negoziatore europeo Michel Barnier che il primo ministro britannico hanno avuto un effetto rilevante sulle negoziazioni della Brexit.
La paura di dover sommare il duro colpo subito dalle aziende inglesi per gli effetti del Covid-19 con gli effetti della Brexit hanno decisamente rallentato i lavori sulle negoziazioni. Sia il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon che il primo ministro del Galles Mark Drakeford premono affinché Johnson possa cambiare idea e, in forza degli effetti negativi del Corona Virus in Regno Unito, decida di chiedere una proroga all’Unione Europea.
Riuscire a definire il “Future Relationship Agreement” in tempi brevi con il comune accordo dei capi di governo britannici e di tutti gli attuali membri dell’Unione Europea comunque non è affatto semplice.
Intanto le parti hanno già avuto modo di definire alcuni punti importanti durante le negoziazioni:
– diritti di sicurezza sociale e per le generazioni future
– controllo giudiziario della Corte di giustizia europea
– regime di residenza permanente sostituito dal Regno Unito
Prevediamo quindi che i lavori di negoziazione possano prolungarsi non poco. Ben oltre la fine dell’anno 2020.
Dogana: cosa cambia e programma 2020 – 2021
Tra gli effetti diretti della Brexit abbiamo sicuramente il controllo dell’import dei prodotti europei verso la Gran Bretagna.
Contrariamente a quanto stabilito in febbraio, la dogana verrà introdotta alla fine del periodo di transizione in più fasi, al fine di dare alle aziende il tempo per prepararsi. In ogni caso a partire dal 1° gennaio 2021 il Regno Unito avrà la totale autonomia nella gestione del controllo doganale.
Un’ottima notizia per gli esportatori europei, che in questo modo avranno la possibilità di adeguarsi. In particolare per il settore agroalimentare italiano, che in Inghilterra vale ben 3,4 miliardi di euro.
Per le merci inglesi in transito per l’Europa, si rende noto che i controlli invece scatteranno fin dal primo gennaio 2021.
Fase 1: gennaio 2021
A prescindere dal prodotto importato, i commercianti dovranno compilare una specifica documentazione relativa alle merci importate. Avranno tempo fino a sei mesi per completare le dichiarazioni doganali. Verranno effettuati controlli in dogana, in particolare per merci quali tabacchi, alcolici ed animali.
Fase 2: aprile 2021
Tutti i prodotti POAO (Prodotti di Origine Animale), dalla carne ai latticini al miele ma anche piante e prodotti vegetali necessiteranno di una notifica preventiva nonché specifica documentazione sanitaria.
Fase 3: luglio 2021
Fase di effetto definitivo della Brexit sulle importazioni. Tutte le merci che passano la frontiera dovranno essere corredate da dichiarazione completa ed è necessario pagare le tariffe previste (non ancora rese note). Le merci che necessitano di SPS (misure di sicurezza sanitarie e fitosanitarie) subiranno costante controllo con prelievo di campioni direttamente in dogana.
Altri effetti secondari
Il deprezzamento della sterlina
La sterlina britannica ha perso molto valore per effetto del referendum, ma è difficile prevedere cosa succederà da qui al prossimo anno. Certo è che se continuasse a deprezzarsi il livello di protezione diminuirà e non c’è più alcuna garanzia offerta dall’Unione Europea. La Gran Bretagna si dovrà attrezzare, creando nuovi strumenti di protezione.
La questione del confine fra Irlanda e Irlanda del nord
È una delle questioni più annose e difficili da risolvere. Non facendo più parte dell’Unione Europea, l’Irlanda del Nord (che, ricordiamo, fa parte del Regno Unito), si ritroverà con una frontiera di oltre 500 chilometri e 275 accessi da monitorare. Già poche settimane fa venne costituita una frontiera in mare che divida le coste irlandesi da quelle inglesi. Una questione delicata che non sarà facile da risolvere e che avrà un peso importante nelle trattative.
Tariffe di roaming
Con molta probabilità non ci sarà alcun effetto sulle tariffe di roaming. Così come altri paesi extra UE come la Norvegia, l’Islanda o il Liechtenstein, infatti, il Regno Unito potrebbe decidere di mantenere tale regolamento anche post-brexit.
Cosa significa per l’imprenditore europeo ed italiano?
Il Regno Unito è da sempre stato un interlocutore privilegiato nei rapporti commerciali con l’Europa ed in particolare con l’Italia (seconda in beni esportati in UK solo a Germania e Francia). Ciò a nostro avviso non cambierà, almeno non nel prossimo futuro.
Import ed export
Se è vero che la Brexit provocherebbe con ogni probabilità una riduzione dell’import dall’Unione Europea di prodotti verso il Regno Unito, è anche vero che il Regno Unito ha già annunciato che incanalerà importanti sforzi nell’obiettivo di introdurre nuovi accordi commerciali sia in generale con l’Europa che nello specifico con le nazioni, Italia inclusa. Ciò consentirà sia alle aziende inglesi di commerciare efficacemente in Europa che viceversa.
In particolare in caso di no-deal a fine anno, le aziende italiane risentiranno sicuramente dell’impatto con l’introduzione delle nuove regole. Ma i vantaggi nell’operare nel Regno Unito sono superiori agli eventuali svantaggi, tasse di dogana comprese.
Società e imprenditoria: possibile scenario post-brexit
Diverso il discorso relativo alle opportunità per l’imprenditore che vuole investire oltremanica.
Fino ad oggi il Regno Unito è stato visto come una opportunità per gli imprenditori europei in virtù del sistema fiscale snello e della burocrazia ridotta. In una futura fase post-brexit probabilmente i vantaggi saranno persino maggiori. Il Regno Unito potrebbe difatti diventare una realtà economica a basso regime fiscale analoga a Singapore, come ipotizzato dall’ex ministro presidente delle Fiandre Geert Bourgeois.
Questo potrebbe portare ad una rinnovata spinta nella incorporazione di aziende nel Regno Unito. Ciò vale sia per nuove idee imprenditoriali e start-up che vogliono usufruire di una minore burocrazia (come abbiamo visto negli ultimi anni in Estonia), sia per le aziende stabili.
Per poter continuare ad operare efficacemente nel Regno Unito le aziende europee ed italiane potranno considerare l’opportunità di costituire una branch collegata alla propria azienda o anche una Ltd, PLC o LLP indipendente. Per lo stesso motivo, probabilmente molte aziende inglesi troveranno vantaggioso creare una società in Europa.
Le agenzie di intermediazione
Se consideriamo che la realtà delle aziende italiane è formata principalmente di piccole e medie imprese per le quali costituire una nuova società specifica per il mercato britannico può risultare impegnativo e dispendioso (in particolare a livello di gestione), è plausibile ipotizzare che nei prossimi mesi vedremo la crescita esponenziale delle agenzie di intermediazione.
Già usate con successo per poter operare attraverso società offshore in Europa (ricordiamo che i pagamenti verso società in paradisi fiscali non sono soggetti ad imposta nel Regno Unito), in fase post-Brexit saranno sempre più utilizzate con successo da aziende italiane ed europee per effettuare transazioni, acquisti e vendite. Si legge infatti nella pagina di una delle maggiori società di intermediazione nel Regno Unito, la FidesCorp Limited, come in questo modo si rendano perfettamente legittime le transazioni da e con paradisi fiscali come Panama, Belize, Isole Cayman (da poco inserite nella blacklist), Isole Vergini Americane.
Il Regno Unito diventerà quindi presumibilmente un hub preferenziale che connetterà l’Europa e diverse entità economiche, non ultime i paradisi fiscali.
Ciò non potrà che portare preoccupazioni: avere uno stato stile Singapore o Hong Kong a due passi da Francia e Olanda può essere di sicuro vantaggioso per l’imprenditore, meno per i singoli Stati dell’Unione Europea.
Francesco Paolo Corti, AGESTAMPA
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